Sergey Sobyanin: un nuovo uomo “forte” in Russia?
L’epidemia di Covid-19 ha cambiato improvvisamente e abbastanza drasticamente la configurazione del sistema del potere in Russia. Per la prima volta in più di vent’anni, non è Vladimir Putin il centro decisionale, il motore e il volto del governo. Il presidente si mostra alle telecamere impacchettato in una tuta gialla, nell’ospedale adibito ai contagiati di coronavirus, e in vari messaggi televisivi annuncia provvedimenti come quello di spedire tutta la nazione in ferie pagate (dai datori di lavoro) per tutto aprile. Ma quello che ordina di restare a casa, quello che impone a Mosca un lockdown rigido, in ritardo rispetto alle altre metropoli mondiali, ma in anticipo sul resto del Paese, è il sindaco della capitale Sergey Sobyanin.
Putin chiede, propone, auspica e implora, ma è Sobyanin che decide i tempi, detta le regole e stabilisce le punizioni. Governa per decreto, anticipando se non ignorando il centro federale. Una novità senza precedenti in un sistema incentrato a livello decisionale e mediatico su una sola persona.
Primo ministro del coronavirus
Mosca è la città più globalizzata e più esposta, e Sobyanin è stato investito dal Cremlino di poteri speciali come capo dell’unità speciale di crisi, una sorta di “primo ministro del coronavirus“, come lo definisce Andrey Kolesnikov su Carnegie Russia. Ma, in un’altra innovazione senza precedenti, anche nel resto della Russia le decisioni su come affrontare l’emergenza epidemica vengono delegate a governatori e sindaci, in un federalismo che sostituisce la tradizione di accentramento che finora aveva reso la Federazione Russa tale più che altro nel nome. Putin si è sempre presentato come il leader supremo costretto a intervenire sulle inefficienze dei governi locali, ai quali normalmente venivano attribuite le colpe della mancata realizzazione delle direttive del centro.
Ora il classico paradigma russo dello “zar buono circondato da boiardi cattivi” è stato ribaltato. Scontato primus inter pares dei leader regionali, il sindaco di Mosca non si è limitato a una gestione del dispositivo anti-epidemico, ma ha osato perfino opporsi al presidente, spiegandogli davanti alle telecamere che “nessuno conosce il quadro reale” della pandemia e che le misure del suo contenimento erano insufficienti.
Propaganda, referendum e potere
La retorica ufficiale del Cremlino, e della propaganda, era stata quella di sminuire la portata della minaccia, e di sostenere che la Russia disponeva di tutti i mezzi necessari per bloccarla. La priorità dell’agenda presidenziale rimaneva il referendum sugli emendamenti costituzionali indetto per il 22 aprile, che avrebbe permesso al presidente di restare al potere fino al 2036. Il referendum è stato rinviato a data da definirsi, e da tutta la Russia piovono denunce disperate di mancanza di dispositivi di protezione, tamponi e posti letto, in un’emergenza i cui contorni reali sono ancora difficili da capire, con l’emersione di focolai e disastri delle sanità locali parzialmente osteggiati dalla censura e dalla legge che rende reato la diffusione di fake news sul Covid-19.
Questa manifesta debolezza del potere centrale potrebbe essere una tattica finalizzata a scaricare tutte le responsabilità di quello che si presenta come un disastro sanitario sui governatori, e infatti alcuni di loro si sono già dimessi sotto il peso della responsabilità. Potrebbe anche trattarsi di un ipotetico scenario di transizione pilotata, la famigerata “operazione delfino” che una cospicua parte dell’élite politica ed economica della Russia auspicava per il 2024. Putin però l’aveva scartato proponendo il referendum costituzionale e teorizzando i pericoli di una alternanza al potere. Un segnale a tutti i potenziali concorrenti: il presidente non si sarebbe trasformato in un’anatra zoppa per altri 16 anni, cioè per una vita politica intera.
Sobyanin nuovo uomo forte?
Paradossalmente, proprio questa operazione potrebbe aver innescato quella che appare oggi quasi come una rivolta. Gli esponenti di spicco dell’establishment – e Sobyanin, ex capo dello staff presidenziale, è un peso massimo – non hanno più incentivi a seguire un leader che gli ha tolto ogni prospettiva. Il sindaco di Mosca non è certo un liberale, ma è lontano dai falchi nazionalisti e può essere considerato un pragmatico “moderato”. L’esperimento del sindaco con i pass digitali che ogni moscovita avrebbe dovuto richiedere per ogni uscita si è trasformato in un disastro, con decine di migliaia di persone intrappolate in code di ore all’ingresso della metropolitana. Ma molte regioni hanno comunque copiato, quando non addirittura irrigidito, le regole moscovite, in un’autonomia che fino a ieri era l’incubo del Cremlino.
Se Sobyanin riesce almeno ad arginare l’epidemia, potrebbe diventare il nuovo “uomo forte” che colma il vuoto di un Putin ormai stanco e impopolare e oscura il neopremier Mikhail Mishustin, ancora sconosciuto e poco carismatico. Se fallisce, potrà scaricare la colpa sull’uomo che per due decenni è stato presentato come unico motore del sistema: il boomerang dell’autoritarismo.