IAI
17 - Lezioni per l’Italia e l’Europa

La Difesa prima e dopo la pandemia

4 Mag 2020 - Giuseppe Cucchi - Giuseppe Cucchi

Dal 1949, cioè dal nostro ingresso nell’Alleanza Atlantica a oggi, il compito più gravoso che la Difesa italiana abbia dovuto annualmente affrontare è stato quello di far definire dal governo, approvare dal Parlamento e accettare dall’opinione pubblica un bilancio che consentisse perlomeno una sopravvivenza dignitosa del nostro strumento militare. L’idea che si diffuse subito dopo la firma del trattato – che in parte sopravvive tuttora – fu quella che potessimo contribuire al comune sforzo di contenimento del blocco sovietico ponendo a disposizione il nostro territorio, lasciando agli altri alleati l’onere di pagare i conti.

Per tutto il periodo del confronto bipolare, in ogni caso, l’esistenza di una minaccia ben visibile ci permise di riuscire a far quadrare il cerchio ogni anno, anche se le nostre spese per la Difesa rimasero sempre, in percentuale del Pil, fra le più basse dell’intera Alleanza.

Ieri e oggi
Dopo la caduta del muro di Berlino, in assenza di un nemico temibile e immanente, le cose divennero invece sempre più difficili: in molte occasioni gli stanziamenti per la Difesa finirono con l’essere considerati come un bancomat da cui attingere nei momenti di difficoltà. In tale processo non vennero presi in considerazione né l’aumentato costo di uno strumento basato sul volontariato rispetto a quello precedente imperniato sulla leva, né il moltiplicarsi dei compiti affidati alle Forze Armate, né l’onerosità di operazioni all’estero sempre più numerose e più lontane. Neppure l’accelerato logorio che le cosiddette azioni di pace imponevano ai nostri mezzi.

Si è arrivati così al momento attuale, con un presidente degli Stati Uniti che non esita a esprimere in ogni possibile occasione la sua irritazione per l’iniqua condivisione dell’onere comune (burden sharing) e un coronavirus che ci costringerà a un riesame delle nostre reali priorità economiche. In condizioni del genere il rischio è che alla Difesa sia di nuovo assegnato, secondo la tradizione nazionale, il ruolo della cenerentola della famiglia, senza guardare ciò che ci sta insegnando la pandemia anche nel settore della sicurezza nazionale e internazionale.

Il virus e la Difesa
Non ha importanza l’origine effettiva del virus. Conta invece il fatto che si sia configurato rapidamente come quella minaccia a carattere sanitario globale di cui faceva cenno il più recente concetto strategico della Alleanza Atlantica. Si tratta quindi di un nemico in più, della cui esistenza dobbiamo prendere atto e che dobbiamo prepararci a combattere in futuro.

Del resto, la sua apparizione è da un lato in linea con un passato in cui campeggia un’epidemia di spagnola di cui non siamo mai riusciti con certezza a determinare le origini e che fece più vittime della Prima guerra mondiale. Dall’altro, è in linea anche con un futuro in cui la minaccia sta diventando sempre più ibrida, finendo con l’invadere contemporaneamente tutti i possibili campi di azione.

La complessità del fenomeno bellico
In un certo senso i fatti stanno dando ragione a quanto preconizzato dai cosiddetti “due colonnelli cinesi”, che nel loro volume dedicato a “La guerra senza limiti” prevedevano nel 1999 una crescita esponenziale della complessità del fenomeno bellico nei prossimi decenni. Tra l’altro, il moltiplicarsi dei protagonisti possibili, il differenziarsi delle forme di offesa, l’apparizione di strumenti di morte sempre più accessibili non sembrano per ora avere attenuato le tensioni preesistenti all’esplodere della epidemia, inducendo a quella tregua delle armi che tanto il Papa Francesco quanto l’Onu avevano auspicato.

Se ci guardiamo intorno, ci ritroviamo di fronte un mondo in cui Stati Uniti e Cina continuano a contrapporsi per il primato. La Russia e la Alleanza Atlantica nel frattempo si guardano in cagnesco nell’Europa del Nord Est, e anche un atto di doverosa prudenza come la rinuncia alla Esercitazione “Defender Europe” è stato rinviato sino all’ultimo, probabilmente nel tentativo di non rendere evidente l’incidenza del virus sul nostro schieramento militare.

Intorno a noi poi rimangono intatti i focolai, in Siria, in Yemen, in Libia, in Corea, in Afghanistan. Si va in contro a una stagione pesante, in cui il cambiamento sarà per un lungo periodo il carattere dominante. Il cambiamento può essere anche una opportunità, almeno per tutti coloro che siano disposti a cavalcarlo e che sappiano cogliere l’occasione.

Come deve cambiare la Difesa
In queste condizioni, per mantenersi efficace, la nostra Difesa dovrà cambiare con rapidità e con decisione nuove. Considerata la portata dei problemi è logico che cambi non soltanto ai livelli nazionali – ormai insufficienti nel quadro di minaccia ibrida – bensì in quegli ambiti multilaterali in cui essa si è da tempo consolidata.

Il riferimento è in primis alla Nato, che ha già fatto molto nel corso di questa crisi sanitaria schierando il suo “Euro Atlantic Disaster Response Coordination Center“. A riguardo, se vi è un rimprovero che per ora le possiamo rivolgere, forse non ha conferito alla sua azione la rilevanza mediatica adeguata, consentendo così a ben minori interventi di Paesi esterni alla Alleanza di acquisire un rilievo che certo non meritavano.

Nel prossimo futuro in ogni caso la Nato dovrà esser posta in condizione di far fronte a sfide inedite, e questo richiederà uno sforzo straordinario da parte di tutti i membri. In un certo senso, ottimistico, il riferimento potrebbe poi comprendere anche quella Difesa comune della Unione europea che da troppi anni sembra sul punto di decollare ma che a conti fatti non riesce mai a partire.

Limitandoci alla sola Nato, le risorse indispensabili per la trasformazione sarebbero di livello notevole. Un livello che l’Italia anche sottoposta a pressione potrebbe ben difficilmente accettare, specie se al centro delle sue attenzioni rimarranno unicamente scuola, sanità e pensioni. Occorre quindi sin da ora, o forse già da ieri, iniziare una opera di educazione dell’opinione pubblica che la porti in tempi ragionevoli a rendersi conto di quale sia in realtà il livello di priorità delle varie esigenze. È possibile? Forse, e forse no ….non c’è mai stato peggior sordo di chi non vuole sentire!

Questo articolo è il diciassettesimo di una serie dedicata a una riflessione sul Covid-19 e la sicurezza internazionale, aperta da Vincenzo Camporini e Michele Nones.