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La fase 3 del quinquennio macronista

22 Mag 2020 - Alberto Toscano - Alberto Toscano

Il gergo politico francese definisce il Primo ministro un “fusibile“, paragone elettrico per indicare che, in caso di problemi, il capo del governo è destinato al sacrificio per impedire al presidente di scottarsi le dita. Edouard Philippe (eletto deputato nel 2012 come uomo di destra e passato nel 2017 con Macron, che lo ha appunto promosso primo ministro) conosce fin troppo bene la storia del “fusibile”.

Dunque, preferisce cambiare poltrona in quello che è per lui il momento più opportuno. Nel corso della pandemia di Covid-19, Philippe ha ispirato ai connazionali ben più fiducia di Emmanuel Macron. Se va via adesso, lo fa a testa alta, senza scalfire le prospettive di una carriera promettente. Eccolo dunque candidato sindaco a Le Havre, città da lui conquistata una prima volta nel 2010. È stato proprio Philippe ad annunciare, nella sua conferenza stampa del 22 maggio, la ripresa della surreale maratona delle elezioni comunali francesi, sospese a causa dell’epidemia dopo che il 15 marzo scorso ha avuto luogo il primo turno. I ballottaggi si svolgeranno il 28 giugno.

Fase tre del governo Macron
Sullo sfondo c’è la “fase tre” del quinquennio macronista. Finora il presidente ha cercato di riformare, ottenendo il suo scopo con la legge sul lavoro, ma fallendolo con la strategia di contenere la spesa pubblica. Alla fine del 2018, Macron ha dovuto fronteggiare la rivolta dei gilets gialli allora molto popolari nell’opinione pubblica in quanto emblema dei “dimenticati dal capitalismo”.

Il presidente ha ceduto, aprendo i cordoni della borsa a costo chiudere un occhio sul deficit. Su una cosa si è però impuntato: la riforma delle pensioni. Così, un anno esatto dopo la rivolta dei gilets gialli, sono stati i sindacati a scendere sul sentiero di guerra. Quella che avrebbe dovuto essere la principale riforma macronista non è mai stata approvata in via definitiva dal Parlamento e ormai si può dire che non entrerà in funzione. La ragione è ovvia: se vuole essere rieletto nella primavera 2022, Macron ha bisogno di tutto tranne che di nuovi scontri sociali.

La fase tre del mandato di Macron comincerà all’indomani del 28 giugno, ossia dei ballottaggi comunali. La liturgia della festa nazionale sembra fatta apposta per offrire al presidente, il prossimo 14 luglio, l’opportunità di annunciare il suo nuovo programma. Macron sarà tentato di cambiare qualcosa nel governo. Al minimo dovrebbe esserci un rismpasto, ma forse sceglierà un nuovo primo ministro. E qui si capisce perché Philippe sta mettendo le mani avanti.

Cosa ci ha detto il primo turno
Resta da esaminare l’importanza politica del secondo turno delle comunali e – per farlo – occorre tornare ai risultati del primo. Il 15 marzo 2020 i francesi hanno detto due cose: hanno giustamente paura del virus e dunque si sono massicciamente astenuti (tasso di partecipazione del 45%); hanno voglia di riesumare – in controtendenza con le elezioni del 2017 – i partiti tradizionali di destra e sinistra, a scapito sia delle estreme sia dei macronisti. Dato per scontato che – come ritiene ad esempio l’analista politico Pascal Perrineau l’astensione del 15 marzo non ha pesato granché sulle percentuali di voto dei singoli partiti, si può dire che i macronisti di Lrm (La République en Marche) sono i principali sconfitti del primo turno delle “municipali”. Le cose sono andate male anche per la sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon.

Lo stesso Rassemblement national di Marine Le Pen, passando all’estrema destra, deve rivedere le proprie ambizioni: è andato bene nelle località in cui era già forte, ma – con l’eccezione di Perpignano – non sembra in grado di fare grandi conquiste.

Grazie al loro radicamento locale, hanno invece rialzato la testa i partiti tradizionali che si erano rotti le ossa nel 2017. Malgrado la diaspora di molti suoi membri verso il macronismo, la destra storica dei Républicains ha ritrovato l’ottimismo. Gli stessi socialisti sperano in una rinascita, visto che Anne Hidalgo resterà con ogni probabilità sindaca di Parigi e Martine Aubry potrebbe tenere Lille. C’è poi il caso degli ecologisti, oggi il partito più rampante di Francia. Il 15 marzo non si sono limitati a una conferma nelle loro roccaforti, come Grenoble, ma sono aumentati in gran parte del paese, confermando cosi il trend favorevolissimo delle elezioni europee del giugno 2018.

Nuove proposte e campanelli d’allarme
Adesso Macron sembra rassegnarsi alla sconfitta del 28 giugno e preferisce voltare, appena possibile, la pagina delle comunali per lanciare al Paese le nuove proposte – vedremo se saranno davvero nuove – che dovrebbero caratterizzare la fase tre: ecologia, aumenti salariali, aiuti pubblici alle aziende rispettose dello sviluppo sostenibile. Quindi cresceranno deficit e debito (dall’attuale 100 al 135 % del Pil).

Intanto, Lrm ha perso la maggioranza all’Assemblea nazionale. L’ha persa di pochissimo, ma l’ha persa. Un nuovo gruppo parlamentare di 17 deputati (in gran parte eletti nel 2017 come macronisti) è stato creato sulla base proprio di quella linea politica social-ecologista che potrebbe ispirare le future iniziative presidenziali. Come dire che, anche tra i macronisti, non tutti sono pronti a credere all’Eliseo. Sul piano aritmetico non è un problema, visto che la maggioranza include il MoDem di François Bayrou, alleato di Lrm. Ma sul piano politico è un campanello d’allarme. Macron deve assolutamente ritrovare un po’ del suo fascino progressista per essere confermato all’Eliseo. Non basta essere quarantenni per avere una patente di “cambiamento”.