Pessime novità per le (quasi) città-Stato del Golfo
Per le monarchie del Golfo, il probabile rinvio dell’Expo 2020, previsto a Dubai in ottobre, al 2021 dà il senso di come l’esperienza sociale del virus stia riplasmando il mondo, in senso post-cosmopolita, anche a quelle latitudini. Infatti, il pianeta rimane estremamente connesso a livello virtuale, ma le distanze fisiche tra quartieri, città e Stati si sono rapidamente allargate. E non sappiamo per quanto. Una pessima novità per le (quasi) città-Stato del Golfo, altamente internazionalizzate.
Così, Mohammed bin Zayed Al Nahyan, principe ereditario di Abu Dhabi e vicecomandante delle forze armate degli Emirati Arabi Uniti (Eau), si è ritrovato a inaugurare ad Abu Dhabi il primo di una serie di centri per tamponi – e non l’Expo – che apriranno nei sette emirati della federazione: si verrà esaminati senza scendere dall’auto.
Il Covid-19 colpisce la domanda mondiale di petrolio e il turismo, riduce gli investimenti esteri e mette sotto pressione i piani di diversificazione economica post-petrolio. Tuttavia, sarebbe miope focalizzarsi solo sull’impatto economico della pandemia. Settarismo, rapporto con le comunità dei lavoratori stranieri residenti (expatriates), impiego delle forze di polizia e gestione securitaria dello spazio pubblico sono solo alcune delle dinamiche da tenere d’occhio.
Numeri e zone (più) rosse
Tra le monarchie del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Ccg), l’Arabia Saudita è il paese con il numero più alto di positivi a Covid-19: oltre 2605. Poi, vi sono gli Eau (oltre i 2000 casi), il Qatar (più di 1800), Bahrein e Kuwait (oltre 650 ciascuno) e il Sultanato dell’Oman (più di 350 positivi confermati). Tutti i paesi hanno adottato misure di distanziamento sociale, chiusura degli spazi pubblici e, in molti casi, coprifuoco notturno.
L’emirato di Dubai ha deciso due settimane di chiusura (lockdown), compresa l’interruzione della metropolitana. Ma alcune zone sono più sigillate di altre. L’Arabia Saudita ha messo in quarantena dall’8 marzo il governatorato di Qatif, nella regione orientale a maggioranza sciita. L’area aveva registrato una concentrazione di contagi causati da pellegrini tornati dall’Iran: finora il clero sciita locale, nonostante le striscianti tensioni settarie, ha accettato il provvedimento.
Dal 25 marzo 2020 è inoltre vietato entrare e uscire dalla capitale Riad, dalle città sante di Mecca e Medina e l’area di Jedda è stata parzialmente chiusa. Strumentalizzando lo scontro con il vicino Iran, il Bahrein lo ha subito accusato di “aggressione biologica“: il ministero della Salute sottolinea che il 68% dei casi confermati riguarda chi torna dal territorio iraniano, come i 77 bahreiniti positivi sui 165 rimpatriati dall’Iran.
Il fronte economico e dei lavoratori stranieri
In diversi paesi del Ccg, le “zone rosse” sigillate dai governi sono le aree periferiche, più densamente popolate, in cui risiedono i lavoratori stranieri: un problema di manodopera per le economie dell’area. In Oman, il distretto commerciale della capitale Muscat dove si trova il vecchio suq, Muttrah, è confinato: il 75% dei positivi al virus è stato registrato proprio nel governatorato di Muscat. Il Qatar ha chiuso l’area industriale alle porte di Doha, che ospita gran parte degli expatriates. Dubai ha subito confinato la zona di Al Ras, mercato e residenza dei lavoratori stranieri.
Anche qui, la protezione sociale dello stato torna protagonista. Ogni monarchia ha varato il proprio pacchetto di aiuti economici: ci sono delle differenze, ma “liquidità” è la parola-chiave. E ritornano i sussidi, in parte tagliati: Abu Dhabi li ripristina su acqua ed elettricità per cittadini e attività commerciali e industriali, gli stessi che il Bahrein pagherà per tre mesi a individui e imprese e il Qatar per sei mesi. Dal 2017, il piccolo emirato degli Al Thani aveva già avviato un processo di localizzazione della produzione, quando “il Quartetto” (Arabia, Eau, Bahrein ed Egitto) interruppe le relazioni diplomatiche con Doha, mettendola sotto embargo.
I piani di stimolo di Arabia Saudita e Kuwait si focalizzano sugli aiuti alle piccole e medie imprese. In Oman, il sultano Haitham bin Tariq Al Said, succeduto lo scorso gennaio a Qaboos, presiede un comitato supremo per contrastare l’impatto di Covid-19. Tra le prime misure adottate, il deferimento delle tasse municipali e degli affitti per le imprese.
Il protagonismo della polizia
A differenza di quasi tutti i paesi arabi (come Tunisia, Marocco, Algeria, Egitto, Libano e Giordania), gli eserciti delle monarchie del Golfo non sono stati finora impiegati nel controllo degli spazi pubblici. Nulla di insolito, se si pensa che i militari hanno qui un ruolo di protezione dei regimi politici. Solo in Oman, il comitato supremo ha previsto la compresenza di militari e poliziotti a Muttrah e presso i check-points nel Sultanato; ma l’esercito omanita è tradizionalmente più visibile che nelle monarchie vicine.
La polizia è in prima linea: monitoraggio del lockdown (anche con l’ausilio di droni e, in Qatar, di robot), nonché sterilizzazione degli spazi pubblici. In più, le campagne di informazione e di sensibilizzazione su Covid-19 sono promosse soprattutto dalle polizie locali: nel messaggio della polizia dell’Oman, proteggersi dal virus è un “dovere nazionale”.
MbS: ancora arresti
Intanto, in Arabia Saudita, il principe ereditario Mohammed bin Salman Al Saud ha sferrato, il 5 marzo scorso, l’ennesimo attacco contro la “vecchia guardia” che ne ostacolerebbe l’ascesa: tre principi sono stati arrestati, fra cui il fratello minore del re. In più, la commissione nazionale anti-corruzione ha messo sotto indagine 674 impiegati pubblici, arrestandone 298 per tangenti e reati finanziari. Tra di loro, uomini del ministero dell’Interno e militari.
Le cronache del coronavirus non devono distogliere l’attenzione dagli inarrestabili intrecci della politica, che proseguono anche a Riad e dintorni.