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Recovery Fund da 750 mld. Il Piano di Rilancio della Ue

28 Mag 2020 - Veronica De Romanis, Valentina Meliciani, Paola Subacchi , Nathalie Tocci - Veronica De Romanis, Valentina Meliciani, Paola Subacchi , Nathalie Tocci

Un nuovo strumento, il “Next Generation Eu” da 750 miliardi. È quanto ha annunciato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, presentando al Parlamento europeo il piano per la ripresa. Per l’Italia, a cui è riconosciuta la cifra più alta in Ue, sono destinati 81 miliardi di aiuti e 90,9 di prestiti. La proposta della Commissione europea di raccogliere direttamente sui mercati i 750 miliardi di euro tramite sue emissioni debitorie – con cui finanziare il nuovo Recovery fund di rilancio post crisi pandemica da Covid-19 – sarà al centro del prossimo Consiglio europeo del 18 e 19 giugno. Se per il Presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte “è un ottimo segnale dalla Ue, la cifra è adeguata”, l’Olanda frena: “i negoziati saranno lunghi”. Per la Cancelliera Angela Merkel “le trattative saranno difficili, ma bisogna darsi come obiettivo che il piano sia in vigore il primo gennaio 2021”, la Francia ritiene “l’accordo necessario entro luglio”.

Sull’argomento vi proponiamo, in questo podcast, le analisi delle economiste Veronica De Romanis (Insegna European Economics, Università LUISS Guido Carli di Roma – Stanford University Firenze), Valentina Meliciani (Ordinaria di Economia Applicata , Università LUISS Guido Carli di Roma), Paola Subacchi (E-Economics, Global Policy Institute Queen Mary University of London, UniBo. Senior fellow di Chatham House, insegna all’Università di Bologna) e del Direttore dell’Istituto Affari Internazionali, Nathalie Tocci.


LE MIE IMPRESSIONI

Nathalie Tocci: “Il programma Next Generation Eu è una proposta della Commissione europea estremamente ambiziosa. Come sappiamo, stiamo parlando di 750 miliardi di euro, di cui 500 miliardi in sussidi e 250 in prestiti. Arriveremo quindi a un bilancio del 2% del Pil. Quindi, un programma ambizioso, che si incastra in quello che è e dovrebbe essere il prossimo quadro finanziario pluriennale delL’Ue. Un programma ambizioso, ma al tempo stesso all’interno di questo piano non ci sono soltanto soldi, ma soldi con una finalità. Quindi, se approvati, verranno canalizzati agli Stati membri attraverso una serie di programmi europei. Non è semplicemente un sussidio, ma un sussidio mirato alla recovery e soprattutto alla ripresa. Una ripresa che anche qui non è una qualunque ripresa e c’è soprattutto l’idea di focalizzarsi su quelli che sono i punti cardine di questa Commissione (digitale e verde), i due pilastri principali. 16 miliardi e mezzo in più diretti all’azione esterna, quindi una consapevolezza da parte della Commissione che per uscire da questa crisi non si può solamente guardare all’interno ma anche all’esterno. Chiaramente è una proposta, che va oltre quella che era stata la proposta franco-tedesca. In qualche modo, da parte della Commissione, è un assist a quelle che sono le posizioni dell’Italia, della Spagna e di altri Paesi del Sud. Perché, come sappiamo, sulla base di questa Commissione inizierà un negoziato. Sappiamo dove sta il motore franco-tedesco, perché già c’è stata una proposta; sappiamo che le posizioni dei cosiddetti quattro “frugali” sono molto più modeste; sappiamo che le nostre posizioni sono possibilmente ancora più ambiziose. Quindi, da un lato va capita qual è la forza negoziale di questi blocchi; dall’altro – e questa è un’indicazione estremamente importante – come la Commissione si è posizionata in questo negoziato, e lo ha fatto dal lato di quelli più ambiziosi, come naturalmente è proprio il ruolo della Commissione europea che vede attraverso questo fondo anche un’opportunità per fare un passo avanti nell’integrazione europea. Come ogni crisi per l’Unione è un’opportunità, questa lo è non solamente per uscire dalla crisi causata da Covid-19, ma anche soprattutto per utilizzarla come opportunità per rivedere una serie di cose che dovevano essere già riviste da molti anni – si parla già da molti anni di risorse proprie dell’Unione, di un bilancio Ue più ambizioso. La Commissione si è posizionata. Non sappiamo quello che sarà poi l’esito, ovvero dove ricadrà il punto di accordo tra gli Stati membri, ma gli schieramenti sono chiari. Quindi, è evidente che, qualora ci dovesse essere un punto di atterraggio molto meno ambizioso, sarà perché noi – inteso come noi che vogliamo un piano più ambizioso – non saremo stati in grado di negoziare un punto di atterraggio all’altezza. Tutto questo per dire che da parte della Commissione questo è un grande aiuto, perché ci posiziona a negoziare in maniera efficace nell’arco di un lungo negoziato. Siamo ben posizionati, però naturalmente dovremmo essere bravi noi per cercare di portare il risultato a casa”.

Veronica De Romanis: “L’Europa è scesa in campo in questa crisi con misure senza precedenti. Il Recovery fund, che oramai si chiama Next Generation Eu – un nome molto azzeccato, perché dà l’idea di voler investire nelle prossime generazioni che sono, dobbiamo ammetterlo, le generazioni più penalizzate da questa crisi – è un intervento che riguarda 750 miliardi, per l’Italia ci sono circa 170 miliardi, di cui 2/3 come trasferimenti che non dovranno essere rimborsati. Ovviamente, questo si aggiunge a un pacchetto già esistente, che riguarda il Meccanismo europeo di Stabilità (Mes), i fondi della Banca europea degli investimenti (Bei), i fondi per le politiche attive sul lavoro (Sure) e l’utilizzo dei fondi strutturali che non sono stati utilizzati. L’Italia può contare già dal 1° giugno su 80/90 miliardi, c’è l’intervento della Bce, che ci compra 220 miliardi entro la fine dell’anno, e ora abbiamo un nuovo strumento. Questo nuovo strumento – va detto subito – non è pronto, disponibile domani, né purtroppo dopodomani, ma ci vorrà del tempo. Abbiamo una proposta della Commissione, che giudico veramente un passo importante, soprattutto verso una maggiore integrazione fiscale, ma ovviamente dovrà essere discussa dai capi di Stato e di governo a giugno. Com’è disegnata questa proposta della Commissione? L’obiettivo è quello di rendere le economie più resilienti, perché siamo parte di un club e vogliamo che l’area sia forte e stabile. Quindi, andrà ad aiutare chi è stato più colpito e questo significa l’Italia per primo, poi la Spagna con 140 miliardi circa. Come? Con un fondo temporaneo – è importante dirlo: von der Leyen ha detto “temporaneo ed eccezionale”, che durerà fino al 2022. Quali sono gli strumenti? Ci sono tre pilastri: degli strumenti specifici per aiutare gli Stati a fare delle riforme; degli strumenti specifici per aiutare le imprese che hanno bisogno di capitale; poi uno strumento specifico, che è chiamo con un nome molto opportuno, “lezioni dalla crisi” (cioè fare tutte quelle cose per evitare di trovarci nella situazione così drammatica come quella attuale nell’eventualità di un’altra crisi), cioè produrre tamponi, mascherine e dispositivi in Europa e creare prodotti europei, senza dipendere più troppo da altri Paesi e soprattutto investire nella ricerca. Come si possono ottenere queste risorse? Ci sono delle condizionalità, o meglio incentivi: bisogna presentare un piano di riforme – in realtà queste riforme devono essere in linea con la raccomandazione dell’Ue – e sono quelle cose che da anni ci diciamo di dover fare, ossia investire nel digitale, nell’economia verde, nelle infrastrutture, nella scuola, nell’educazione. Non ci viene chiesto nulla che sia diverso da quello che abbiamo scritto nei nostri piani di riforma. Quali sono le risorse? Qui sta la grande novità: verranno messi bond basati sul bilancio europeo, che dovrà essere aumentato, e dovranno essere aumentate le risorse proprie, quindi ci sarà una tassazione, una capacità europea di tassare. Ecco perché, secondo me, è molto importante il segnale che si sta dando: l’Europa c’è e soprattutto c’è un’Europa più rafforzata, che sta andando verso una maggiore integrazione fiscale e quindi che va a completare un progetto europeo. Quello che abbiamo imparato dalla precedente crisi, e che stiamo cercando di migliorare in questa crisi, è che la costruzione europea è incompleta e quindi può essere debole, non sufficiente per rispondere a una crisi. Siamo un’Unione monetaria, ma non siamo un’unione fiscale e non siamo un’unione politica. Questo è un grande passo in avanti”.

Paola Subacchi: “La mia reazione al Recovery fund è innanzitutto molto positiva. È quello che ci si aspettava ed era stato già annunciato da molto tempo. Il fatto che sia stato annunciato in maniera decisa e chiara è molto importante. Naturalmente i dettagli tecnici sono fondamentali. Qui abbiamo un fondo composto da due elementi: un elemento di prestiti a fondo perduto e un elemento più legato alla restituzione delle somme prese a prestito. Direi che l’impostazione del fondo è importante, dal punto di vista dell’innovazione e degli strumenti perché il fatto che vengano presi in considerazione prestiti a lungo termine garantiti dalla Ue è un’innovazione sia dal punto di vista finanziario ed economico che dal punto di vista politico. È un fondo che dà molto ossigeno ai Paesi che sono stati colpiti più duramente dalla crisi del Covid-19, in particolare l’Italia e la Spagna, ed è un fondo che attribuisce le quote in maniera più che proporzionale. Queste sono appunto le novità. Naturalmente, non è invece innovativo dal punto di vista dell’intervento di policy, perché riprende un punto molto caro ai tedeschi: quello delle riforme strutturali. È quanto avevamo visto all’epoca della crisi finanziaria e sovrana del 2009-2012, quando i tedeschi avevano insistito sulle riforme strutturali in un Paese duramente colpito dalla crisi come la Grecia. Lo stesso problema lo riscontro nel nuovo fondo, nel senso che è tutto sulle riforme strutturali, che sono giuste e importanti da fare, ma sono riforme di lungo periodo. Quello di cui abbiamo bisogno è una sorta di ponte tra gli interventi a breve termine, che sono serviti per aiutare e letteralmente salvare le economie, e la ripresa e il sostegno nel lungo periodo, cambiamenti strutturali per modificare, come ha detto la presidentessa von Der Leyen, l’economia europea. Ciò che sembra mancare è il come rilanciare le economie dopo questa crisi. Quindi, ancora una volta le riforme strutturali fanno giustamente a una serie di riforme dal lato dell’offerta, ma non c’è sufficiente attenzione a come rilanciare la domanda, importantissima se si vuole riprendere l’attività economica e riportarla ai livelli pre-crisi e recuperare le perdite dovute allo shock”.

Valentina Meliciani: “Mi sono fatta un’idea tutto sommato positiva, nel senso che anche rispetto alla prima proposta di Francia e Germania, la proposta emersa ieri è leggermente più generosa, nel senso che si parla di 750 miliardi, si confermano i 500 a fondo perduto e se ne aggiungono altri 250 nella forma di prestiti. Ovviamente, è una base di partenza e bisognerà poi vedere le cifre effettive e soprattutto la ripartizione di questo ammontare di risorse tra i diversi Paesi dell’Unione europea. Ora come ora sembrerebbe che all’Italia debba arrivare la quota maggiore di queste risorse in quanto Paese maggiormente colpito dalla crisi. Quello che trovo particolarmente interessante dal punto di vista economico in questa proposta è il cambiamento di logica, anche se siamo soltanto al punto di partenza, ovvero l’idea che ci possa essere innanzitutto una mutualizzazione del debito, quindi un’emissione di debito dalla Commissione Europea che raccoglie risorse che poi vengono distribuite tra Paesi non in base ai contribuiti al bilancio pluriennale europeo ma in base all’entità con cui le diverse economie sono state colpite dallo shock. Quindi,  l’idea che c’era anche quando è stata creata l’Unione monetaria – poi ci fu tutto il dibattito su come impostare le politiche fiscali – che a fronte di uno shock, in questo caso simmetrico ma con effetti asimmetrici, ci possano essere meccanismi di redistribuzione interni all’Ue. Questa novità è importante, anche se eventualmente le risorse non dovessero essere poi così ingenti come sembrano dai primi numeri, visto che bisognerà vedere come questo debito dovrà eventualmente essere ripagato in un’ottica di lungo periodo. Altro elemento interessante è di poter ripagare il debito con risorse che vengono recuperate dalla Commissione stessa attraverso meccanismi di tassazione europea: tassa sul digitale, distribuzione dei permessi per inquinare tra i diversi Paesi, capacità propria di raccogliere risorse a livello europeo, anche questo è un elemento molto interessante. Bisogna vedere se realmente questa capacità ci sarà, quale fetta di restituzione del debito questa tassazione potrà ricoprire e, qualora non si arrivi all’intero ammontare, come verranno ripartite le risorse restituite. Sperando che l’idea che questo debito debba necessariamente essere rimborsato a una scadenza prefissata, magari con il tempo possa venir meno perché l’idea del debito per finanziare investimenti di lungo periodo non è l’idea che poi questo debito debba necessariamente essere rimborsato. Nel senso che, se questo debito fungerà da stimolo alla crescita dell’economia europea, perché gran parte di queste risorse dovrebbero essere spese in base al fondo di rilancio e resilienza dell’Europa volto a finanziare investimenti, in realtà, se questi investimenti stimoleranno crescita – sappiamo che se il finanziamento viene erogato a tassi di interesse bassi e stimola una crescita dell’economia elevata – anche l’onere di finanziamento è contenuto. Tutta questa è una scommessa su come queste richieste di risorse saranno investite e se saranno capaci di far ripartire un processo di crescita europea”.

LE PERPLESSITÀ DEI PAESI FRUGALI

Nathalie Tocci: “In merito alla posizione dei Paesi “frugali” (Austria, Danimarca, Olanda, Svezia ndr) sicuramente è un problema vedere nell’Ue “Babbo Natale“. L’Unione non lo è e in questo loro hanno ragione. Quindi, sono favorevole all’idea che questi siano fondi canalizzati attraverso determinati programmi, che hanno una chiara finalità. Non sono soldi a fondo perduto, a pioggia: devono avere una finalità. Condivido l’idea che debbano esserci delle regole, una chiara direzione di marcia. Altrimenti è semplicemente un grande spreco, perché probabilmente non verrebbe utilizzato per il fine ultimo di questo progetto, ossia il fatto che all’interno dell’Eurozona e dell’Ue ci sono stati dei trend economici divergenti. Quello che deve ottenere questa iniziativa è far sì che la dinamica ridivenga convergente all’interno dell’Unione. Deve fare i compiti che non sono stati fatti dopo la crisi dell’Eurozona. Ripeto: sono a favore di regole e programmi, non di sussidi a pioggia. Ma dov’è il mio disaccordo? Il fatto che da parte dei quattro frugali non c’è semplicemente un’attenzione sacrosanta per le regole, ma c’è di fatto una resistenza nel vedere un ruolo sovranazionale più forte di quello che è stato, che naturalmente è implicito in un’Unione che arriva a essere il 2% di risorse proprie“.

Veronica De Romanis: “Per quanto riguarda la reazione dei Paesi “frugali”, non sarà un negoziato semplice, sarà un negoziato lungo. Angela Merkel, che è un po’ la madrina di questa proposta lo ha già detto. Ma qual è la posizione dei frugali? Sono scettici nel dare contributi a fondo perduto, trasferimenti. Vorrebbero una percentuale di prestiti maggiore. Quello che mi sembra di capire è che loro vorrebbero che questi soldi venissero utilizzati nel modo migliore per rafforzare l’intera area. Questo, diciamo, in passato non è avvenuto, perché noi siamo un Paese che – se guardiamo la precedente crisi, dal 2015 in poi, quando c’è stato un inizio di recupero – non ha fatto altro che aumentare il debito, ma non ha investito negli ambiti che servono per aumentare la produttività e la crescita potenziale del nostro Paese. Una cifra: abbiamo speso negli ultimi anni 20 miliardi, una cifra significativa, per Reddito di cittadinanza, Quota 100 e gli “80 euro”. Queste non sono misure che fanno aumentare il potenziale del nostro Paese. Lo abbiamo visto nei dati: abbiamo chiuso il 2019 con un Pil fermo, fanalino di coda rispetto agli altri Paesi europei. Quindi, il timore dei frugali è che questi soldi non vengano investiti dove servano. Ma ci vuole poco a rassicurarli: basterà presentare il piano di riforma che da anni tutti i Paesi – diciamo in campagna elettorale, poi al governo cambiano un po’ idea – dicono di voler fare: una giustizia più rapida, una pubblica amministrazione più efficiente, una sanità che funzioni, la ricerca e l’educazione, le infrastrutture. Non c’è nulla di veramente nuovo o particolarmente bizzarro che ci viene chiesto dalla Commissione europea per accedere a questi fondi”.

Paola Subacchi: “Credo che, in linea di massima, l’idea di questo fondo di ristrutturazione e sostegno sia stata accettata soprattutto perché ci sono Francia e Germania fortemente coese su questa idea e chiaramente anche le altre due grandi economie europee, Spagna e Italia, sono parte della partita. Vorrei sottolineare, dal mio punto di vista, che è Londra, che è importante che gli inglesi non siano intorno al tavolo, in quanto credo che avrebbero ostacolato e si sarebbero schierati con i quattro frugali“, le economie del Nord Europa. Il fatto che non abbiamo gli inglesi è vantaggioso per le economie italiana e spagnola, che hanno più bisogno di questi fondi. Il concetto in sè è ormai dato per assodato, ma sarà interessante vedere come verrà messo in atto e soprattutto quali saranno i tipi di richieste e i dettagli in cui verranno articolati. Questo non è free money, denaro libero per tutti, ma ci saranno delle forme per la richiesta che richiederanno impegni da parte degli Stati che si avvantaggeranno del fondo. Quindi, impegni sulle riforme strutturali, su come i fondi verranno spesi e una serie di garanzie che questi soldi non vengano buttati via, perché questo è il grosso problema di molti Paesi Ue, specialmente i quattro del Nord ma non solo. Il problema per alcuni governi è anche quello di come presentare questo programma ai propri elettori in un momento in cui c’è una grande dose di euroscetticismo. Bisognerà osservare nel dettaglio come questo piano verrà eseguito e quali saranno le richieste che verranno fatte. In Italia si parla molto di condizionalità, soprattutto se n’è parlato riguardo il Mes. Chiaramente, la condizionalità è una grossa scatola in cui si può buttare dentro qualsiasi cosa. Che cosa significa dipende: ad esempio, c’è una condizionalità legata agli interventi del Fondo Monetario Internazionale che impongono condizioni forti sui Paesi che devono essere salvati. Nella condizionalità Ue non siamo in quest’ottica, ma saranno comunque richieste garanzie e prevedo che la strada per l’approvazione del piano di salvataggio e rilancio ha ancora molti punti da discutere e sui quali ci sarà un compromesso anche di tipo politico”.

Valentina Meliciani: “Di per sé non è sorprendente se pensiamo che addirittura all’interno dell’Italia di tanto in tanto abbiamo continue discussioni sul fatto che le risorse affluiscono e si spostano dal Nord Italia, produttivo e virtuoso, al Sud, che ne fa un utilizzo distorto. Non è sorprendente che avvenga tra Paesi che hanno cultura diversa, tanto che avviene anche all’interno dello stesso Paese. Su quanto sia giustificabile e quanto no ci sono due ordini di considerazione da fare: da un certo punto di vista c’è il problema che in Italia a volte le risorse non sono spese nel miglior modo possibile. I governi hanno un’ottica di breve periodo – si pensi soltanto alle ultime grandi spese che abbiamo fatto: quelle per mandare in pensione le persone più presto e così via, che non hanno la capacità di stimolare crescita nel lungo periodo come l’avrebbero gli investimenti. Sicuramente che le risorse siano utilizzate bene dovrebbe essere una priorità interna del nostro Paese, oltre che una critica esterna. Se però guardiamo in un’ottica collettiva – cosa che dovremmo fare – c’è una forte interdipendenza tra tutte le nostre economie, cosa che la Germania ha capito molto bene. Non si deve parlare di generosità, ma semplicemente di un obiettivo comune che l’Europa ha e quindi si deve avere un coraggio maggiore nelle scelte, avendo presente che un’area com’è l’Europa, composta da tanti Stati di diverse dimensioni, non va da nessuna parte se non c’è un approccio europeo condiviso, a prescindere dagli errori che i diversi Paesi fanno nella gestione delle risorse. Un approccio unitario su come le risorse vengono spese, sotto il controllo della Commissione, è l’unica strada che può portare crescita nel lungo periodo e che può far sopravvivere l’Europa”.

IL NOSTRO PAESE

Nathalie Tocci: “Per quello che riguarda l’Italia, il tema in questo momento è arrivare ad assicurarci che effettivamente ci sia un piano così ambizioso, perché per adesso rimane semplicemente una proposta. È chiaro che se nei prossimi giorni, nelle prossime settimane tutta la nostra energia viene risucchiata da un dibattito interno con forze centrifughe che ci dilaniano, allora è evidente che non riusciremo ad avere l’attenzione, la concentrazione e la forza – quello che è il nostro dibattito interno viene osservato esternamente – di portare a casa il risultato. Se si dovesse poi arrivare a tale risultato, a quel punto effettivamente diventa un’opportunità per l’Italia. Però ci dobbiamo arrivare. Per adesso la cosa importante è che se ne parli, ma che questo dibattito sia mirato a un fine, ossia quello di portare il risultato a casa”.

Veronica De Romanis: “L’Italia riuscirà effettivamente a spendere questi soldi? Qui va detta una cosa importante: mai un governo ha avuto a disposizione una quantità di risorse così significativa. È una grandissima responsabilità e opportunità. Si può veramente cambiare il Paese con queste risorse. Nutro qualche perplessità per tre motivi: il primo è che abbiamo una situazione politica molto instabile e questo è un ostacolo, perché l’instabilità politica è un problema nel processo decisionale. Due: abbiamo una pubblica amministrazione estremamente farraginosa, non penso che si cambierà a breve anche se si dovrebbe, e questo anche rende il processo decisionale e soprattutto quello di implementazione delle decisioni complicato. Per terzo, il passato non lascia bene sperare: siamo il Paese che più di tutti ha speso male i fondi strutturali e infatti una delle nuove decisioni prese dalla Commissione europea fa sì che non si debbano restituire i fondi strutturali che non abbiamo speso – abbiamo ancora 25 miliardi di fondi strutturali che non abbiamo speso, che non dobbiamo restituire e che questa volta dobbiamo spendere. Questo però dimostra che non siamo capaci di spendere anche quando abbiamo le risorse. L’ultimo punto sul futuro che non lascia ben sperare: si sente già – lo ha dichiarato il ministro all’Economia Gualtieri, lo ha dichiarato il ministro degli Esteri Di Maio – la volontà di utilizzare parte di questi soldi per la diminuzione dell’Irpef. Qui bisogna chiarire in maniera definitiva: come ha detto la von der Leyen – lo dicevo prima – sono risorse temporanee, eccezionali e non si può basare una riforma permanente come quella dell’Irpef con misure temporanee, perché significa di nuovo applicare metodi del passato. Cioè ipotecare il futuro dei nostri giovani con maggior debito futuro. Questi elementi lasciano qualche perplessità, ma ovviamente spero di sbagliarmi”.

Paola Subacchi: “Il dibattito interno italiano chiaramente lo vedo da fuori. Questa è una grossa opportunità per l’Italia e ciò che fino ad ora ho percepito è la volontà di utilizzare questa crisi per rilanciare l’economia italiana. Bisognerà poi vedere se ci sarà la possibilità di spendere, come viene chiesto dai partner europei, questi fondi per rilanciare e modernizzare l’economia italiana. Temo che ci saranno molte tensioni politiche perché da alcune parti questo fondo verrà interpretato – soprattutto la porzione di fondo perduto – come una sorta di coperta con la quale cercare di far fronte all’emergenza, che non è lo spirito di questo fondo. Occorrerà chiarirsi le idee su quello che si può fare con questa opportunità e quello che i partner europei si aspettano”.

Valentina Meliciani: “Il dibattito nazionale italiano, da quello che si è visto fino ad adesso, ha avuto una qualità piuttosto bassa, nel senso che ha prevalso la strumentalizzazione politica di ogni tipo di riforma o proposta a livello europeo. Così è stato con il Mes e mi sorprenderei se l’approccio fosse diverso per questa nuova iniziativa. Questo, purtroppo, non giova perché un dibattito sul modo più appropriato di utilizzare le risorse e anche più costruttivo da parte di tutte le forze politiche su come mandare avanti la proposta avrebbe un significato importante. Purtroppo, fino ad ora la qualità del dibattito politico non è stata eccelsa”.