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Covid-19: serve un sistema di Difesa civile

28 Apr 2020 - Claudio Bertolotti - Claudio Bertolotti

La sicurezza della collettività impone un approccio sistemico in grado di far fronte a minacce che possono portare a crisi non più gestibili dallo Stato: un’azione efficace richiede piani e misure di risposta chiari e definiti con largo anticipo.

Se è vero che i settori Difesa e Sicurezza sono sempre più interconnessi, rimangono però due elementi tra di loro distinti e con specifiche competenze. Le Forze Armate, impegnate in attività di ordine pubblico, in supporto e in sostituzione alle Forze di polizia, o di costruire ospedali da campo, rendendo disponibile il personale sanitario, o ancora di garantire con la propria logistica il trasferimento delle salme dei deceduti a causa del Covid-19, sono indicatori di assenza di sistema più che di capacità.

È la dimostrazione di una gestione emergenziale non pianificata in cui alcuni specifici settori istituzionali vengono distratti dal loro compito primario e chiamati a garantire la funzionalità di altri apparati pubblici in crisi, senza una pianificazione strategica, né una concreta capacità strutturale.

Cosa ci insegna l’emergenza Covid-19?
L’emergenza Covid-19 ha portato al limite la capacità di gestione di alcuni settori dello Stato, in primis la sanità, riducendo così il livello di sicurezza collettiva. Una crisi, aggravata dall’assenza di resilienza da parte del “sistema Paese”, i cui effetti si imporranno in maniera dirompente tra 6/12 mesi a causa dell’onda lunga che provocherà un fenomeno di durata estesa e dagli effetti persistenti sul piano economico-finanziario e su quelli sociale e politico. Il rischio è dunque di aprire a uno scenario di crisi che – a differenza dell’emergenza affrontata oggi – rischia di non poter essere gestita da uno Stato, sempre più debole ed economicamente vulnerabile, che potrebbe non essere in grado di rispondere alle esigenze di sicurezza, individuale e sociale.

L’attuale pandemia è un estremo test di tenuta e risposta per le istituzioni statali. Eppure anche la Nato, come confermato dal nuovo “concetto strategico” (del 2010), è da tempo impegnata sulla necessità di una preparazione civile volta a garantire la funzionalità di governo, dei trasporti, della sanità, durante le emergenze. Lo sancisce lo stesso articolo 3 del trattato Nord Atlantico, che impegna gli alleati a costruire quella resilienza nazionale di cui si è fatto cenno.

Dalla Protezione civile alla Difesa civile
Se per le situazioni di “emergenza” (situazione ordinaria) esistono piani integrati, la stessa cosa non si può dire per le “crisi”(situazione eccezionale): a fronte di minacce crescenti una struttura di Difesa civile nazionale, integrata a livello europeo e con la Nato, è oggi più che mai essenziale. Ma chiariamo: la Difesa civile non è la Protezione civile, che si occupa di rischi naturali e antropici

Le situazioni di crisi sono potenziali minacce che mettono in discussione la sicurezza dello Stato e rendono necessaria l’adozione di strumenti per garantire la continuità dell’azione di governo, la salvaguardia degli interessi vitali dello Stato, la protezione della popolazione e delle capacità economica, produttiva, logistica e sociale. Tutti aspetti che rientrano nello scenario aperto dall’emergenza Covid19, ma che sono stati gestiti in maniera non omogenea, spesso incoerente e attraverso l’azione di attori non coordinati, dalla Protezione civile ai vari dicasteri.

Ciò che serve è dunque un piano Difesa Civile nazionale che definisca priorità, fasi e azioni a cui devono attenersi i cittadini e l’apparato statale: ma il cuore dell’azione della Difesa civile non è l’intervento successivo a un evento, bensì l’organizzazione preventiva, che preveda anche la collaborazione con soggetti privati, per fare in modo che le conseguenze di tale evento siano ridotte e brevi.

Resilienza: esiste oggi una reale capacità di Difesa civile?
Non vi è nulla di realmente efficace nelle mani degli operatori della Difesa e della Sicurezza, poiché non esiste un vero e proprio piano di Difesa civile, bensì una semplice quanto inadeguata linea guida discendente dal D.lgs 300 del 1999: poco più di una linea guida generale, non un piano strutturato adeguato all’evoluzione delle sfide globali, quali appunto le pandemie. È una normativa che non prevede una figura unica che abbia la responsabilità e il ruolo di autorità esclusiva.

Siamo molto indietro, sia in termini di azioni che di intenzioni, e questo nonostante il manuale nazionale di gestione delle crisi derivante dal Dpcm 5 maggio 2010, la cui struttura (stabilita appunto per Dpcm e non per legge ordinaria) lo rende succube di attività proprie delle amministrazioni che operano in virtù di leggi primarie e in maniera autonoma. Dunque nessun “sistema”.

Ciò che serve ora è quindi un piano nazionale di difesa civile, definito all’interno di una legge da cui deve discendere l’istituzione dell’autorità per la Difesa civile nazionale; mentre si impone come imprescindibile il passaggio di responsabilità della Direzione Centrale per la Difesa Civile dal ministero dell’Interno – dipartimento dei Vigili del Fuoco alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, a garanzia di un’efficace gestione della duplice componente militare e civile fornita dai due rispettivi ministeri.

Questo articolo è il dodicesimo di una serie dedicata a una riflessione sul Covid-19 e la sicurezza internazionale, aperta da Vincenzo Camporini e Michele Nones.