Contro il bazooka di Draghi artiglieria pesante da Karlsruhe
La sentenza pronunciata il 5 maggio dalla Corte Costituzionale tedesca ha scatenato le solite polemiche sull’egoismo germanico e su un’Europa egemonizzata da Berlino che lesinerebbe gli aiuti all’Italia. Del tutto a sproposito si è parlato, non solo a destra ma anche a sinistra, di un “sovranismo” tedesco che giustificherebbe le pulsioni nazionaliste ed euro-scettiche nostrane. Quella accusa può essere rivolta con qualche fondamento ai giudici di Karlsruhe, e di certo ai ricorrenti (fra cui politici della AfD e della Csu), non alla Germania nel suo insieme.
Come si è visto dalle reazioni fredde o evasive della Cancelliera Angela Merkel e di altri esponenti governativi, la sentenza non riflette affatto i loro orientamenti sul ruolo assunto dalla Bce sotto Mario Draghi e ripreso ora da Christine Lagarde. Si staranno interrogando su come meglio disinnescare questa mina.
Il precedente
Non è la prima volta che il Bundesverfassungsgericht (BverfG) viene chiamato in aiuto da ambienti conservatori o anche nazionalisti e finisce per dar loro almeno parzialmente ragione, con ragionamenti che appaiono dettati non tanto da una ferrea logica giuridica quanto da inclinazioni politiche.
Questo avvenne dopo la approvazione parlamentare, nel 1973, del “trattato fondamentale” sulle relazioni inter-tedesche, negoziato l’anno prima da Egon Bahr con la DDR. Su ricorso della CSU bavarese guidata da Franz Josef Strauss, la Corte emise entro pochi mesi una sentenza che, pur ammettendo la compatibilità del trattato con la legge fondamentale, ne dettava un’interpretazione restrittiva.
Ancora più discutibili sul piano giuridico erano state le argomentazioni in base alle quali nel 1956 aveva messo al bando il Partito Comunista Kpd. Ma in questo caso non aveva messo paletti alla linea politica del governo, anzi, ne aveva recepito dopo una iniziale riluttanza le indebite indicazioni.
Karlsruhe vs Bce
Quest’ultima pronuncia è ancora più discutibile, in quanto critica pesantemente, prima ancora che il governo federale, due istituzioni europee che si caratterizzano entrambe per l’indipendenza rispetto agli altri organi comunitari, e a maggior ragione agli organi di stati membri: Corte di Giustizia e Bce. È la prima volta nella storia – lo ha sottolineato lo stesso presidente della Corte nell’annunciare la sentenza – che il BverfG contesta una decisione della Cgue. Ciò facendo, nega il principio della preminenza del diritto comunitario.
Secondo il documento di sintesi pubblicato dai giudici di Karlsruhe, quella decisione del dicembre 2018, in risposta a un loro quesito sulla legittimità dell’operato della Bce, sarebbe fondata su una interpretazione inaccettabile dei trattati. Sarebbe pertanto arbitraria, e non vincolante per le autorità tedesche. Avrebbe considerato acriticamente le intenzioni della Bce (sic!), leso il principio della delega dei poteri e quello dell’equilibrio fra competenze dell’Unione e degli Stati, e quindi violato i principi di sovranità popolare e democrazia protetti dalla costituzione tedesca.
Nei successivi paragrafi questo singolare documento muove severi rimproveri alla Bce. Come messo in evidenza da chi vuole sdrammatizzare, ammette che il programma Pspp varato nel 2015 non viola il divieto di finanziare gli Stati, in quanto acquista buoni del tesoro dei vari stati membri in relazione alle loro dimensioni demografiche ed economiche, e inoltre è soggetto al limite di un terzo del debito pubblico di ogni singolo stato. Ma non si astiene affatto dal condannare l’operato della Bce, colpevole di aver agito ultra vires, di aver cioè trasgredito i limiti dei propri poteri.
Il principio di proporzionalità
La critica della Corte Costituzionale si impernia sul principio di “proporzionalità”, che non sarebbe stato rispettato nel gestire quel programma. Il termine può essere fuorviante: come emerge dal contesto, per “proporzionalità” si intende equilibrio fra le finalità di politica monetaria (di competenza della Bce) ed effetti economici e sociali. Nel perseguire le prime, la Banca non avrebbe tenuto conto dei secondi, cioè degli effetti su risparmio, pensioni, mercato immobiliare, sopravvivenza di imprese decotte. Avrebbe in sostanza invaso il terreno della politica economica, danneggiando fra l’altro risparmiatori e acquirenti o locatari di abitazioni.
A governo e Bundestag, destinatari diretti della sentenza, si imputa di non aver impedito questa invasione di campo e queste violazioni dei diritti fondamentali dei ricorrenti, e si ingiunge di fare in modo che la Bce dia spiegazioni convincenti su quanto fatto in passato e, per il futuro, torni alla “conformità con i trattati”.
Passato e presente
Il Ministro delle Finanze Olaf Scholz ha cercato di dare l’impressione che tutto si risolverà con una autocertificazione, richiesta al Consiglio Bce entro il termine di tre mesi. E molti commentatori hanno sottolineato che la Corte si è pronunciata sul passato, non sulle risposte alla crisi attuale. In realtà, essa dichiara che governo e parlamento hanno l’obbligo di opporsi alla continuazione del programma di acquisti come gestito sinora. Ed è loro vietato di cooperare con quel programma se comporterà “azioni ultra vires” , o anche se la suddetta autocertificazione non sarà convincente.
Non manca una messa in guardia contro la tentazione di spostare verso un determinato paese (ovviamente l’Italia) l’assunzione del rischio inerente al debito pubblico: verrebbero violate le prerogative costituzionali del Bundestag in materia di bilancio.
Se dunque non sarà difficile per la Bce dichiarare di aver controllato che le decisioni prese rientravano nelle proprie competenze in quanto attinenti alla politica monetaria, e se la Cancelliera potrà ricordare che Francoforte è indipendente da Berlino, è innegabile che l’energica presa di posizione di Karlsruhe giocherà a favore di chi si oppone a nuove forme di condivisione del debito pubblico.