Non ci si salva da soli: il futuro della cooperazione allo sviluppo
Di fronte a guerre, alluvioni, terremoti, carestie, le organizzazioni di cooperazione allo sviluppo sono attrezzate e, grazie a una lunga esperienza sul terreno, sanno immediatamente come agire. La pandemia di Covid-19, invece, per i suoi connotati inediti spiazza, costringe a mettere in campo soluzioni anticonvenzionali e a promuovere nuove alleanze.
I Paesi in via di sviluppo si trovano ad affrontare un’emergenza sanitaria, economica e sociale ora e nel medio periodo: cresceranno i bisogni sociali e la povertà, mentre si ridurranno i fondi pubblici, perché i bilanci degli Stati colpiti dallo stesso virus non permetteranno di stanziare molte risorse per la cooperazione, e vi sarà un calo drastico delle rimesse degli immigrati ora disoccupati.
Perciò il modo di operare delle organizzazioni non governative (Ong) senza mai interrompersi, sta però già trasformandosi, dal modo di pensare e scrivere i progetti al modo di realizzarli. Il virus non distingue, tratta tutti allo stesso modo, ma le diseguaglianze tendono a crescere e la dignità delle persone al fianco delle quali camminiamo chiede di essere tutelata con ancor più cura.
Dal Libano al Kenya
Nel sud del Libano la nostra presenza nei campi profughi a fianco dei rifugiati siriani non si arresta. Non tutte le attività previste si possono realizzare a causa del lockdown stabilito dalle autorità, ma si adattano. I bisogni, in un Paese che accoglie 1 milione e mezzo di rifugiati siriani e che affronta una crisi economica interna pesantissima, sono aumentati. Ora visitiamo i campi per fare prevenzione alla diffusione del Covid-19 e spiegare cosa fare in caso si manifestino sintomi. Viene curata la formazione del personale così come viene favorita la distribuzione di igienizzanti e sapone, e stiamo realizzando campagne di sensibilizzazione per favorire la prevenzione, anche ricorrendo a WhatsApp per raggiungere più persone possibile. Gli assistenti sociali continuano a portare avanti le attività di protezione dell’infanzia e delle famiglie, attraverso la distribuzione di kit con attività ludiche da svolgere in famiglia e a garantire supporto psico-sociale e proposte educative a distanza.
Anche nel segno della nuova strategia digitale europea, presentata dalla Commissione a febbraio, si trasformano i contenuti dei progetti in formati erogabili a distanza, attraverso piattaforme digitali con video tutorial e giochi didattici.
In Africa si sta agendo creativamente per favorire l’educazione via radio: un progetto finanziato dal World Food Programme (Wfp) delle Nazioni Unite ha messo in rete una dozzina di radio locali per la messa in onda di percorsi didattici per i bambini lontani da scuola, e nel campo rifugiati di Dadaab in Kenya si mantengono i training per gli insegnanti sulla piattaforma Zoom. Così come l’uso di applicazioni su cellulare per la gestione e il trasferimento di denaro diventa un metodo utile a evitare contatti fra persone e limitare l’utilizzo di banconote.
La necessità di una strategia europea
Ma in questo scenario è fondamentale che cresca anche l’impegno delle istituzioni europee nel sostenere il mondo della cooperazione, per esempio eliminando o congelando il cofinanziamento con risorse proprie da parte delle organizzazioni della società civile dei progetti europei in corso. Proprio quando il susseguirsi degli eventi, i dati della crisi economica paventerebbero la necessità di una battuta d’arresto nelle attività, è auspicabile che l’Unione europea, il principale donatore mondiale in materia di aiuti allo sviluppo, non solo non blocchi il sistema, anzi lo sostenga.
Le diverse direzioni generali dovrebbero velocizzare la valutazione di progetti in istruttoria, modificare le attività di quelli in partenza in base ai nuovi bisogni emersi e proseguire con l’erogazione dei fondi previsti per il 2020. In questo modo il tempo dell’emergenza sarebbe ben sfruttato e quando questa sarà passata, i progetti potrebbero partire senza ulteriori ritardi.
Pensare al dopo
La nuova “Strategia con l’Africa” presentata dalla Commissione europea in marzo, appena pochi giorni prima del lockdown, aiuta a pensare al “dopo” perché supera il concetto di cooperazione allo sviluppo per puntare su quello di partnership a più livelli. Che è ciò di cui abbiamo bisogno ora.
Le 10 azioni congiunte che la strategia propone possono avvenire solo con il coinvolgimento di tutti gli attori tra cui le organizzazioni della società civile, dalla transizione verde alla trasformazione digitale, la cui urgenza si è amplificata ai tempi del Covid-19; dagli investimenti sostenibili in campo ambientale, sociale e finanziario attraverso l’African Continental Free Trade Agreement – l’area di libero scambio su scala continentale – alle riforme e politiche adeguate ad attrarre investitori; dalla tutela della pace nel pieno rispetto dei diritti umani, dei principi democratici, dello stato di diritto e della parità di genere alla questione migratoria.
Oggi molti donatori tra cui la stessa Unione europea stanno chiedendo idee alle realtà della società civile su come continuare le attività. Questo rapporto di fiducia dovrà proseguire anche dopo. È quindi essenziale che le istituzioni trovino modalità innovative come consultazioni online con le organizzazioni della società civile che stanno ancora lavorando nei Paesi e che possono dare indicazioni nuove sui reali bisogni e priorità per il futuro, alla luce dei cambiamenti che il presente sta imponendo. Il Summit Unione europea-Unione africana che da calendario dovrebbe tenersi a ottobre e il prossimo quadro finanziario pluriennale 2021-2027 con l’introduzione del nuovo Neighbourhood, Development and International Cooperation Instrument (Ndici) sono processi che l’emergenza non può interrompere.
Pena smarrire l’idea stessa di Unione europea: in questo panorama spiazzante l’Ue è chiamata a coinvolgere e sostenere come co-protagonisti di uno stesso cammino le stesse organizzazioni della società civile. Se questa pandemia ha lasciato emergere una certezza, è che non ci si salva da soli.