IAI
LA DIATRIBA CON I "PAESI FRUGALI"

Un’occasione per l’Europa mediterranea

27 Mag 2020 - Pino Pisicchio - Pino Pisicchio

Il dibattito sul Recovery fund schiera nello scenario europeo ancora una volta un impianto dicotomico tra Stati “frugali” del Nord  e Stati mediterranei. L’eterna diatriba, affidata alla mediazione del blocco franco-germanico, è non solo il quantum da conferire nel fondo straordinario a sostegno dei Paesi maggiormente colpiti dal coronavirus, ma anche il quomodo, il come si debba svolgere l’erogazione degli aiuti, se a fondo perduto o a titolo di prestito, seppure con generose dilazioni.

Vedremo come finirà, anche se possiamo dire da subito che, quando la mediazione viene svolta da chi ha forza per imporla, un vincitore certo è sempre il mediatore. Non c’è dubbio, però, che il giro di boa della pandemia rappresenti l’occasione propizia per un necessaria ripartenza della farraginosa macchina europea, sulla base, possibilmente, di nuove consapevolezze e di nuove prospettive. 

Un’occasione per l’Europa mediterranea
Un’occasione, per l’Europa mediterranea, per esempio. Quando andremo a ricordare la genesi dell’Europa fuori dalla felice agiografia che si addice agli anniversari “storici”, dovremo riconoscere che il primo nucleo delle nuove istituzioni comunitarie, quello rappresentato dalla Ceca, segnò una netta prevalenza del bacino renano, tendenzialmente orientato verso equilibri anseatici, più compiutamente sviluppati negli anni successivi.

L’Italia restava l’unico testimone dell’Europa mediterranea, mentre la Francia, che conferisce alla geopolitica del Mediterranea solo la Corsica e la Costa Azzurra, pur manifestando da sempre nell’area disegni egemonici, intrecciò fin dal 1952, un rapporto di coprotagonismo competitivo con la Germania della Rft, che ancora rappresenta il fil rouge per capire molte cose dell’Ue. E, siccome la costruzione del processo d’integrazione europea è legata a scelte eminentemente politiche compiute dai suoi attori in base ai rapporti di forza che si vanno determinando, la storia recente dell’Ue rispecchia in pieno la storia più remota delle Comunità europee, con protagonismi invariati perché quegli equilibri originari non sono cambiati.

Il peso dei Paesi mediterranei nella storia
Bisogna attendere gli anni ’80 per registrare un’apertura all’apporto degli europei del Sud con l’ingresso di Grecia (’81), Spagna e Portogallo (’86), presto controbilanciata dal gruppo nordico di Austria, Svezia e Finlandia nel 1995 e dall’avvio dei negoziati di adesione con i paesi del Patto di Varsavia, freschi di affrancamento dal giogo del comunismo sovietico svaporato come la polvere del muro crollato a Berlino.

Nei primi anni duemila, dunque, si andò a compiere il disegno di riunificazione con l’Europa Centro-Orientale separata da Yalta, ideologicamente impeccabile, e commendevole soprattutto dal punto di vista del mercato tedesco, che ricomponeva l’antica regione delle città anseatiche (polacche, belghe, danesi, svedesi, estoni, lettoni, lituane, olandesi). Dall’area mediterranea giunse in quegli anni l’adesione di tre piccoli Stati sovrani: Malta, Cipro e Slovenia, in tutto oggi una popolazione di 3 milioni e mezzo di abitanti, a fronte dei quasi cento milioni dei paesi dell’area ex sovietica entrati tra il 2004 e il 2007. Va detto, tuttavia, che neanche la soverchiante marginalità nell’Europa a egemonia centro-settentrionale è mai riuscita a scuotere i mediterranei, che, a partire da Maastricht, hanno scartato ogni ipotesi di svolgere un ruolo autonomo e corale, cercando invece benevolenza e accordi separati con la Francia e la Germania.

Non c’è dubbio che Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Cipro, Malta, rappresentino oggi una popolazione pari a quasi un terzo di tutta l’Ue, e, tuttavia, non “pesano” per un terzo nelle istituzioni europee. Ma non è soltanto un problema di contabilità demografiche, né della riproposizione di suggestioni culturali mutuate dagli studi di Braduel – che comunque aiuterebbero a costruire una chiave indispensabile per comprendere il significato dello specifico mediterraneo nella cultura europea. Esistono molte ragioni ancora per costruire un progetto mediterraneo condiviso e una è certamente il rapporto che questa regione ha con l’Africa e il Medio Oriente. 

Un linguaggio comune
C’è una rappresentazione pittorica, raffigurata da grandissimi artisti come Tiziano, Tiepolo, Veronese, che racconta di una giovane principessa fenicia di nome Europa, rapita da uno Zeus innamorato e trasformatosi in toro per portarla via attraverso il Mediterraneo. Per Rimbaud, che diede un finale romantico alla storia, una tempesta improvvisa provocò la caduta di Europa dal dorso del toro e la sua scomparsa nei flutti marini. Il mito omerico racconterebbe, dunque, che l’origine del nostro continente sorge in Medio Oriente e perisce nel mare Nostrum. Proprio come i migranti che raggiungono oggi le sponde europee partendo dall’Africa e, molto spesso, scomparendo tra i flutti del mare.

Nel 2019, un anno di calo netto di flussi migratori, circa 166.000 migranti, provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente, hanno chiesto asilo alle autorità italiane, spagnole e greche. Trovare un linguaggio comune tra i mediterranei significherebbe anche, per esempio, mettere mano a una riforma del regolamento di Dublino che continua a penalizzare i Paesi di prima accoglienza.  

È giunto, dunque, il tempo di comprendere che la necessaria decostruzione di un’Europa ingessata da burocratismi, e la sua riprogettazione evolutiva e moderna, non possono prescindere da un ruolo nuovo della regione mediterranea. Ma bisogna che siano i Paesi dell’area a crederci per primi per articolare una proposta comune che non può che far bene al futuro dell’Europa. Perché non è più tempo di negoziati separati. L’abbiamo già visto e abbiamo perso tutti.