Il virus e il sistema delle relazioni internazionali
L’accelerazione degli eventi imposta dalla progressione geometrica dei contagi da Covid-19 ha profondamente segnato questi ultimi mesi. Quasi come reazione a questa sofferta impotenza o incapacità di gestire realmente la crisi, c’è ora la propensione ad anticipare quello che verrà, a immaginare il mondo futuro e le scelte che saranno necessarie. Ma questa ricerca di una rivincita che ci consenta di guadagnare nuovamente l’iniziativa sulla storia potrebbe essere troppo precoce e condurre a errori fatali.
Purtroppo, ne sappiamo ancora veramente troppo poco. Non sappiamo – e non è detto che sapremo mai – quale sia l’origine del virus, le sue caratteristiche originarie, il luogo e il momento della sua iniziale diffusione, il reale impatto in termini di mortalità, il tempo che servirà prima di portarlo, in qualche modo, sotto controllo.
Tutti questi elementi, in apparenza solo di carattere medico e scientifico, hanno in vero una grande rilevanza sul piano dell’economia, della politica, delle relazioni internazionali e della sicurezza.
L’imputato naturale
Pensiamo, ad esempio, alla Cina. Tanti si affrettano a dire che Pechino, avendo superato – non si sa a quale prezzo – la crisi, si trovi ora in vantaggio sul resto del mondo e guadagnerà posizioni, in termini di peso economico e politico. Però, cosa accadrebbe al “sistema Cina” se, ad esempio, il commercio globale e, più ancora, la cosiddetta global supply chain subissero un forte ridimensionamento? Cosa accadrebbe, poi, se nella scia della crisi sanitaria e nel pieno della crisi economica globale già in arrivo, grandi attori politici mondiali si dovessero schierare congiuntamente per reclamare un giusto risarcimento per quanto sofferto dai loro Paesi?
Sarebbe la Cina l’imputato naturale, e nessuno può escludere che il gigantesco volume di debito pubblico e privato di tanti Paesi, oggi in mano a Pechino, possa diventare carta straccia per la decisione, politicamente motivata e giuridicamente argomentata, di non riconoscerlo più come dovuto.
Regimi, petrolio e democrazie
C’è da chiedersi, poi, quale sarà l’impatto della crisi economica su i regimi autoritari che si reggono sul controllo del dissenso, ma anche sullo sfruttamento delle risorse naturali, a cominciare dalle materie prime energetiche. Quanto servirà prima che i prezzi del petrolio torneranno ad un livello tale da assicurare la stabilità, o la stessa sopravvivenza, di tali regimi?
Le democrazie liberali e, più ancora, la devoluzione di potere e responsabilità dagli Stati ai territori, oggi soffrono più di tutti e sono costrette a mettere in discussione i loro principi, dalle libertà individuali alla privacy. Ma questa crisi ha in realtà fato emergere la fragilità del nostro sistema sociale e culturale; di tutti i sistemi, nelle tante differenti declinazioni che esistono oggi nel mondo.
Piani non rispettati e futuro incerto
Perché non è vero che nessuno si aspettasse una pandemia. Il suo arrivo era previsto come concreta possibilità in moltissimi studi, accademici e non. Non è vero che non ci fosse preparazione; tutti i soggetti interessati, dalle Organizzazioni internazionali, agli Stati, alle regioni nel caso dell’Italia, e pure i singoli ospedali, avevano “sulla carta” un piano per rispondere a tale eventualità.
Però, molto banalmente, nessuno li ha mai rispettati quei piani, e le prescrizioni in essi contenute. Nessuno, se è vero che nessuno, dai soggetti pubblici più grandi e ricchi fino al singolo medico di base, aveva accantonato una scorta sufficiente di guanti e mascherine, almeno per un mese di emergenza.
Se allora il nostro sistema sociale e culturale è così vulnerabile, e se le ragioni dell’efficienza e della competizione ci spingono ad escludere ogni ipotesi di “cigno nero“, perché troppo costosa, dovremmo pure chiederci cosa accadrebbe in realtà se altre terribili occorrenze, pure queste ampiamente studiate ma mai, per fortuna, palesatesi, dovessero presentarsi.
Solidità da verificare
In che misura possiamo davvero contare sulle alleanze internazionali? Il vincolo della difesa collettiva in ambito Nato funzionerebbe davvero se ci trovassimo di fronte non già a una minaccia terroristica, ma al rischio di una guerra su vasta scala? E la sicurezza degli approvvigionamenti, in particolare in caso di conflitto, sarebbe assicurata almeno all’interno dell’Unione europea? Quanto abbiamo visto negli ultimi due mesi ha incrinato molte certezze: il virus ha raggiunto e intaccato anche alcuni pilastri del sistema delle relazioni internazionali che abbiamo costruito nei decenni.
Per tutto questo, e in attesa di capire meglio cosa sia realmente accaduto, forse dobbiamo metterci al lavoro per verificare la reale solidità dell’edificio che tutti abbiamo contribuito a costruire, e nel quale ci sentivamo al sicuro. Dobbiamo però scendere alle sue fondamenta, ai presupposti e alle condizioni di tante nostre certezze. Senza questo sincero esercizio di realismo, nuovi accordi, nuovi trattati o nuove clausole pensati per proteggerci da rischi comuni varrebbero quanto i piani anti-pandemia.
Questo articolo è il tredicesimo di una serie dedicata a una riflessione sul Covid-19 e la sicurezza internazionale, aperta da Vincenzo Camporini e Michele Nones.