I soccorsi in mare durante la pandemia
Lo tsunami causato dalla pandemia di Covid-19 non poteva risparmiare le migrazioni via mare. Né si poteva pensare che gli intenti criminali degli scafisti e la disperazione delle persone che fuggono dalle persecuzioni o cercano una vita migliore fossero inibiti da un virus, anche il più letale. Lo dimostrano i 156 migranti soccorsi il 6 aprile 2020 dalla nave “Alan Kurdi” della Ong tedesca Sea Watch al largo delle coste libiche e le voci disperate di numerosi migranti alla deriva, raccolte e trasmesse il giorno di Pasqua da “Alarm phone” (un contatto telefonico di emergenza predisposto a supporto delle operazioni di salvataggio marittimo).
Italia non sicura…
L’imminente arrivo nei mari italiani della Alan Kurdi e il suo rifiuto di avvalersi del supporto della Germania (Stato di bandiera) avevano indotto il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ad adottare il 7 aprile, in concerto con altri ministeri, un decreto in base al quale, per tutto il periodo di emergenza derivante dalla pandemia di Covid-19, “i porti italiani non assicurano i necessari requisiti per la classificazione e definizione di Place of Safety (“luogo sicuro”), in virtù di quanto previsto dalla Convenzione di Amburgo […] per i casi di soccorso effettuati da parte di unità navali battenti bandiera straniera al di fuori della area Sar italiana”. La Convenzione di Amburgo è quella del 27 aprile 1979 sulla ricerca e il salvataggio marittimo.
In altre parole, a causa dell’emergenza sanitaria in corso, l’Italia non è un posto sicuro per l’approdo finale delle navi che soccorrono le persone in mare. Il preambolo del decreto menziona, tra l’altro, l’art. 19 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare che reca, attraverso esemplificazioni, la definizione di “passaggio inoffensivo” nel mare territoriale. L’assenza di un esplicito riferimento ad alcuno degli esempi elencati nell’art. 19 fa intendere che il decreto è stato emanato per fronteggiare “passaggi” in mare che genericamente recano pregiudizio al “buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero”. Ciò trova conferma nel richiamo, presente ancora nel preambolo, dell’art. 83 del codice della navigazione, il quale assegna al “ministro dei Trasporti” la facoltà di vietare il transito e la sosta di navi mercantili nel mare territoriale “per motivi di ordine pubblico, di sicurezza della navigazione”.
… se il soccorso è operato da navi straniere
Senonché, il decreto interministeriale del 7 aprile copre le operazioni di salvataggio condotte da navi straniere in zone di responsabilità che spettano ad altri Stati. Di conseguenza, se l’operazione è condotta da navi italiane oppure nella (estesa) zona di responsabilità italiana, l’Italia ritorna a essere “sicura” e le persone soccorse potranno essere sbarcate in porti italiani. Dal preambolo del decreto si evince che l’Italia è un “posto sicuro” anche quando le operazioni, condotte da navi straniere, sono coordinate dalle autorità italiane (IMRCC-Roma).
La cronaca ha visto, poi, il capo della Protezione Civile ordinare, su indicazione del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, il trasferimento su un’altra nave e la quarantena delle persone soccorse dalla “Alan Kurdi“.
Deroghe emergenziali e disparità di trattamento
Può l’emergenza in atto giustificare una deroga alle regole applicabili al soccorso marittimo e, in correlazione, alla gestione di migranti provenienti dal mare che, se del caso, richiedono asilo o protezione internazionale all’Italia? In questo periodo siamo abituati a restrizioni di vario genere, che toccano finanche diritti fondamentali civili, economici, sociali e culturali sanciti dal diritto internazionale e dalla Costituzione italiana.
Il sacrificio di simili diritti appare giustificato da esigenze imperative connesse all’emergenza sanitaria, sullo sfondo di un bilanciamento di valori che induce alla tolleranza verso lo scostamento dagli standard minimi dello stato di diritto.
Ciò che però suona sempre male, anche in un periodo di emergenza, è la disparità ingiustificata di trattamento risultante da un atto dello Stato. Delle due, l’una: o l’Italia è un “posto non sicuro” per tutti, a prescindere dalla nazionalità della nave che opera il soccorso e dalla zona in cui il soccorso avviene, oppure l’Italia è un “posto sicuro” per tutti, compatibilmente con le capacità assistenziali del momento.