IAI
Il racconto di Padre Rafael

Gli emigrati di ritorno in Venezuela al tempo del coronavirus

22 Mag 2020 - Emmanuela Banfo - Emmanuela Banfo

“Stanno rientrando a piedi come a piedi sono andati via”: sono gli emigrati di ritorno in Venezuela dalla Colombia, dall’Ecuador, dal Perù. A parlarne è padre Rafael Montenegro, il nuovo ispettore venezuelano dei Salesiani che, a causa della chiusura dei voli intercontinentali dovuta al Covid-19, è rimasto bloccato in Italia, dov’era giunto per i lavori della congregazione. “Erano andati via per sfuggire alla povertà che dilaga nel Paese, ma la stragrande maggioranza ha trovato occupazioni precarie o pagate in nero, così quando è scoppiato il coronavirus sono stati i primi a essere allontanati. Sono stati costretti a tornare indietro”.

Emergenza nell’emergenza
Il governo di Maduro ha chiesto alle Missioni Don Bosco di mettere a disposizione due loro opere dove sistemarli nel periodo di quarantena: una scuola agricola in località El Molinete, nella regione di Guajira, al confine con la Colombia e l’altra a Duaca, nello Stato di Lara, anch’esso lungo la rotta dei profughi. La prima ha già ospitato 300 persone, la seconda 200, ma i numeri sono in continuo aumento. “Lo Stato – spiega padre Rafael – si occupa del cibo e dell’assistenza sanitaria, noi abbiamo messo a disposizione le aule scolastiche, la cucina, il refettorio”.

Un’emergenza nell’emergenza quella dei minori non accompagnati ai quali trovare una sistemazione. Per loro è consentita la permanenza nei centri salesiani oltre la quarantena, nella speranza, nel frattempo, di trovare parenti disponibili ad accoglierli. Un avvocato vicino alle Missioni Don Bosco e che conosce bene la situazione dei bambini e dei ragazzi a rischio, sta seguendo i casi.

Fuggiti dal Venezuela per la povertà, scappati dalle nuove terre per lo stesso motivo, al rientro i migranti devono fare i conti con una realtà, quella venezuelana, che continua a scivolare lungo una china di decrescita di cui non si vede la fine. La pandemia sta dando il colpo di grazia? “In questo momento, dai dati che abbiamo a disposizione – afferma don Rafael – il coronavirus è una minaccia, ancora sotto controllo da quello che ci dicono. La gente ha più paura della criminalità che del contagio. È proprio questo che sta girando sui social, fuori dai canali ufficiali: ci sono più morti per la violenza che per il coronavirus. Secondo le cifre fornite dalle Ong, dall’inizio di quest’anno 1500 persone sono state uccise da ladri, da bande criminali. In media più di 100mila ogni anno muoiono così”.

L’opera dei salesiani e la povertà
Le televisioni, le radio, i giornali danno un’altra immagine del Venezuela, tendono a edulcorare, a minimizzare. La censura è pesante, ma nessuno può nascondere l’evidenza di negozi pieni di nulla, la crescita costante della popolazione indigente.

Il rifornimento delle derrate alimentari è sempre più critico per la mancanza di benzina – osserva padre Rafael – Noi salesiani, prima del coronavirus, organizzavamo nelle parrocchie le pentole comunitarie. Il momento del cibo era anche momento comunitario, di socializzazione. Non si può fare adesso, ma nelle 28 località dove siamo presenti andiamo in strada a offrire piatti già pronti. Una specie di street food. Inoltre diamo anche borse con prodotti alimentari. C’è una grande mobilitazione in questo senso. Partecipano Caritas, Croce Rossa, organizzazioni di volontari. Un gruppo di chef del Venezuela si è messo insieme per preparare cibo per 200 persone”.

Tuttavia, non basta mai tanta è la richiesta di aiuto. “Sono i poveri i più esposti, i più fragili – rimarca don Rafael – in particolare in questo momento di emergenza sanitaria. Per loro è praticamente impossibile stare a casa, per esempio. Vivono del lavoro del giorno, comprano quel poco che riescono a comprare con il denaro guadagnato in giornata. Lavorano oggi per fare la spesa di oggi, al massimo di domani, non oltre. Anche il distanziamento sociale è una teoria ben difficile da mettere in pratica. I quartieri popolari sono di fatto assembramenti. Le famiglie vivono in appartamenti piccolissimi e sovraffollati”.

Misure difficili da rispettare
Non è ovvio neppure rispettare le misure di prevenzione più elementari, come lavarsi le mani: “in interi quartieri l’acqua potabile arriva una volta alla settimana, per non parlare della corrente elettrica che va e viene, a intermittenza, ragione per cui anche fare scuola a distanza è estremamente difficoltoso. Più o meno le lezioni via Internet funzionano per il 15% della popolazione scolastica”.

Le scuole sono chiuse, le chiese anche – continua padre Rafael – e noi ci adoperiamo come possiamo. Funzioni religiose, raduni di preghiera si servono del web, ma anche degli spazi aperti da cui diffondere la parola del Signore attraverso gli altoparlanti”. La rete assistenziale mostra solidità, forte di anni in cui si sono affinate competenze, specie in campo didattico e di formazione professionale. “Il Venezuela – dice don Rafael con rammarico e nostalgia – è un Paese con tante risorse. Era ricco, ora è il più povero dell’America Latina“.

È a quel Venezuela ricco che i Salesiani guardano formando nuove generazioni preparate a ricostruirlo. Da qui il loro impegno, anche politico, per cambiare la guida del Paese. L’arcivescovo emerito di Los Teques, monsignor Ramòn Ovidio Pérez, durante la settimana Santa, non poteva essere più esplicito: “abbiamo l’obbligo morale – ha affermato – di far sì che questo governo vada via. Non è un’opzione politica, non è una scelta contro qualcuno: è la conseguenza di quanto osserviamo che sta accadendo tra la gente”.