Dalla gestione della crisi Babiš si aspettava più gloria che complicazioni
Di recente le autorità della Repubblica Ceca hanno deciso di alleggerire le restrizioni stabilite per contrastare la diffusione del Covid-19. Misure destinate a limitare il movimento delle persone e a chiudere esercizi commerciali. Alcune di esse sono state bocciate dal Tribunale cittadino di Praga in quanto considerate “un’ingerenza senza precedenti nei diritti dei cittadini”.
A metà della settimana scorsa, dopo una riunione di governo, il ministro della Sanità Adam Vojtěch ha annunciato un ammorbidimento dei provvedimenti inseriti nello stato di emergenza dichiarato lo scorso 7 marzo. Alcuni di essi erano risultati essere tra i più severi in Europa. Il loro alleggerimento renderebbe meno problematici gli spostamenti all’estero. Sarebbero consentiti gli ingressi nel Paese per lavoro ma con permanenze di 72 ore, anche se vi sarebbe la possibilità di ottenere delle deroghe. Dal 27 marzo, inoltre, i cittadini cechi possono lasciare i confini nazionali ma al ritorno devono fornire conferma di un test negativo al coronavirus o sottoporsi a una quarantena di due settimane.
Il governo ha consentito la riapertura delle università a partire da lunedì scorso con ingressi scaglionati a gruppi di cinque persone al massimo e permetterebbe anche raduni pubblici di non oltre dieci persone al posto delle due previste dalla stretta decisa a marzo. La svolta che ha portato a questi ammorbidimenti comprenderebbe anche una riduzione dei tempi per la riapertura dei negozi ma non è stato annunciato alcun cambiamento in merito all’obbligo di indossare mascherine negli spazi pubblici o al divieto di dar luogo ad eventi di massa.
Gestione della crisi
In una recente conferenza stampa Vojtěch ha dichiarato che le autorità del Paese hanno gestito la crisi in modo finora esemplare e preso tutte le misure atte a evitare eccessive pressioni sulle strutture ospedaliere. In particolare, gli ambienti economici chiedono sempre più insistentemente una riduzione delle limitazioni imposte anche nel settore del lavoro e della produzione ma gli epidemiologi mettono tuttora in guardia dal prendere decisioni affrettate.
Alla fine, lo stato di emergenza è stato prolungato fino al 17 maggio allorché il primo ministro Andrej Babiš aveva proposto tempi più lunghi. Prima onnipresente – forse perché fiducioso in un buon ritorno di immagine grazie alla gestione della crisi -, il primo ministro appare ora defilato e meno attivo. Protagonisti sono invece il già citato Vojtěch, il ministro degli Interni e leader socialdemocratico Jan Hamáček, nonché il vicepremier e ministro dell’Industria e Commercio Karel Havlíček e Roman Prymula, vice ministro della Sanità e responsabile del sistema della “smart quarantine“.
Una gestione, quella della crisi, dalla quale probabilmente Babiš si aspettava più gloria che complicazioni fatte di problemi di non facile soluzione. Tra essi quella del risarcimento dei danni agli esercizi economici e commerciali colpiti dalle rigide misure adottate quasi due mesi fa. È prevedibile che l’esecutivo preferisca non fornire facili sponde giuridiche a negozianti e imprenditori eventualmente intenzionati a presentare ricorsi per ottenere indennizzi a fronte del lungo periodo di chiusura dei negozi.
La normalizzazione vista da Praga
Colpita dalla pandemia già dagli inizi di marzo, la Repubblica Ceca cerca ora, come diversi altri Paesi, di imboccare la via verso una sorta di normalizzazione cercando di limitare l’ulteriore diffusione dei contagi che ammontano attualmente a 7.563. Una casistica che fa del Paese quello più colpito del Gruppo di Visegrád, dopo la Polonia.
Il processo non può dirsi privo di possibili nuovi inconvenienti. Praga cerca di affrontarlo estendendo a tutto la Repubblica la “smart quarantine” inizialmente sperimentata nella Moravia meridionale e dando luogo a una serie di sostegni statali approvati dalla Commissione europea e dal prestito della Banca di sviluppo del Consiglio d’Europa. Il 7% dei lavoratori cechi è ora disoccupato a causa della crisi innescata dal Covid-19 e necessita di interventi come quelli approvati dalle autorità centrali. L’esecutivo ha poi accolto la proposta del ministero della Sanità di depennare i debiti delle strutture ospedaliere statali cui andranno, secondo le previsioni, circa 6,6 miliardi di corone dalle riserve di bilancio. È, infine, in programma l’aumento dei finanziamenti per gli stipendi di soldati, funzionari doganali e agenti di polizia attivi nella gestione della crisi sanitaria.