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GERMANIA E COVID-19

Più Marshall o Clemenceau? Il dilemma di Angela Merkel

21 Apr 2020 - Cesare Merlini - Cesare Merlini

Giovedì 23 aprile 2020 i capi di governo e di Stato dei 27 Paesi membri dell’Unione europea si incontreranno nell’ormai familiare forma a quadratini sul teleschermo. Formalmente tutti uguali. Ma anche qui, come nella fattoria degli animali di Orwell, vale la formula che “alcuni sono più uguali degli altri“. In particolare, uno è più uguale di tutti gli altri e ha nome Angela Merkel. È alla luce di questo stato di cose che forse conviene rivisitare l’antico “problema tedesco”.

Cominciamo dalla storia recente – per così dire, visto che copre ben tre quarti di secolo. Dalla fine della seconda guerra mondiale, quella Germania che è al cuore del problema è stata disponibile a cedere la sua sovranità a istituzioni europee quasi federali. E sempre durante questo tempo i tedeschi hanno preso coscienza delle loro colpe storiche, dall’aggressione nazista alla persecuzione razzista, quanto nessun altro paese abbia mai fatto delle proprie.

Orbene, le nazioni tradizionalmente a essa contrapposte hanno rifiutato ciò che veniva loro offerto su un piatto d’argento. Ha cominciato la Francia del generale de Gaulle, prima facendo bocciare la comunità di difesa e poi bloccando lui stesso il bilancio europeo con la cosiddetta “politica della sedia vuota”. Ha fatto seguito il Regno Unito della Thatcher, che voleva riavere il suo “money back”, non certo contribuire a quella “specie di Stati Uniti d’Europa”, che aveva contemplato un suo predecessore di nome Winston Churchill.

Entrambe mancarono di percepire la dinamica che avrebbe riportato l’allora Germania Ovest al centro del vecchio continente. Salvo poi svegliarsi al rumore della caduta del Muro di Berlino e tentare maldestramente di opporsi alla riunificazione tedesca, così da lasciare agli Stati Uniti il merito del via libera agli occhi del mondo. E che non fosse solo un problema dei governi verranno a dimostrarlo due referendum popolari: quello del 2004, con cui i francesi rifiuteranno il progetto di costituzione dell’Ue e quello del 2016 con cui gli inglesi si chiameranno fuori del tutto dall’abbozzo di Europa unita rappresentato dall’Unione.

L’attuale posizione centrale della Repubblica Federale di Germania discende certo dalle proprie capacità, economiche innanzitutto: produzione di qualità, gestione delle risorse pubbliche con la sozial marktwirtschaft (l’economia sociale di mercato) e sfruttamento delle opportunità che la Comunità prima e l’Unione poi le hanno fornito. Poi si è saputo trarre vantaggio dall’afflusso degli immigrati, turchi prima, siriani poi, sino ai raccoglitori rumeni di asparagi in questi giorni dell’epidemia. Il che ci porta alla gestione del Covid-19, che ha evidenziato un modello tedesco di relativo successo e conseguente minor danno economico.

Anche il virus, insomma, ci ha messo del suo nella centralità tedesca. Pur sempre la prima potenza economica e militare del mondo, l’America di Trump ha scelto di non esercitare più la leadership dell’Occidente, sia in termini strategici che valoriali; e ora registra l’umiliante primato delle vittime del corona. E delle due potenze nucleari europee, il Regno Unito di Johnson aggiunge alla discesa geopolitica della Brexit una difesa erratica dall’attacco del virus, e la Francia di Macron si dibatte fra le divisioni interne e gli ostacoli addizionali al suo faticoso galleggiamento economico, generati dall’epidemia.

Ma è all’altezza del ruolo centrale acquisito la Germania di oggi? Un ultimo rifermento storico può aiutare a dare una risposta. Il popolo tedesco ha avuto sperimentati su di sé due comportamenti: quello di Georges Clemenceau, che a Versailles nel 1919 impose sui vinti le condizioni capestro che portarono al tragico intervallo tra le due guerre, nazismo compreso – esempio preclaro di miopia; e quello di George Marshall, padre del piano che dal 1948 aiutò gli Stati europei, la Germania sconfitta e colpevole in primo luogo, a realizzare la ricostruzione, la democrazia e l’avvio dell’unificazione – esempio preclaro di lungimiranza.

Tra i due paradigmi la Cancelliera si è mossa con esitazioni e ambiguità. Diversi suoi concittadini hanno criticato quanto fatto durante la grande recessione del 2008-12, in particolare nei confronti della Grecia. Cui è seguita la priorità accordata dalla politica economica alle capacità di esportazione e negata invece agli investimenti pubblici interni, così da gravare sugli squilibri economico-finanziari dell’area euro, oggi esaltati ulteriormente dal terremoto del virus.

Ma è anche geopolitica, questa partita già messa a dura prova da una Casa Bianca anti-europea e da un 10 Downing Street extra-europeo e ora sconvolta dalla pandemia. La Germania, se vuole affrontare con credibilità le nuove sfide del multipolarismo, le difficoltà del multilateralismo e le minacce per la democrazia liberale in tempi di post-globalizzazione e digitalizzazione, deve avere con sé un’Unione abbastanza coesa e un Euro abbastanza solido.

Il governo tedesco, presumibilmente ancora guidato da Angela Merkel, assumerà la presidenza della macchina europea dal 1° luglio prossimo per un semestre: proprio il tempo dell’uscita dal più grande disastro occorso nel mondo dal 1945, tre quarti di secolo fa. Quanto Clemenceau e quanto Marshall vorrà metterci? Giovedì ne avremo qualche prima indicazione, forse.