Se lo dice Kissinger (che il mondo cambierà)
Henry Kissinger, rifugiato ebreo tedesco negli Stati Uniti, veterano della Seconda Guerra Mondiale, punto di riferimento per molti teorici delle relazioni internazionali, segretario di Stato per Richard Nixon e Gerald Ford, premio Nobel per la pace, si è espresso pochi giorni fa – in un editoriale per il Wall Street Journal – sull’attuale situazione globale. Il ruolo storico di Kissinger nella politica internazionale è ancora molto dibattuto, a tratti controverso, ma le sue capacità di lettura, di analisi e di influenza sono ancora estremamente rilevanti.
Il peso del politico e dello studioso Kissinger sta facendo sì che in tutto il mondo si stiano analizzando le sue considerazioni su come la pandemia di Covid-19 influenzerà la politica internazionale. Il titolo dell’articolo è come un manifesto, dove Kissinger vuole essere estremamente chiaro su due aspetti: in primis, che il mondo cambierà per sempre a causa della pandemia; e, come secondo punto, che gli Stati Uniti si devono attrezzare non solo per proteggere i propri cittadini ma anche per “pianificare una nuova epoca“.
Nello specifico, il quasi centenario guru repubblicano ci dice che a cambiare, a causa degli effetti della crisi, sarà l’ordine globale. Dunque, Kissinger, ancora prima di iniziare il suo ragionamento, si rivolge esplicitamente alla necessità di mantenimento della leadership globale statunitense.
A divided country
In apertura, la suggestione è molto forte. Kissinger ricorda una delle esperienze più drammatiche della sua esistenza, quando rientrato in Europa da soldato di fanteria americano, si trovò sul fronte occidentale a dover rispondere all’ultima offensiva tedesca sulle Ardenne, prima della disfatta del Reich.
Un senso di pericolo incipiente, vicino ma invisibile. La similitudine con la fase storica attuale è aggravata dal rimarcare una differenza: al tempo la resistenza americana era cementata da uno scopo condiviso, nazionale. Kissinger, poi, ci tiene a precisare che comunque ritiene che l’attuale amministrazione stia fronteggiando bene la crisi, ma lo fa senza nominare direttamente il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Se esista un vero rapporto tra i due non lo sappiamo ma fu lo stesso Trump, appena eletto, a volere un colloquio col maestro della Realpolitik.
Ciononostante, l’ex segretario di Stato parla di una frattura che potrebbe incidere a lungo termine sulla ripresa del Paese. Parla di un paese diviso, “a divided country“, e ne espone i rischi: un paese cui manca la solidarietà sociale, la fiducia tra cittadini e verso i governanti, impedisce che lo sforzo collettivo muova in una stessa direzione. Su tale fiducia sociale si fondano anche la comprensione e la cooperazione tra società diverse e, dunque, il cosiddetto ordine globale. Ora, per dire che l’ordine mondiale cambierà bisogna presupporre innanzitutto che un ordine esista e Kissinger si riferisce all’egemonia statunitense, in atto proprio dalla fine del secondo conflitto mondiale.
Usa in prima linea e Illuminismo
Partendo dalle considerazioni sugli Stati Uniti, Kissinger sottolinea quelle che ritiene essere le caratteristiche del sistema mondiale costruito sulle basi liberali, la natura profonda degli Stati democratici. Per Kissinger, se si vuole evitare ulteriore disordine, gli Usa dovranno guidare l’uscita dalla crisi a livello globale. Sebbene, la maggioranza dei paesi stiano affrontando l’emergenza a livello nazionale è d’estrema importanza che le risposte di lungo periodo vengano coordinate a livello globale, poiché è dal commercio internazionale e dal movimento delle persone che vengono garantiti il benessere economico e la pace.
Il richiamo ai valori dell’Illuminismo – un richiamo che sembra indirizzato in questo caso anche agli interlocutori europei – è finalizzato a sottolineare un altro concetto essenziale e cioè che le democrazie o esistono per garantire sicurezza, benessere economico e giustizia, oppure perdono il loro senso. Per Kissinger, quando la pandemia sarà finita – a ragione o a torto non importa – molti cittadini del mondo si ritroveranno a pensare che alcune istituzioni – nazionali e internazionali – abbiano fallito il loro compito di proteggerli.
Le conseguenze politiche ed economiche della crisi di fiducia nei confronti di tali istituzioni potrebbero essere catastrofiche, d’instabilità globale, e potrebbero durare per generazioni. Superata l’emergenza, per Kissinger ci sarà bisogno di lavorare su tre fronti principali: sviluppo in ambito sanitario di nuove tecnologie per proteggere la popolazione mondiale; tutelare l’economia globale e con essa anche il benessere delle popolazioni più vulnerabili; salvaguardare quei principi di democrazia e libertà su cui si fonda l’ordine liberale mondiale.
Il messaggio di Kissinger
Kissinger, infine, delinea il suo pensiero in maniera chiara: o si gestisce la situazione oppure potrebbe generarsi il caos. Il suo è un appello agli Stati Uniti, cui chiede di prepararsi a farsi carico di tale gestione altrimenti potrebbero essere i primi a subirne le conseguenze negative. Facendo riferimento direttamente al piano Marshall e al progetto Manhattan, un investimento che portò prosperità e progresso agli Usa una volta usciti dal campo di battaglia nelle Ardenne.
Il richiamo alle responsabilità statunitensi è sonoro. Nell’anno delle elezioni presidenziali, con una pandemia globale in corso che sembra dar ragioni patrocinatori dei confini solidi e del sovranismo, Kissinger fa appello ai valori liberali che sembrano ormai sopiti sotto le ceneri dell’ultima presidenza.
Per ora le politiche messe in atto da Trump hanno come orizzonte la rielezione, tamponando l’economia facendo ricorso alla potenza di fuoco delle casse dello Stato. Mentre fino a oggi, sul fronte occidentale, il presidente in carica è stato soprattutto fonte di fratture, arrivando persino a sostenere la Brexit. Vedremo se Trump saprà ascoltarlo, ribaltando la propria strategia.