Covid-19 e comunità internazionale: parla Luciano Violante
È la prima volta nei tempi moderni che una pandemia coinvolge tutto il mondo. Quindi, ogni Paese ha reagito secondo le proprie inclinazioni. Mi interessa vedere come nel mondo occidentale (Europa e Stati Uniti) il problema ha creato un rapporto particolare tra la società civile e chi governa. C’è stata sostanzialmente una obbedienza alle indicazioni. I due Paesi con i leader più populisti (Regno Unito e Stati Uniti) sono quelli che hanno avuto maggiori difficoltà e che hanno sottovalutato il virus. In Francia ho visto che l’indice di gradimento di Emmanuel Macron è sceso di molto, c’è una certa insoddisfazione per l’atteggiamento. A differenza di ciò che sta accadendo in Italia, dove l’indice di condivisione di ciò che sta facendo il governo mi pare essere abbastanza alto. Ieri era superiore al 60%: un dato certamente importante. Quindi, l’Italia in questo contesto figura come il Paese con una maggiore condivisione. C’è stata anche un cittadinanza responsabile, nel senso che i cittadini si sono adeguati abbastanza spontaneamente, nonostante qualche piccola violazione alle prescrizioni. L’ultimo aspetto da notare è che i sistemi autoritari sono stati facilitati, perché essendo autoritari ci hanno messo poco a stabilire ordini, prescrizioni… penso alla Cina, alla Russia. Infine, c’è il problema che si è posto dal punto di vista costituzionale, ossia se è necessario avere una norma sulle situazioni di emergenza, così come la ha la Francia. È un problema, alcuni costituzionalisti ritengono di no, io personalmente credo sia meglio che ci sia, così almeno viene stabilito entro quali limiti questi poteri possono essere esercitati. Ma credo che appena questa vicenda si attenuerà tornerà alla ribalta.
DIFFERENZE TRA PAESI EUROPEI
(In merito alle differenze tra i Paesi europei ndr) credo che il problema sia quello della responsabilità civile: Paesi che si fondano di più sulla responsabilità e sull’educazione civile dei cittadini, rispetto all’imperativo delle regole, sono quelli che hanno fatto molta leva su questo carattere della popolazioni. Invece, Paesi che sono più abituati alle regole che alla responsabilità – mi riferisco a molti Paesi mediterranei ma anche alla Germania e alla Francia – hanno avuto un atteggiamento diverso e certamente sono emerse forme di educazione diverse. Ripeto però – ricordandoci che governare è complicato, figuriamoci in queste circostanze, ragion per cui sorrido quando vedo tutte le critiche che emergono – fermo restando che gli errori ci possono essere e ci sono in situazioni così inedite, auspicherei che il governo cominciasse a dire “guardate, può capitare questo: se voi girate senza mascherina potete infettare ed essere infettati e questo vuol dire che dovete andare in ospedale. Può darsi che in ospedale non ci siano mezzi per tutti, quindi potreste mettere in difficoltà anche altri”. Questo penso che sarebbe sentito come un positivo atto di fiducia dello Stato nei confronti dei cittadini. Forse, un passaggio di questo genere ci vuole.
L’ITALIA STA TIRANDO FUORI IL MEGLIO
Quel discorso di Boris Johnson (sulla perdita delle persone care ndr) ha fatto da contrappeso a quello fatto all’inizio e non mi ha colpito granché positivamente. Quello della Regina Elisabetta è stato diverso: un discorso rigoroso, serio. Però, l’Italia è il Paese che tira fuori il meglio di sé nell’emergenza. Il problema è la quotidianità. Si è visto ai tempi del terrorismo e in altri momenti (alluvioni…). Credo che stia tirando fuori il meglio di sé anche in questa fase e ho l’impressione che verrebbe accolto positivamente un ragionamento di questo genere, perché è un riconoscimento di fiducia.
MOLTE COSE CAMBIERANNO
C’è chi dice che tornerà come prima e chi che cambierà, dipende dai punti di vista. Credo che alcune cose cambieranno. Ad esempio, la vicenda della Corte costituzionale tedesca certamente è un problema mica da poco. Ho visto che anche il viceministro ungherese si è immediatamente associato. Qui il problema dell’Europa si pone. Anche perché se si pensa a questi accordi diretti che si stanno facendo tra Regno Unito e Francia a proposito del turismo, bypassando l’Ue, un problema si pone. Una delle questione davanti alla quale ci troviamo è il sistema del condizionamento dei singoli Stati alle politiche dell’Unione europea, che è destinato o a sfasciare l’Ue o a cambiarla. Questo è uno dei primi dati: quando la Bce, secondo i diktat della Corte di Karlsrhue dovrà rispondere, anche se ha già risposto, come lo ha fatto la Corte di Lussemburgo e la Presidente von der Leyen. Il secondo tema, che avviene sul piano internazionale, lo vedo nella disciplina dello smart working: bisognerà andare verso una regolamentazione più seria. Non deve essere un lavoro che dura 24 ore al giorno, ma credo che molti lavori potranno essere fatti in quel modo: soprattuto quelli di carattere intellettuale possono esser svolti anche da casa. Questo sarà un terreno sul quale dovremmo intervenire. Più in generale, credo che si stanno sperimentando una serie di piattaforme di insegnamento – lo stanno facendo Treccani, Tim e tanti altri – che potrebbero essere una forma integrativa della formazione tradizionale. E questo è un altro caso positivo. Ho l’impressione che stiamo utilizzando molto più di prima le risorse della rete: questo è un dato che resterà e cambierà in una certa misura le nostre abitudini.
COMPETIZIONE TRA MAFIA E STATO
Intorno alla grande criminalità girano un sacco di soldi. C’è una grande liquidità. Anche lo Stato ne ha, solo che li eroga con una maggiore difficoltà rispetto alla mafia, dove il sistema di erogazione è diretto, immediato. Questo è il punto di fondo: lo Stato deve concorrere con la criminalità nel sostenere le imprese, agevolando al massimo la fluidità. I capitali della mafia sono fluidi, che però svuotano l’economica, facendola diventare una sorta di guscio vuoto, pieno soltanto di “polpa mafiosa”. Essere fluidi non vuol dire soltanto essere efficienti, ma vuol dire fare concorrenza al reale, alle organizzazioni criminali. Poi trovo che dobbiamo cercare di lanciare una campagna sulla fiducia: non su quella dei cittadini nei confronti dello Stato, ma dello Stato nei confronti dei cittadini. Perché noi misuriamo sempre la fiducia dei cittadini nei confronti dello Stato, ma non abbiamo mai misurato quella dello Stato nei confronti dei cittadini. Anzi, direi che la sorveglianza è prevalsa negli ultimi anni: l’imprenditore, il cittadino sono tutti potenziali criminali. Molte leggi non sono state fatte per governare i processi, ma per sorvegliare. E questo credo sia un fattore che va assolutamente ribaltato.
Questo testo è la trascrizione dell’audio dell’ottava puntata del nuovo ciclo dei podcast IAI dedicati a Covid-19 e comunità internazionale. Ascolta qui la #1, la #2, la #3, la #4, la #5, la #6 e la #7 puntata