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OSSERVATORIO IAI/ISPI

La pandemia mette a rischio le ambizioni globali di Pechino?

20 Apr 2020 - Francesca Ghiretti - Francesca Ghiretti

Dopo 11 settimane di strette misure di quarantena, il 18 marzo 2020 il governo cinese ha riportato zero nuovi casi nella città al centro della pandemia, Wuhan. A oggi, la crescita dei contagi in Cina si è appiattita stabilizzandosi attorno agli 80mila casi. È proprio l’improvviso calo dei contagi a creare sospetti sull’affidabilità dei numeri cinesi. Sospetti accresciuti dalla storia del Partito comunista cinese (Pcc), solito a nascondere informazioni e rimaneggiare dati a proprio favore. Infatti, l’impazienza della Cina a comunicare la propria vittoria contro il Covid-19 è guidata da due elementi: il primo è limitare il più possibile e il prima possibile i danni all’immagine globale della Cina causati dal virus; il secondo è di far ripartire l’economia cinese.

È troppo presto per fare una previsione accurata di quelle che saranno le ripercussioni del Covid-19 sulle aspirazioni internazionali della Cina. Tuttavia, è già possibile notare il delineamento di alcune dinamiche che potrebbero accompagnarci nella fase post-pandemica.

Dimensione domestica cinese
Internamente la Cina ha vissuto un momento di forte rallentamento economico. La chiusura della produzione è costata cara al paese, che già vedeva dispiegarsi davanti a sé un 2020 con una crescita in frenata e che si trova ora a ripartire dopo un primo trimestre caratterizzato da un drastico calo del prodotto interno lordo – calo destinato a continuare secondo le previsioni. L’andamento economico è un aspetto estremamente rilevante per ogni Paese, ma per la Cina di oggi esso occupa una posizione ancora più rilevante, in quanto delinea una buona parte della propria identità domestica e internazionale.

Partiamo dalla dimensione domestica. Gli analisti parlano spesso del cosiddetto patto sociale esistente tra il Partito comunista cinese e i cittadini, che prevedrebbe il disinteresse politico di questi ultimi in cambio di un’amministrazione che garantisca loro un buon stile di vita. Eppure, sembriamo spesso presumere che l’unico motivo per cui i cittadini possano accettare uno stato autoritario ed evitare di rivoltarsi contro di esso sia il benestare economico; questo ragionamento risulta fallace perché non prende in considerazione il lato nazionalista della società cinese. Il Pcc è stato in grado di infondere un forte senso di fedeltà nei propri cittadini e di capitalizzare su questo in più occasioni.

Questo è il motivo per cui è improbabile che il Covid-19 porti a rivolte popolari. Gli esempi di persone che seguono ciecamente la narrativa del partito sono innumerevoli e nonostante spicchino gli eventi dei dissidenti non significa che questi siano la maggioranza. Sebbene sempre improbabile, sarebbe più verosimile un cambio di leadership in seguito a critiche interne al partito, ma Xi Jinping si sta assicurando di arginare questo rischio eliminando figure poco gradite.

Dibattito internazionale
Tuttavia, è innegabile che la pandemia metta a rischio il presente e il futuro della Cina in quanto seconda economia globale e futuro leader tecnologico. Infatti, per mantenere questo status la Cina ha bisogno di vedere crescere la propria economia – crescita che però ancora dipende da un ambiente internazionale favorevole o per lo meno non ostile. A livello globale il Covid-19 ha sollevato dibattiti sia sull’affidabilità della Cina come attore globale sia sui problemi di una globalizzazione eccessivamente dipendente da un solo paese. I reali sviluppi di questi dibattiti dipendono da numerosi fattori economici, politici e geopolitici che vanno oltre la pandemia.

Sarebbe però ingenuo non riconoscere che l’immagine globale della Cina si stesse erodendo ben prima della comparsa del virus. La venuta di Trump e l’inizio della guerra dei dazi avevano da lungo messo fine a una politica di cauto contenimento e gestione delle aspirazioni globali della Cina a favore di un aperto confronto. Finora la pandemia non ha addolcito la competizione: al contrario, i toni si sono ulteriormente inaspriti. Considerazioni e comunicazioni politiche esasperate guidano decisioni e prevengono la capacità di cooperare in un momento in cui la collaborazione tra grandi potenze sarebbe fondamentale. La possibilità di una lotta comune contro la pandemia è diventata quasi nulla e di conseguenza anche la realizzazione di un rilassamento delle relazioni tra Stati Uniti e Cina post Covid-19.

Anche Bruxelles si è fatta progressivamente più assertiva nelle sue comunicazioni, continuando comunque a occupare un terreno intermedio, senza mai scontrarsi apertamente con il gigante asiatico, almeno fino ad ora.

Propaganda del Pcc: ha funzionato?
Arriviamo dunque al momento in cui l’epidemia diventa una pandemia e coinvolge il mondo intero. Per evitare di essere incolpato di un disastro di portata globale, e soprattutto in seguito alle prime accuse di mala gestione da parte del partito, il Pcc decide di imbarcarsi in un’intensa campagna mediatica che vede al proprio centro l‘invio di aiuti sanitari ai vari Paesi colpiti. In Occidente, il primo paese a sperimentare la rinnovata solidarietà cinese è l’Italia. Non grazie alla fantomatica relazione speciale che esiste tra i due paesi, ma per il semplice fatto che l’Italia si è trovata a essere il primo paese dopo la Cina a vedere esplodere il contagio sul proprio territorio, e di conseguenza a necessitare forniture mediche per poter affrontare l’aumento dei contagi. Di fatti, poco tempo dopo, altri paesi europei hanno accolto gli stessi aiuti proveniente dalla Cina.

La domanda che però che rimane è se la strategia cinese abbia effettivamente funzionato. La risposta sembrerebbe essere: non troppo. Una dopo l’altra diverse figure europee: Josep Borrell (Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza), Ursula von der Leyen (presidente della Commissione europea) e, recentemente, Margrethe Vestager (vicepresidente esecutiva della Commissione europea) hanno espresso riserve nei confronti della Cina e lanciato avvertimenti ai Paesi membri.

Queste espressioni di aperta diffidenza nei confronti di Pechino presentano un futuro in cui Bruxelles difenderà in maniera più decisa i propri interessi economici, aprendosi così a potenziali frizioni con la Cina. Anche il mondo degli affari sembra aver intrapreso una serie di azioni volte a ridurre l’eccessiva dipendenza del mercato europeo da un solo paese: la Cina.

Italiani tra Cina e Ue
Ammesso e non concesso che gli italiani siano effettivamente diventati più favorevoli nei confronti della Cina, si potrebbe tuttavia sostenere che questo non sia unicamente il risultato dell’azione cinese, bensì anche della crescente ostilità nei confronti dell’Unione europea. Per quanto invece riguarda la classe politica, ciò che si può osservare è che individui o gruppi con atteggiamenti positivi nei confronti della Cina lo erano anche prima dell’arrivo degli aiuti cinesi, mentre paiono acuirsi le posizioni degli antagonisti a Pechino. La stretta sul Golden Power nasce proprio dalla preoccupazione che aziende italiane possano essere acquisite da aziende estere in questo momento di instabilità economica.

Malgrado gli incessanti sforzi della Cina per cambiare la narrativa globale riguardo l’esplosione della pandemia di Covid-19 – sforzi atti a creare un clima internazionale favorevole alla crescita cinese – la risposta sembra andare nella direzione opposta