Parsimoniosi o difensori dei vantaggi ottenuti?
Austria, Danimarca, Paesi Bassi, Svezia sono stati soprannominati dal Financial Times i “frugal four“, i quattro parsimoniosi. Una definizione che a molti è sembrata poco appropriata. Forse per il richiamo a un concetto di austerità che, visti i danni provocati dall’approccio seguito per affrontare la crisi del 2010-2012, non ha pagato in termini di ripresa e crescita di tutta l’area euro.
La linea di frugalità
Il gruppo dei quattro Paesi ha cominciato a definirsi così e a muoversi compatto durante le prime discussioni avviate lo scorso anno per definire il nuovo quadro finanziario pluriennale 2021-2027 dell’Unione europea – discussioni rese ancora più complesse dal venir meno del contributo britannico, che farà mancare circa 10 miliardi di euro all’anno. I quattro hanno sostenuto un approccio molto restrittivo sulle risorse da assegnare al bilancio comune, da contenere intorno all’1% del prodotto interno lordo dell’Ue, e si sono schierati a favore di tagli e riduzioni.
Sono poi emersi con una linea di “frugalità” ancora più ferma nel dibattito che si è aperto tra i paesi membri sul Recovery Fund, il nuovo strumento finanziario per la ricostruzione destinato ad aiutare l’economia europea a uscire dalla crisi provocata dal Covid-19. Quello che più ha colpito è stata la scelta di contrapporsi con un documento comune alla proposta Macron-Merkel di un fondo di 500 miliardi di euro, legato al bilancio dell’Ue dei prossimi sette anni, per aiuti sotto forma di trasferimenti e non di prestiti alle regioni e ai settori degli Stati membri colpiti più duramente dalla recessione economica. Proponendo invece un fondo di emergenza limitato a due anni, basato su prestiti “a condizioni favorevoli” e condizionato a piani di riforme. Una proposta che rischia di aumentare il livello di debito delle economie più deboli. Hanno chiesto anche di “proteggere le spese dalle frodi“, coinvolgendo procura europea Eppo, Antifrode europeo Olaf e Corte dei Conti europea. Facendo intendere che i Paesi che hanno bisogno di aiuti debbano essere sospettati di frodi e ruberie.
Cosa unisce i quattro
A quel punto è venuto istintivo chiedersi perché Paesi che vantano buone performance economiche, con sistemi sociali, di welfare, considerati tra i migliori in Europa, Paesi che non richiamano un’idea di frugalità ma di benessere, abbiano scelto, con una visione a dir poco miope della congiuntura attuale, di giocare la parte dei “cattivi” che lesinano risorse a Paesi in difficoltà perché colpiti in modo drammatico dall’epidemia. E soprattutto si è fatta strada la curiosità di capire cosa unisce davvero Austria, Danimarca, Paesi bassi, Svezia.
Per capirlo è necessaria una breve ricostruzione storica, da cui si scopre che le questioni finanziarie non sono mai state estranee al processo di integrazione europea. Nel 1979 il premier britannico Margaret Thatcher aprì un duro scontro con i partner chiedendo di ridurre lo squilibrio di bilancio del Regno unito, il divario, cioè tra quanto Londra versava al bilancio comune e quanto riceveva con le politiche comuni, squilibrio ritenuto eccessivo e riassunto nella famosa frase “I want my money back“. La disputa si trascinò per anni bloccando la discussione sugli altri dossier e si chiuse nel 1984 al Consiglio europeo di Fontainebleau con una sostanziale vittoria della Lady di ferro, che ottenne un rimborso, la restituzione per un importo pari al 66% della differenza tra il contributo del Regno unito al bilancio dell’Ue e l’importo ricevuto con i finanziamenti europei.
La Germania, principale contribuente netto al bilancio, ottenne subito una riduzione della quota che avrebbe dovuto versare in più. Il principio della compensazione strappato dalla Thatcher era definitivo e ritenuto non negoziabile da tutti i leader britannici che si sono succeduti. L’onere finanziario della compensazione riconosciuta al Regno Unito (rebate) è stato ripartito tra gli altri Stati membri proporzionalmente alla loro quota relativa del Rnl della Cee/Ue.
Cosa che ha portato negli anni a mettere in piedi un complicato sistema di rebates e concessioni allargate a altri paesi. Nel 2002 la Germania, l’Austria, i Paesi Bassi e la Svezia hanno ottenuto di pagare soltanto il 25% della loro quota normale di finanziamento della correzione per il Regno Unito. Per il periodo 2014-2020, con una correzione sulla correzione, è stato garantito un ulteriore sconto su quanto pagato in sette anni in proporzione al Rnl : 60 milioni di euro all’Austria, 130 milioni alla Danimarca, 695 milioni ai Paesi bassi, 185 milioni alla Svezia.
La fine del rebate
Dato che nel 2020 con l’uscita del Regno unito si chiude il capitolo rebate, la Commissione europea nell’ottobre 2019 ha proposto di eliminare ogni forma di rimborso e quindi tutte le agevolazioni che hanno portato a un sistema definito “opaco e ingiusto”. Il documento della Commissione denuncia infatti una situazione che vede i Paesi che godono delle correzioni versare una percentuale del loro reddito più bassa degli altri.
In altre parole, gli Stati più ricchi pagano meno in percentuale del loro reddito nazionale lordo pro capite. I Paesi bassi, ad esempio, prendendo a riferimento il reddito nazionale lordo, contribuiscono al bilancio con una spesa dello 0,67 %, la quota più bassa in assoluto. Italia, Francia e Spagna hanno una percentuale tra lo 0,85% e lo 0, 86%.
La seconda parte dell’articolo è stata pubblicata su AffarInternazionali lunedì 1 giugno 2020