Da Karlsruhe una sentenza devastante?
Dopo le prime reazioni a caldo, è il caso di tornare a riflettere sulle conseguenze che la recente sentenza tedesca produce per la Banca centrale europea, la Corte di giustizia e il diritto dell’Unione europea in genere.
La Bce ha svolto un ruolo essenziale per il superamento della crisi degli anni 2010-2013; un ruolo analogo a quello che è chiamata a svolgere ora, e sta di fatto svolgendo, a fronte dell’attuale pandemia. È appena il caso di ricordare il “whatever it takes” di Mario Draghi nel 2012, ora riaffermato dalla Christine Lagarde. Quell’intervento fu determinante allora per la difesa dell’euro, ed è importante che sia stato ripreso ora in tempi possibilmente ancora più difficili per l’unione monetaria. In queste circostanze una delegittimazione della Bce, e del suoi acquisti di titoli del debito pubblico, avrebbe indubbiamente un effetto devastante.
Non mi pare tuttavia che questa sia una conseguenza necessaria della sentenza in esame. La Corte costituzionale tedesca, pur sollevando forti dubbi sulla legittimità del programma di Quantitative easing, non lo ha definitivamente cassato. Ha lasciato aperta una porta per poterlo assolvere fra tre mesi, dopo i chiarimenti richiesti alla Bce sul punto della proporzionalità.
La Corte di Karlsruhe ha tenuto inoltre a precisare che la sua sentenza non si applica alle misure prese dalla Bce per fronteggiare l’attuale pandemia. Non dubito che la Bce sarà in grado di soddisfare adeguatamente la condizione posta dai giudici tedeschi, anche perché può attingere a precisazioni già ampiamente fornite sulla idoneità e necessità del Qe. Si può quindi ragionevolmente supporre che il mandato della Bce non risulterà menomato dalla sentenza tedesca, con riguardo sia alle misure passate sia a quelle future.
Più preoccupanti sono le implicazioni della sentenza sul ruolo della Corte di giustizia. Per i giudici tedeschi la Corte europea sarebbe incorsa in errori gravissimi e manifesti. In particolare, avrebbe condotto la sua indagine in tema di proporzionalità sulla base di canoni ermeneutici improponibili. In tal modo, essa avrebbe completamente disatteso il mandato assegnatole dall’art.19.2 Tue, che è di assicurare il rispetto del diritto nella interpretazione e applicazione dei trattati. Di qui la conseguenza che ne ha tratto la Corte tedesca: ponendosi al di fuori del suo mandato, la Corte di giustizia ha agito ultra vires e dunque la sua decisione può essere disconosciuta.
Le accuse della Corte tedesca lasciano evidentemente perplessi. Mancato rispetto del diritto, utilizzo di metodologie interpretative prive di una accettabile base giuridica, errori gravi e manifesti: sono addebiti pesanti, specie in quanto rivolti alla suprema istanza giurisdizionale europea. E preoccupano non solo per il pregiudizio al prestigio dei giudici del Lussemburgo, ma anche per le ripercussioni sul sistema dell’Unione nel suo complesso. L’applicazione uniforme, l’efficacia diretta, il primato del diritto dell’Unione dipendono strettamente dalla presenza della Corte di giustizia, dalla sua competenza esclusiva in tema di interpretazione e validità delle norme europee, e dalla obbligatorietà delle sue sentenze.
Qualsiasi lesione, o anche solo indebolimento delle prerogative della Corte di giustizia mettono inevitabilmente in crisi l’intera struttura costituzionale dell’Ue. È pur vero che si tratta di un singolo episodio, i cui effetti pregiudizievoli possono essere sanati da successivi sviluppi. Ma potrebbe essere la spia di una tendenza molto pericolosa, ove dovesse consolidarsi in seguito.
Per la verità, la pretesa della Corte costituzionale tedesca di verificare che l’Unione non ecceda le competenze a essa attribuite, non costituisce una novità della sentenza in discorso. La si rinviene già nella sentenza Maastricht e, da ultimo, nella sentenza Omt. La teoria sottostante è che se le istituzioni europee agiscono ultra vires, viene meno la loro legittimazione democratica ai sensi della costituzione tedesca.
Del resto a una concezione non dissimile si ispira la dottrina dei contro-limiti, fatta propria anche dalla nostra Corte costituzionale. Senonché i giudici di Karlsruhe si sono limitati in precedenza a manifestare dubbi e perplessità sulle decisioni della Corte di giustizia, evitando di arrivare a un aperto conflitto. Avevano anzi espresso una certa “Fehlertoleranz“ verso posizioni non condivise dei loro colleghi del Lussemburgo (vedi la sentenza Mangold). Ora invece ogni remora è stata accantonata e stupisce che si sia giunti allo scontro sulla base di argomentazioni giuridiche discutibili.
Ovviamente, la decisione della Corte di giustizia conserva piena validità ed efficacia nel diritto dell’Unione. La Corte tedesca può solo impedirne l’ingresso in Germania. Potrebbe dunque eventualmente inibire alla Bundesbank di proseguire nell’attuazione del programma di QE. Per le ragioni già dette questo probabilmente non si verificherà; e bene ha fatto la Presidente Lagarde a dichiarare che l’azione della Bce va avanti regolarmente. Ma resta il timore che la sentenza tedesca segnali un più diffuso malumore di quel Paese nei confronti del processo di integrazione europea.