Dubbi e certezze del governo Netanyahu-Gantz
Nessuno in Israele è pronto a mettere la mano sul fuoco sulla tenuta del governo appena insediatosi. Questo è indicativo dello scetticismo che gravita attorno al trentacinquesimo esecutivo d’Israele che in una formula praticamente inedita vedrà due leader, Benjamin Netanyahu del Likud e Benny Gantz di Blu e Bianco, alternarsi alla guida del Paese: inizierà il primo per diciotto mesi, poi sarà la volta del secondo per altri diciotto mesi (a questi potrebbero sommarsi altri sei mesi ciascuno per arrivare a fine legislatura).
“Un governo bicefalo“, la descrizione del demografo Sergio Della Pergola per questa strana formulazione che vedrebbe per la prima volta in undici anni Netanyahu lasciare il posto di Premier a qualcun altro. Pagando un prezzo salato – avendo spaccato il suo stesso partito e tradito la promessa elettorale di non sedersi con Netanyahu – Gantz riuscirebbe così dove molti hanno fallito: sostituire il leader del Likud alla guida d’Israele.
Pochi però ad oggi scommettono sulla riuscita del suo progetto. E le parole del suo alleato di queste settimane lasciano presagire possibili colpi di scena: secondo la giornalista del sito israeliano Walla news, Tal Shalev, durante un recente incontro del Likud è stato fatto notare a Netanyahu la rotazione rappresenta per lui una data di scadenza (il 17 novembre 2022 dovrebbe esserci l’avvicendamento). “Non preoccupatevi, intendo rimanere qui per molti anni”, la sibillina replica del Premier.
Il governo più affollato di sempre
Ad acuire lo scetticismo sul governo Netanyahu-Gantz il poderoso numero di ministri nominati dai due: 33, estendibili a 36 così da far rientrare nella coalizione anche la destra più a destra di Yamina, al momento sedutasi all’opposizione. Un numero record di ministri, mai così tanti nella storia d’Israele. Per distribuire a tutti la cosiddetta poltrona, sono stati scorporati diversi dicasteri ed è qualche ufficio è stato creato ex novo. Un governo di unità e di emergenza nato, almeno nelle dichiarazioni di Gantz, per far fronte alla crisi del coronavirus si ritrova così molto appesantito già alla linea di partenza.
“Un insulto al pubblico in tempi economici così terribili”, il giudizio di Tal Schneider, corrispondente diplomatica e politica del quotidiano economico israeliano Globes al Washington Post. Israele deve infatti far fronte a una disoccupazione record: oltre un milione di persone sono rimaste senza impiego a causa della crisi innescata dalla pandemia. Il mercato del lavoro israeliano è molto più dinamico rispetto ad esempio a quello italiano, ma riassorbire cosi tante persone non sarà facile. Per Della Pergola, una mancata risposta della politica attuale potrebbe far nascere una versione Cinque Stelle israeliana: un populismo “anticasta” che certo avrebbe gioco facile nell’attaccare il più numeroso governo di sempre.
Due teste, due agende
In questi giorni di giuramenti e insediamenti, nell’elencare le proprie priorità, i due primi ministri alternati hanno fatto emergere nuovamente le proprie differenze.
Netanyahu ha ribadito come per lui il tema centrale sia la sicurezza: combattere la minaccia iraniana, contrastare le azioni della Corte penale dell’Aja e annettere gli insediamenti israeliani in Cisgiordania in linea con il piano di pace Usa. Gantz, che al momento servirà come ministro della Difesa, ha invece sostenuto – nella riunione con i ministri della sala Chagall della Knesset – che se dipendesse da lui le priorità sarebbero l’educazione, le infrastrutture, la giustizia e infine la sicurezza. Un tentativo dunque di differenziarsi e di riportare al centro i temi sociali. Ma dall’opposizione, l’ex alleato Yair Lapid lo ha attaccato e definito un ipocrita: parlare di giustizia quando si siede al fianco di Netanyahu, incriminato per corruzione, abuso d’ufficio e frode, è una presa in giro per il pubblico, l’accusa di Lapid. Il processo al leader del Likud inizierà formalmente domenica 24 maggio e sarà decisivo per il prosieguo del governo bicefalo.
Annettere o non annettere
Nelle quattordici pagine dell’accordo di coalizione è prevista in modo un po’ sfumato l’annessione della Valle del Giordano e di altri territori della Cisgiordania. Netanyahu ha promesso che entro il 1° luglio la porterà a termine, dando seguito al piano di pace ideato dall’amministrazione di Washington, che concede a Israele ampia possibilità di manovra. Gantz e il suo numero due, Gabi Ashkenazi (ministro degli Esteri) hanno definito il piano Usa “una grande opportunità” ma non si sono sbilanciati. Hanno ribadito che ogni decisione sarà presa tutelando la pace nella regione e sarà condivisa con gli alleati nell’area, oltre ovviamente che con il Presidente Trump.
Se tra gli alleati si deve contare la Giordania allora “l’annessione non s’ha da fare“: il re Abdullah II, in un’intervista allo Spiegel, ha detto chiaramente che una mossa israeliana in quella direzione metterebbe a rischio l’accordo di pace siglato con Israele. E quindi si romperebbe la stabilità che Gantz e Ashkenazi hanno promesso di tutelare.
In più c’è chi crede che lo stesso Netanyahu non voglia l’annessione: “Non solo non ci sarà alcuna annessione in Cisgiordania, ma Netanyahu lascerà che tutti coloro che ora si mobilitano contro l’annessione credano che sia stata la loro pressione a fermarla e così si sentiranno bene con se stessi. E intanto l’attuale status quo che per lui (Netanyahu) funziona bene potrà continuare”, ha dichiarato il giornalista Anshel Pfeffer.
Contraddizioni su contraddizioni dunque accompagnano questo nuovo governo che ha come merito di essere nato. Ma dovrà fare molto per dissolvere le nubi di scetticismo che vi gravitano attorno.