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PANDEMIA DI COVID-19

Gestire la complessità: opportunità e rischi della crisi

13 Mag 2020 - Nicola Contessi - Nicola Contessi

Mentre i decisori e i cittadini di molti Paesi sono assorbiti dalle problematiche sanitarie in scia a bollettini medici preoccupanti, ponderare quali saranno le implicazioni della pandemia è comunque necessario. In ogni crisi si cela un’opportunità, secondo l’adagio, ma anche dei rischi.

La portata epocale e probabilmente storica della fase attuale è assodata. Non necessariamente nel senso che la pandemia riscriverà il corso della storia, ma più probabilmente lo accelererà – come sostiene Richard Haass in un recente articolo su Foreign Affairs. E “una volta che la pandemia di Covid-19 sarà conclusa, apparirà chiaramente che le istituzioni di molti Paesi avranno fallito”, scrive Henry Kissinger sul Wall Street Journal. Tale valutazione prenderà in esame non solo la condotta più o meno efficace sotto il profilo sanitario, ma soprattutto la capacità di adottare politiche pubbliche costruttive per difendere le economie e risollevare le rispettive comunità.

Il punto economico
In un rapporto del 2017, la società di consulenza di Price Waterhouse Coopers (Pwc) delineava scenari dell’economia mondiale al 2050, prospettando una geografia della prosperità profondamente alterata rispetto a quella odierna. Immaginare ricambi sostanziali tra le prime dieci economie del pianeta non è difficile, ma vi si ipotizzano rotazioni perfino tra le prime venti. Giappone, Germania e Regno Unito scivolerebbero rispettivamente all’ottavo, nono e decimo posto. La Francia uscirebbe dai primi dieci, l’Italia addirittura dai primi 20.

Il Fondo monetario internazionale (Fmi) prevede un calo dell’economia mondiale fino all’11%; l’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) vede un crollo degli scambi tra il 13 e il 32%. Ciononostante, ancorché rappresenti la più significativa contrazione dalla Grande depressione, BlackRock ritiene che nel tempo questa crisi potrebbe avere un impatto inferiore a quella del 2008/2009 – purché i decisori politici siano capaci di evitare che lo shock si traduca in pressioni finanziarie sistemiche.

Nondimeno, tutte le economie non saranno colpite allo stesso modo. Varieranno per coesione, resilienza, capacità di esecuzione delle misure per la ripresa. La maggior parte dei Paesi del G7 e del G20 si sono portati avanti enormemente, dotandosi di strumenti eccezionali per proteggere famiglie e filiere economiche, immettendo finanziamenti copiosi e disponendo numerose misure di sostegno fin dalla fase acuta della crisi. Altri, invece, hanno accumulato ritardi, false partenze, tentennamenti, e rischiano di arrivare alla fase due impreparati o comunque fortemente debilitati.

Le funzioni dello Stato
Sebbene sia frequente il paragone con l’influenza del 1918, il mondo di allora era assai più piccolo e più lento. La posta in gioco è oggi più elevata e il mondo di domani sarà con tutta probabilità più stratificato e competitivo. Rivali statuali e transnazionali sempre più agguerriti contenderanno con i vari Stati nel loro sforzo per mantenere la sostenibilità dei rispettivi sistema-Paese, ovvero la loro stessa sopravvivenza. Si sottolinea come quest’ultima sia da sempre l’imperativo principale dello statista responsabile.

S’intende il mantenimento e preferibilmente il miglioramento del tenore di vita, della ricchezza aggregata, del sistema socio-economico, delle catene di approvvigionamento, dei distretti industriali, della cultura e dei valori della comunità, oltre che l’integrità territoriale, il rango internazionale, l’indipendenza e le capacità istituzionali e materiali dello Stato che la contiene. Si tratta delle funzioni fondamentali che ogni Stato, in quanto organizzazione complessa, deve essere in grado di garantire in primo luogo con i propri mezzi, e poco importa se in prospettiva sovrana, confederale o federale. Poiché tali funzioni derivano dalla responsabilità degli esecutivi davanti agli altri poteri costituzionali del caso e ai propri cittadini, sarebbe inesatto ritenere soluzioni multilaterali pienamente sostitutive. Tuttavia, in un mondo profondamente interdipendente, meccanismi di cooperazione internazionale hanno un ruolo complementare essenziale nel promuovere i rispettivi interessi davanti a sfide comuni.

Del resto, solo un Paese governato secondo questi princìpi di legittimità democratica può verosimilmente contribuire alla costruzione equa e progressiva dell’ordine liberale internazionale. Viceversa, un governo le cui scelte aderissero ad altri criteri contribuirebbe all’edificazione di un ordine internazionale iniquo – specialmente alla luce di tendenze di lungo periodo, quali le crescenti contraddizioni del paradigma neo-liberale, il cambiamento tecnologico, il riaffiorare di aspirazioni egemoniche in Asia come in Europa.

Un’epoca di cambiamenti
Sebbene siano passati solo tre anni, appare chiaro che il 2017 – l’anno in cui usciva lo studio di Pwc – sia ormai decisamente superato, e in ogni crisi si celano anche opportunità. A condizione di capire correttamente la realtà del contesto globale e regionale, e avere l’immaginazione per coglierle o crearle. Un’altra condizione è la competenza. Sicuramente quella tecnica, ma alla fine forse più ancora quella politica di saper usare il potere per bilanciare il potere.

In entrambi i casi, “il principale nemico è l’ortodossia: usare la stessa ricetta, somministrare la stessa terapia per risolvere i più diversi tipi di problemi; non ammettere mai la complessità e cercare di ridurla il più possibile, ignorando che le cose sono sempre più complicate nella realtà”, ammoniva Albert Hirschman. Questo potrebbe rivelarsi ancor più vero in un’epoca in cui si profilano grandi cambiamenti.