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Lettera aperta di oltre 1.700 economisti

Eurobond per la rinascita dell’Europa

6 Apr 2020 - Marcello Signorelli - Marcello Signorelli

La gravissima emergenza Covid-19 e le enormi conseguenze sull’economia di tanti paesi hanno molto avvicinato le proposte di politica economica di tanti economisti che, solitamente, sono invece schierati su posizioni variegate e spesso contrapposte. La spiegazione è connessa alla considerevole entità delle risorse pubbliche necessarie per intervenire efficacemente sulla rilevante e inedita crisi economica in atto (shock da offerta e da domanda contemporaneamente), peraltro in un contesto di inevitabile forte calo delle entrate pubbliche.

In altri termini – come lo stesso Mario Draghi ha recentemente ben specificato sul Financial Times – in una situazione assimilabile a una “guerra“, gli Stati non potranno che accrescere i propri debiti pubblici per finanziare i considerevoli peggioramenti nei deficit pubblici.

Va detto che, in teoria, i disavanzi di bilancio pubblico potrebbero essere finanziati – almeno in parte – con “stampa di moneta” della Banca centrale, cosa che accade in molte parti del mondo; questa possibilità è tuttavia preclusa nell’Eurozona dove la Bce deve fare i conti con il divieto di intervenire sul mercato primario, cioè all’emissione dei titoli di stato dei 19 paesi membri.

Peraltro, va rilevato che gli interventi sistematici di acquisto della stessa Bce sul mercato secondario dei bond nazionali (si pensi al Quantitative easing iniziato nel 2015 e recentemente rilanciato in forma nuova) assieme al reinvestimento immediato delle risorse derivanti dai titoli in scadenza, hanno un evidente impatto anche sul mercato primario e, per taluni economisti, sono assimilabili alla “monetizzazione“.

Perché servono gli Eurobond
Effettivamente, nella pur fragile e incompleta Eurozona, l’importante decisione di acquisti imponenti (per 750 miliardi di euro aggiuntivi nei prossimi mesi dell’anno) presa dalla Bce nella riunione di emergenza del 18 marzo scorso ha creato un valido (sarà da vedere quanto temporaneo) ombrello protettivo per la sostenibilità dei debiti pubblici nazionali, anche dei paesi già fortemente indebitati come l’Italia. Ma viene da chiedersi, anche se a breve termine una crisi dei debiti sovrani è molto improbabile, è saggio far gravare gran parte del peso della sostenibilità dei debiti pubblici e quindi della sopravvivenza dell’euro sulla Bce? E per quanto tempo potrà funzionare?

Ricordiamo che la Bce, oltre ai citati impedimenti di acquisti sul mercato primario dei titoli di stato, ha obiettivi più ristretti rispetto alla Federal Reserve e altre banche centrali. Questo per non parlare degli scarni strumenti finora a disposizione delle altre istituzioni europee: un bilancio europeo molto piccolo a livello Ue-27 (solo l’1% del Pil), la sostanziale assenza di un bilancio specifico dell’Eurozona, la presenza di istituzioni di vecchia data (la Banca europea per gli investimenti, Bei) e relativamente nuove (il Meccanismo europeo di stabilità, Mes) più o meno inadeguate ad affrontare il contesto attuale, senza un loro forte rilancio della capacità di azione (Bei) o un rilevante ripensamento di condizionalità e obiettivi (Mes).

Insomma – e qui veniamo al punto decisivo – non è pensabile che l’Europa, e in particolare il suo livello più avanzato di integrazione che è l’Eurozona, si limiti sostanzialmente alla sola – pur necessaria – rimozione delle regole del patto di stabilità e crescita e lasci i singoli stati sostanzialmente soli ad affrontare una fase, che non sarà breve, di forte crescita dei debiti pubblici nazionali in un contesto di grave e diffusa recessione (e quindi con rapporti debito pubblico/Pil in forte ascesa) e non si avvii finalmente – dopo quasi 30 anni dalla proposta formulata da Jacques Delors – l’emissione di Eurobond, cioè di titoli pubblici garantiti dai paesi membri volti non a mutualizzare i debiti pubblici nazionali esistenti, ma a finanziare specifiche spese pubbliche di emergenza e rilancio economico per una concreta rinascita dell’Europa e un vero rilancio del necessario completamento del processo di integrazione.

Già 1.700 adesioni
In tale direzione spinge fortemente la “Lettera Aperta” promossa da tanti economisti di vari paesi (fra i primi firmatari vi sono i Proff. Mario Morroni e Pompeo Della Posta dell’Università di Pisa, nonché nomi molto autorevoli come il Prof. Paul De Grauwe della London School of Economics) indirizzata ai 5 Presidenti delle istituzioni europee e ai capi di stato e di governo dei paesi membri.

In soli tre giorni tale “Lettera Aperta” ha già superato le 1.700 adesioni (far cui anche economisti tedeschi e di molti altri paesi) e i firmatari continuano ad aumentare. Nella proposta, si sottolinea che siamo di fronte a una sfida senza precedenti per l’Europa e che, conseguentemente, è necessaria una strategia comune inedita. La proposta suggerisce la raccolta di risorse in un “fondo comune europeo” sotto la responsabilità delle istituzioni dell’Unione (ad esempio la Commissione) e qualsiasi paese membro dovrebbe avere accesso a questo fondo sulla base di esigenze documentate e piani coerenti concordati con la suddetta istituzione.

Pragmaticamente, si suggerisce che, in caso di difficoltà nel prendere una decisione di ripartizione, le risorse potrebbero essere distribuite agli Stati membri in proporzione alla popolazione. Per quanto riguarda i mezzi necessari per creare tale fondo comune, vengono proposti Eurobond (chiamati evocativamente “European Renaissance Bonds“) precisando che questo nuovo debito comune non implicherà alcuna mutualizzazione dei debiti nazionali esistenti, ma si riferirà solo alle spese (per i sistemi sanitari, le famiglie, le imprese e per investimenti pubblici) necessarie per affrontare l’enorme shock comune che sta colpendo tutti i paesi europei.

Quale futuro per l’Ue
La “Lettera Aperta” conclude ponendo delle domande e dei moniti: perché è stata creata l’Unione europea? Perché noi cittadini europei dovremmo stare insieme se non siamo nemmeno in grado di fornire una risposta unitaria alla minaccia comune che ci sta aggredendo? Senza una risposta comune, pur in un orizzonte temporale imprevedibile, lo stesso futuro dell’Eurozona e dell’Unione europea sarà gravemente a rischio, con possibili crisi dei debiti sovrani e un progressivo allontanamento delle popolazioni dall’ideale europeo tradito da scelte politiche non lungimiranti.

L’Europa dovrebbe trasformare questi giorni difficili in un’opportunità di vera rinascita. Nell’Eurogruppo di martedì 6 aprile 2020, e nel successivo Consiglio Europeo, è importante che – sia pur in un eventuale ventaglio di più strumenti attivati in forma ben disegnata – i leader delle istituzioni europee e i capi di stato e di governo non ignorino il suggerimento compatto, motivato nella “Lettera Aperta”” di un numero così vasto e variegato di economisti di così tanti paesi.

In questo incerto tornante della storia, la “politica” (dell’Europa e degli stati membri) saprà incamminarsi verso una sintesi virtuosa tra posizioni diverse nell’ambito di una visione comune del benessere delle popolazioni europee?