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PALAZZO DI VETRO

Libia: un anno di guerra e la pace è più lontana che mai

16 Apr 2020 - Francesco Semprini - Francesco Semprini

All’inizio di aprile il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, in un accorato appello dal Palazzo di Vetro, ha sollecitato le parti impegnate nei conflitti in tutto il pianeta a deporre le armi e consentire ai popoli costretti in zone di guerra di affrontare la grave crisi pandemica causata dal coronavirus. Un appello che aveva, tra gli altri, un particolare riguardo alla Libia, dove la tregua è stata sempre violata, anche quando l’epidemia del Covid-19 si è affacciata minacciosa all’interno del Paese. “Il cessate il fuoco – ha spiegato Guterres – è fondamentale al fine di aiutare a creare le condizioni per l’arrivo di aiuti vitali”.

L’appello del Segretario generale, almeno per la Libia, è caduto nel vuoto, e ora il Governo di accordo nazionale (Gna) di Fayez al Serraj, assediato dai continui attacchi missilistici delle forze di Khalifa Haftar, ha inaugurato una controffensiva sul fronte occidentale. La prima vera azione, dopo la riconquista di Garhyan di fine giugno, che non si limita al respingimento dell’avversario dall’inizio del conflitto, ovvero da oltre una anno. Era il 4 aprile 2019 quando il generale si mosse per la conquista della capitale e oggi rispetto ad allora la pace appare assai più lontana.

Lo spettro del Covid-19
Nel corso delle ultime settimane si è diffuso un certo panico in Libia in seguito all’allargamento dei contagi in tutta la regione nordafricana. Nonostante i numeri siano ben più contenuti, con alcune decine di casi accertati e alcuni decessi, tra cui il primo di una signora ultra ottantenne, il timore è legato al fatto che il Paese non ha una rete sanitaria efficiente. I malati e i feriti vengono di solito trasportati e curati all’estero, ma adesso che i confini sono chiusi è assai complicato. Le strutture sono insufficienti, e tutto lascia pensare che i numeri aumenteranno, non come in Egitto dove il bilancio delle vittime da Covid-19 è molto pesante, ma forse come la Tunisia.

La comunità internazionale ha pertanto chiesto una tregua, che però è saltata perché sulla capitale continuano a cadere “Grad” (lanciarazzi da artiglieria BM-21 di fabbricazione russa) lanciati dalle forze del generale Haftar. Aerei e droni del autoproclamato “esercito nazionale libico”, guidato dall’uomo forte della Cirenaica, non si avventurano più in voli offensivi, perché l’efficace contraerea turca rappresenta una minaccia. Ma il lancio di Grad non è mai cessato e a farne le spese, sovente, sono i civili della capitale e delle sue periferie.

Ecco allora che il Gna ha deciso di reagire e passare al contrattacco. Anche perché è lecito pensare che non ci sarebbe stato più un cambiamento di prospettiva da parte delle forze haftarine, e che Tarhuna, l’enclave del generale in Tripolitania, continuerà a fare il suo gioco e combattere contro le forze governative anche in tempi di pandemia.

I tre fronti del conflitto
La situazione sul terreno vede al momento un conflitto su tre fronti. C’è il fronte anti-Tripoli, dove il governo sta cercando di respingere Haftar con risultati solo parzialmente positivi perché si tratta di una guerra di attrito e si guadagnano (o perdono) pochi metri a volta.

Vi sono quindi due assi, uno a ovest e uno ad est, che servono anche come catena di rifornimenti di armi, mezzi e combattenti verso la capitale. E dove stanno dando un contributo da una parte i mercanti dalla russa Wagner a sostegno delle forze offensive, e dall’altra parte le forze di Ankara. Il missile partito da una nave turca che ha abbattuto un drone a ovest verso il confine con la Tunisia era un chiaro avviso rivolto al nemico perché, sebbene Recep Tayyip Erdogan non voglia una guerra totale in Libia, sicuramente non è disposto ad accettare la caduta di Tripoli e la vittoria di Haftar.

Ha fatto seguito quindi un’operazione del governo sulla base aerea haftarina di Watiya vicino Zintan città divisa tra lealisti e antigovernativi, senza però che il Gna ne prendesse il controllo. Quell’azione, essendo stata condotta in buona parte da guerrieri Amazigh (etnia berbera filogovernativa molto forte nell’area di Zuwarah) ha favorito un ricompattamento delle cittadine pro Haftar come Sabratha e Surman e questo ha creato un po’ di agitazione nel Consiglio presidenziale. Il quale, forte delle rassicurazioni di Ankara, ha rotto gli indugi e condotto un’offensiva lampo grazia a cui ha ripreso il controllo di tutta la fascia costiera ad ovest di Tripoli, fino al confine di Ras Jdeir con la Tunisia. “Le nostre forze hanno ripreso il controllo da ieri a oggi delle città costiere di Sabratha, Sorman, al Ajilat, al Jameel, Raqdalin e Zliten”, ha detto Mohammed Qanunu, portavoce dell’operazione “Vulcano di Rabbia”.

Sigillare il fronte occidentale
I governativi, insomma, puntano a mettere in sicurezza e sigillare il fronte occidentale, mentre su quello orientale, ad est di Misurata, nella zona di Abu Ghrein, grazie al sostegno turco sta ottenendo risultati validi. C’è un tentativo progressivo del governo di tornare verso Sirte, ma lo scontro è molto sanguinoso specie per un conflitto a bassa intensità come questo.

Ad inizio aprile, in un solo giorno di combattimenti ad Abu Ghrein, sono caduti 35 uomini delle forze governative e una cinquantina di miliziani dell’est – numeri altissimi per questo genere di guerra. Ai progressi compiuti da Serraj su due fronti esterni, le milizie del generale Khalifa Haftar hanno risposto bersagliando con razzi quartieri a sud ed est della capitale, causando almeno un morto (un bambino di nove anni) e quattro feriti.

Il lancio “indiscriminato” di razzi ha riguardato varie zone tra cui quella dell’aeroporto di Mitiga, Arada e Suk El Giuma (situate a circa dieci km dalla centralissima piazza dei Martiri). Ma il consigliere militare delle forze del Gna, Amer Abdel Kafi, mette in guardia Haftar che qualsiasi nuova mossa militare dell’esercito nazionale libico a ovest di Tripoli “sarà un suicidio“.

La seconda parte dell’articolo è stata pubblicata su AffarInternazionali venerdì 17 aprile 2020.