Un Recovery Fund per il rilancio europeo
C’è chi lo chiama il “momento Hamilton” dell’Unione europea, riferendosi al padre fondatore degli Stati Uniti e primo segretario al Tesoro che, nel 1790, dichiarò che il governo federale si sarebbe fatto carico dei debiti degli Stati americani durante la guerra di indipendenza. C’è chi parla di un “welfare state continentale“. Altri lo liquidano come un passo verso un vicolo cieco.
Sono alcuni dei commenti alla proposta di Francia e Germania per un Recovery fund di 500 miliardi di euro, finanziato attraverso l’emissione di titoli di debito della Commissione europea per conto dell’Ue e diretto, attraverso sussidi e non prestiti, al sostegno dei settori e Paesi che hanno pagato il prezzo più alto nella crisi.
Le divisioni sul rilancio europeo
Il Presidente Giuseppe Conte e il suo omologo spagnolo Pedro Sanchez lo considerano un avanzamento positivo, anche se non pienamente soddisfacente, mentre una netta bocciatura è arrivata dai Paesi cosiddetti “frugali” – Austria, Danimarca, Paesi Bassi e Svezia – che rifiutano la logica dei sussidi.
Alla Commissione europea spetta ora il difficile compito di mettere sul tavolo, il 27 maggio, una proposta convincente che tenga conto di tutte le posizioni degli Stati membri e anche di quella del Parlamento europeo, che vorrebbe un Recovery fund di 2mila miliardi, da finanziare attraverso risorse proprie dell’Unione e da trasferire agli Stati colpiti prevalentemente attraverso sussidi. Il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel dovrà poi trovare il consenso a 27 nel vertice del 18 e 19 giugno prossimi.
Uno strumento ambizioso ed equo
La proposta della Commissione ha un significato importante ed è destinata a produrre conseguenze durature a molteplici livelli: economico e istituzionale, oltre che politico. A livello economico, il Recovery fund dovrebbe essere lo strumento attraverso il quale rilanciare l’economia europea, mitigando allo stesso tempo la grave frammentazione tra gli Stati membri generata dalla crisi del coronavirus.
Le conseguenze economiche del Covid-19, che ha colpito alcuni Paesi molto più di altri, sono state infatti asimmetriche: le misure finora introdotte a livello europeo, sebbene necessarie e utili a garantire risorse per la ripresa economica, le hanno rese ancora più marcate. Ne è un esempio il fatto che, dei circa 2mila miliardi di euro in aiuti di Stato autorizzati dalla Commissione europea nell’ambito della sospensione del Patto di stabilità deciso per far fronte all’emergenza, più della metà riguardino la sola Germania.
È per questo che, al fine di garantire una ripresa reale e una tenuta complessiva dell’Eurozona, occorre uno strumento che sia allo stesso tempo ambizioso ed equo. Auspicabilmente, la proposta complessiva della Commissione dovrebbe andare ben oltre i 500 miliardi di euro proposti da Francia e Germania e attestarsi su una cifra più in linea con i 1000 miliardi di euro evocata dalla stessa Presidente Von der Leyen subito dopo il Consiglio europeo del 23 aprile scorso. Le risorse del Recovery fund dovrebbero essere allocate prevalentemente sulla base di sussidi e non di prestiti, evitando di gravare ulteriormente sui bilanci degli Stati membri.
Inoltre, servirebbe che il rimborso dei debiti contratti dalla Commissione fosse fatto a livello europeo, secondo una logica abbastanza vicina a quella dei coronabond. Per questo occorrerebbe un aumento significativo del bilancio comune – che dovrebbe salire fino al 2% del Rnl dell’Ue – e l’introduzione di risorse proprie dell’Unione – che potrebbero prendere la forma di carbon tax, web tax, o di una tassa sulle transazioni finanziarie. Infine, affinché produca gli effetti sperati, servirebbe un fondo disponibile in tempi brevi, senza attendere la conclusione dei difficili negoziati per il prossimo bilancio pluriennale.
Il ritorno del metodo comunitario
A livello istituzionale, l’adozione del Recovery fund da parte della Commissione europea segna il ritorno della dimensione sovranazionale su quella tecnocratica – rappresentata dall’intervento di quantitative easing realizzato dalla Banca Centrale Europea (Bce) all’inizio della crisi – e su quella intergovernativa – simboleggiata dal pacchetto di misure, tra cui il Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes) a condizioni minime per le spese sanitarie, approvato dal Consiglio europeo in aprile. E la sua portata è ancora più significativa se consideriamo che la proposta franco-tedesca e il Recovery fund arrivano dopo la discussa sentenza della Corte di Karlsruhe del 7 maggio scorso che, giudicando il piano di acquisto di titoli pubblici della Bce sproporzionato, ha inferto un duro colpo all’unità dell’ordinamento giuridico dell’Unione, ma allo stesso tempo ha posto la legittima questione di una necessaria riforma politica della governance economica europea.
Ed è qui che riconosciamo la portata politica della proposta che avanzerà la Commissione europea: se il Recovery fund sarà in grado di fornire un’efficace risposta europea alle conseguenze devastanti dell’emergenza coronavirus, testimonierà che ancora una volta il progetto europeo è uscito rafforzato da una crisi e che solo attraverso un potenziamento del metodo comunitario è possibile garantirne la tenuta al di là delle differenze e delle divergenze nazionali. Fornirà, quindi, non solo uno strumento valido nell’immediato che porterà benefici tangibili ai cittadini europei, ma anche una bussola affidabile per orientare il processo di integrazione nel medio e lungo periodo.