IAI
Qualche riflessione sul futuro dell'Ue

Ridare un’anima all’Unione

30 Mag 2020 - Vincenzo Guizzi - Vincenzo Guizzi

In un momento difficile del processo di integrazione europea vorrei formulare – anche alla luce delle prese di posizione delle istituzioni comunitarie (in particolare Parlamento europeo e Commissione) – alcune considerazioni sui possibili sviluppi dell’Unione europea.

Ritengo che si debba cogliere l’occasione della grave situazione in cui versa l’Unione a causa del coronavirus, per apportare alcune modifiche sia sotto il profilo istituzionale sia del diritto “materiale” riguardanti alcune politiche comuni.

È evidente che per il primo profilo si tratta di modifiche, che si potranno realizzare a media-lunga scadenza, perché necessitano di una revisione dei trattati secondo le procedure del Trattato sull’Unione europea (Tue) all’art.48. Se ne possono menzionare due essenziali per un migliore assetto democratico dell’Unione: la generalizzazione del voto a maggioranza e l’estensione della codecisione del Parlamento europeo, alle quali si potrebbe aggiungere lo sviluppo della politica estera e di sicurezza come politica “comunitaria”.

Ma, anche a trattati vigenti qualche riassetto istituzionale è possibile, nel senso di ricondurre l’azione di alcune istituzioni al ruolo loro assegnato dai trattati, contrastando quella “deriva” intergovernativa, che assegna impropriamente un ruolo decisionale preponderante ai governi. Si tratta, in particolare, del Consiglio europeo, che va ben al di là della funzione di istituzione, che “dà gli impulsi necessari” e che, invece, sta assumendo un potere decisionale determinante, che si potrebbe definire “paralegislativo”, in contrasto con il dettato dell’art. 15 del Tue, che glielo inibisce. Si tende, in effetti, a restringere la funzione della Commissione, quale “motore” dell’Unione, che andrebbe ribadita con fermezza.

Per evitare ogni fraintendimento, non si intende sminuire il ruolo dei governi, ma questo deve essere ricondotto nella istituzione comunitaria del Consiglio, che gode di un forte potere decisionale, che, nella procedura legislativa ordinaria, esercita in codecisione con il Parlamento europeo. In altre parole, ispirandoci al “disegno” di Spinelli, il Consiglio dei ministri inteso come Camera degli Stati accanto al Parlamento rappresentante dei popoli europei.

Ma, come prima accennato, modifiche, a Trattati vigenti, riguardano alcune politiche: economica e monetaria, sociale, ambientale, ricerca e sviluppo tecnologico, istruzione e formazione, sanità. Per potere sviluppare e attuare compiutamente queste politiche e, più in generale avviare una nuova politica di bilancio, si rende necessario introdurre nuove risorse proprie con una decisione del Consiglio (art. 311 del Trattato sul funzionamento dell’Unione).

Va detto che in alcuni casi si tratta, più che di modifiche, di una piena attuazione delle norme dei trattati. Non potendo, nell’economia di questo scritto, soffermarmi su tutte le politiche prima indicate, mi limito a formulare qualche breve considerazioni solo su alcune, che richiedono particolare attenzione.

In merito alla politica economica, si può rilevare che ancora oggi la sua attuazione risulta parziale, avendo l’Ue sviluppato solo una sua componente, certamente essenziale, la politica monetaria, mentre manca una parte importante, costituita da una politica fiscale comune. Anche la stessa politica monetaria è stata attuata in modo incompleto e addirittura distorto. Nonostante il Tfue (art. 126) abbia definito con precisione i contorni della politica monetaria (rigore, flessibilità, sanzioni) sono stati approvati, in un crescendo rossiniano, vari atti normativi: i regolamenti sul Patto di stabilità e crescita del 1997, i regolamenti del 2003 sui cd. Six pack e Two pack, del 2010, il regolamento su un Meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria del 2010 e, nel 2012, 2 Trattati internazionali (il Mes e il Fiscal Compact), che hanno accentuato la politica di rigore (la stabilità), dimenticando la crescita, che faceva parte del binomio, e determinando una diffusa crisi economica in vari Paesi.

È necessario, quindi, affiancare a una politica di stabilità finanziaria, dovutamente corretta, una politica sociale dotata di ulteriori, efficaci, strumenti di intervento oltre a quelli già esistenti, traducendo in pratica il contenuto del “Pilastro sociale europeo” con l’approvazione di atti normativi per rendere concreta la dimensione sociale dell’Unione “nel più ampio dibattito avviato sul futuro dell’Ue”.

In questo momento di grandi difficoltà dell’Unione, indotta dalla pandemia, si deve riaffermare con fermezza l’importanza del processo di integrazione europea, che – con la Comunità prima e con l’Unione poi – ha garantito 70 anni di pace e di uno straordinario progresso sociale ed economico.

I cittadini europei e soprattutto i giovani devono essere consapevoli di questo progresso e dei valori su cui si fonda l’Unione, sanciti nell’art. 2 del Tue.

La risposta ai risorgenti nazionalismi, portatori di odio, razzismo e intolleranza, deve essere “più Europa“, rifiutando la deriva intergovernativa, prima evocata, che produce la lentezza, se non l’arresto, dell’integrazione, testimoniata purtroppo anche dalla recente sentenza della Corte costituzionale tedesca, che ha ignorato il principio della prevalenza del diritto dell’Unione sul diritto nazionale, contraddicendo una precedente sentenza dalla Corte di giustizia dell’Unione.

Si deve tornare all’ispirazione originaria espressa nel metodo comunitario, spingendo le istituzioni comuni a uscire da quella forma di “sonnambulismo“, che ha caratterizzato la loro azione di fronte alla pandemia. Esse hanno gli strumenti, giuridici e finanziari, per agire e devono farlo con urgenza, se non vogliono che la crisi in atto si trasformi nella regressione, se non nella lenta dissoluzione, dell’Unione. Le proposte della Commissione del 27 maggio lasciano ben sperare, se non saranno stravolte in corso d’opera.

Ciò che attendono i cittadini europei è lo sviluppo sociale con l’impiego di tutti gli strumenti già esistenti e dei nuovi annunciati. In altre parole, bisogna sviluppare la dimensione sociale per ridare all’Unione un’anima, quella che le avevano assegnato i padri fondatori.