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Paola Severino all'Institut Montaigne

Mafia e coronavirus: “Nessun Paese è esente”

20 Apr 2020 - Paola Severino - Paola Severino

Pubblichiamo in esclusiva per l’Italia un’intervista dell’Institut Montaigne a Paola Severino, professore ordinario di Diritto penale presso la LUISS Guido Carli e già ministro della Giustizia, dal titolo “The Mafia in the Time of the COVID-19 Crisis: a European Challenge”.

La crisi sanitaria in Italia rende vulnerabili molte famiglie e aziende, e sembra che la mafia stia colmando il vuoto in molti modi. Quali sono i segnali della maggiore attività mafiosa durante la crisi?
“Prima di lanciare un allarme sul pericolo che la mafia e altre organizzazioni criminali possano utilizzare questo periodo di emergenza, non solo sanitaria ma anche economica, per cercare di riprendere forza, ho svolto due ordini di considerazioni teoriche e una verifica sul campo.

La mia prima considerazione è stata che le organizzazioni criminali sono state fiaccate in Italia da un sistema normativo e giudiziario che le ha combattute in maniera molto energica. Abbiamo seguito gli insegnamenti di Giovanni Falcone, giudice eroico vittima della mafia, condensabili in due storici detti: taglia l’erba sotto i loro piedi e segui il cammino del denaro. In tal modo siamo riusciti non solo a condannare i capi delle grandi cosche mafiose, ma anche a sequestrare gli immensi patrimoni prodotti dai reati di mafia. Fiaccare però non vuol dire eliminare e dunque il fuoco è rimasto a covare sotto la cenere.

La seconda considerazione è stata che un organismo indebolito ma non vinto cerca ovviamente tutte le strade possibili per rinforzarsi. Ad esempio utilizzare ogni situazione di indebolimento del tessuto sociale per fare proseliti. Oppure cercare di insinuarsi nel tessuto delle imprese per investirvi denaro proveniente da attività criminali molto redditizie, come il traffico di droga e di armi.

La verifica sul campo la ho fatta entrando in contatto con i dirigenti di alcune scuole del sud che partecipavano con l’Università di cui sono vice Presidente, la Luiss, a un progetto di rafforzamento della legalità. Essi hanno avuto un importante ruolo di “sensori dell’allarme sociale” e mi hanno mostrato che nel sud alcune famiglie di artigiani, ambulanti, lavoratori stagionali, avevano perso ogni fonte di guadagno e dunque versavano in una situazione di assoluta povertà. Queste famiglie erano state avvicinate da persone appartenenti ad associazioni criminali che fornivano loro pacchi di alimenti in cambio, come è facile immaginare, di un futuro reclutamento. Quanto al nord Italia, la rappresentazione riguardava lo stato disastroso delle imprese, soprattutto piccole e medie, fermate dal blocco della produzione, bisognose di finanziamenti ed esposte al rischio di acquisizioni da parte di organizzazioni ancora dotate di fondi neri da impiegare. Bene ha fatto dunque il Governo italiano a provvedere immediatamente al finanziamento di famiglie e di piccole e medie imprese”.

È un problema solo italiano o ci sono rischi in altre parti d’Europa?
“Questo problema non è certamente limitato all’Italia, come hanno invece cercato di rappresentare alcuni giornali stranieri, per fortuna rimasti abbastanza isolati. Le grandi organizzazioni criminali internazionali hanno raccolto immensi capitali in nero, che hanno sottoposto a varie fasi di money laundering, per poi impiegarlo in investimenti apparentemente leciti . Fiumi di denaro originati da ogni tipo di traffico illecito, che – così come il coronavirus – non si fermano davanti a nessun confine e confluiscono nella economia internazionale. Fiumi di denaro che cercano le strade più facili da percorrere, attraverso il fenomeno del cosiddetto forum shopping, per radicarsi nei Paesi in cui il livello di attenzione è minore, il livello della legislazione meno adeguato alle dimensioni del fenomeno, il livello delle sanzioni è meno alto e il tragico evento della pandemia genera lucrose occasioni di acquisizione di imprese indebolite dalla mancanza di liquidità .

È proprio la sottovalutazione del fenomeno, con la tendenza ad addebitare al proprio vicino di casa i comportamenti più negativi, ad abbassare il livello di guardia e a fare il gioco di questo tipo di delinquenza, così pronta a sfruttare ogni opportunità”.

Quale tipo di coordinamento europeo servirebbe per combattere il problema?
“Innanzitutto un monitoraggio di tutti i fenomeni che possono essere frutto di attività della criminalità organizzata. Penso ancora una volta agli enormi guadagni provenienti dal traffico di droga, di armi e di uomini, che hanno alimentato per anni il terrorismo e che oggi potrebbero essere utilizzati per sollecitare nuove forme di proselitismo integralista, occasionate proprio dalla povertà e dalla fame in cui possono trovarsi oggi molte famiglie di immigrati in Europa. Penso anche alle movimentazioni di denaro sporco e al loro investimento, reso più facile da quei Paesi che, ritenendo – o meglio illudendosi – di essere immuni da infiltrazioni di associazioni criminali, non si sono dotati di adeguati strumenti di prevenzione del riciclaggio, né di sistemi di sequestro preventivo e successiva confisca di denaro di sospetta provenienza.

Il detto pecunia non olet in questo campo non può essere adottato e il coordinamento europeo in materia deve avvenire sapendo che non vi sono Paesi esenti, che non bisogna mai abbassare la guardia e che bisogna armonizzare al massimo le legislazioni in modo che, almeno in Europa, non vi siano zone franche o aree meno fortemente presidiate”.