IAI
Un confronto tra Europa e Asia

Le misure delle app anti Covid-19, tra privacy ed efficacia

10 Mag 2020 - Pino Pisicchio - Pino Pisicchio

Nei prossimi giorni partirà in Italia l’adozione della app Immuni, discussa misura di tracciamento anti-coronavirus contenuta nel Dl 30 aprile 2020, n. 28. Si tratta di un sistema di individuazione dei contatti e dei contagi, da attivare su base volontaria, istituito presso il Ministero della Salute, riproponendo una modalità già sperimentata con successo in alcuni altri Paesi, in particolare dell’Asia orientale.

L’orientamento dell’Ue
Il governo italiano nell’adozione di strumenti d’identificazione digitale, si muove in linea con gli orientamenti dell’Ue che, attraverso la Commissione, ha elaborato indicazioni relative alle specificità delle app progettate per contrastare la pandemia in atto, compatibili con la normativa europea in materia di protezione dei dati personali e della riservatezza, in particolare il regolamento generale sulla protezione dei dati (Gdpr) e la direttiva e-privacy.

I documenti dell’Ue hanno più volte sottolineato la preoccupazione di non pregiudicare il diritto alla privacy del cittadino tracciato, chiedendo che i titolari del trattamento dei dati fossero le autorità sanitarie locali e insistendo particolarmente sulla volontarietà della installazione della app, con la raccomandazione di non prevedere conseguenze dannose per chi di non ne accetti l’impiego.

App tra democrazie e asian value
L’utilizzo del tracciamento della popolazione ai fini di contrasto alla pandemia attraverso le app si manifesta nell’esperienza internazionale con un andamento dicotomico: laddove gli ordinamenti si ispirano alla cultura liberaldemocratica di impianto occidentale, che iscrive nel bouquet dei diritti fondamentali la riservatezza dei dati personali, la sperimentazione stenta a partire o si afferma con una necessaria parzialità.

Invece, in Estremo Oriente, dove gli ordinamenti giuridici sono ispirati dagli “asian value” che ribaltano il catalogo delle libertà individuali privilegiando il comunitarismo di stampo confuciano, le applicazioni per il monitoraggio della popolazione rappresentano una esperienza abituale e tendenzialmente garante di un controllo che raggiunge livelli molto alti nella cittadinanza. Può apparire utile un rapido excursus sullo stato dell’arte nell’uso delle applicazioni nei diversi contesti continentali.

Comparazione tra governi occidentali
Significative appaiono le determinazioni di alcuni stati membri dell’Ue, come la Francia e la Spagna, che, pur avendo preso in considerazione la possibilità di adottare strategie di tracciamento digitale per le persone potenzialmente contagiate a causa di contatti con portatori di Covid-19, tuttavia appaiono ancora in fase di valutazione preliminare sull’adozione delle app.

In particolare, nel contesto francese si registra un’iniziativa dell’operatore di telefonia mobile Orange che sta realizzando, a fini di prevenzione, un piano di condivisione di dati (aggregati e anonimi) di geolocalizzazione con l’Istituto nazionale di ricerca sulla salute (Inserm). Anche la Spagna prevede di utilizzare i dati sulla posizione del cellulare per tracciare l’adesione degli utenti alle misure di blocco – gli stessi dati saranno utilizzati dal ministero della Salute per programmare una app per l’autovalutazione da parte dei cittadini.

Diverso l’atteggiamento delle autorità tedesche che hanno dichiarato, attraverso il ministro dell’Interno, di non prevedere il tracciamento dei dati attraverso il telefono cellulare, mentre il ministro della Sanità ha insistito sul carattere volontario di strumenti di monitoraggio della popolazione attraverso lo smartphone. Così come in Francia e in Spagna, anche in Germania l’operatore telefonico ha annunciato una collaborazione con l’istituto di ricerca governativa (Robert-Koch Institute), condividendo i dati anonimi sulla posizione dei suoi utenti sulla salute.

Ancora in Europa, ma fuori dall’Ue, anche nel Regno Unito è aperto il dialogo con BT Group, l’operatore telefonico ex monopolista statale, sull’uso dei dati per monitorare l’efficacia delle misure di distanziamento sociale.

Fuori dal continente europeo il mondo occidentale oscilla tra l’atteggiamento di controllo rigoroso di Israele, con norme che devolvono ai servizi di sicurezza il potere di tracciare gli spostamenti delle persone sospette o positive al virus e quello degli Usa, che solo adesso comincia ad utilizzare i dati dei telefoni mobili per il tracciamento della popolazione.

Modelli asiatici
Di tutt’altro registro il quadrante asiatico, dove l’applicazione delle app per il tracciamento non sempre è affidata alla scelta del cittadino. In particolare la Repubblica Popolare Cinese obbliga i cittadini a subire il tracciamento dei loro spostamenti utilizzando un’app (Alipay health code system) in grado di incrociare i dati personali al fine di limitare la mobilità sul territorio in caso di pericolo di contagio.

Singapore, che nel 2020 completerà il programma di digitalizzazione totale promosso dal governo 200.000 smart objects (telecamere, droni, microsensori, app volontariamente scaricate sugli smartphone) per effettuare il monitoraggio assoluto h24 su tutta la popolazione, ha attivato da subito l’app TraceTogether, per il tracciamento, su base volontaria, della popolazione. Non diversamente ha agito il governo della Corea del Sud adottando una politica di contact tracing particolarmente invasiva.

E l’Italia?
A fronte del variegato contesto mondiale l’Italia, dunque, si appresta ad adottare dal 18 maggio l’app Immuni. Ora, dando per accolta la posizione di chi, come il garante della privacy, chiede garanzie convincenti per la gestione di questi dati sensibilissimi, resta la domanda sull’efficacia di un contact tracing necessariamente parziale. Parziale sia per le ragioni del digital divide, che emargina a priori forse un 30% della popolazione, in particolare quella anziana, peraltro più a rischio contagio, ma anche per l’adozione solo volontaria del sistema.

Non è ancora chiaro quanto alta possa essere la soglia attribuire un valore al tracciamento: gli esperti parlavano nei giorni scorsi di almeno il 60% degli italiani, secondo il ministero proponente di meno. Ponendo per ipotesi (improbabile) che vi fosse un’adesione di massa, addirittura del 90%, resterebbero comunque 6 milioni di italiani potenziali portatori di contagio non individuabili.

È una difficoltà non solo italiana, certo, ma resta ancora una domanda senza risposte convincenti: che ne faremo di una app che immagazzina tanti dati personali sulla salute e che molto probabilmente non arriverà a realizzare l’obiettivo che si prefigge?