Covid-19 e (in)sicurezza internazionale
Il Covid-19 assume sempre più la forma di un uragano che, dopo aver devastato una parte della Cina, è saltato in Iran e, poi, con un nuovo balzo in Europa, e subito dopo negli Stati Uniti e ora si sta espandendo verso nord, coinvolgendo la Russia, e a sud, nel Mediterraneo e verso l’Africa e Sud America.
La sua forza non si è ancora esaurita e non è certo che le tardive misure di contenimento, adottate in ordine sparso da tutti i Paesi, riusciranno a contenerne gli effetti sulle aree non ancora contaminate.
L’attenzione mondiale è inevitabilmente assorbita da questo flagello, anche per le sue pesantissime e appena iniziate implicazioni economiche. Vi è, quindi, fra gli altri il rischio che finisca con il monopolizzare anche in prospettiva le decisioni sulle iniziative da prendere, dimenticando o sottovalutando gli altri fattori dell’insicurezza internazionale che pre-esistevano e che permangono.
L’insicurezza internazionale è notevolmente cresciuta nell’ultimo quinquennio. Sembra che alla fase di contrasto al terrorismo e alla destabilizzazione statuale, iniziata venti anni or sono, si accompagni ora il ritorno del tradizionale confronto di potenze, accentuato dall’ingresso di nuovi attori a livello mondiale e regionale, e con l’aggravante che si è via via logorata la coesione transatlantica ed europea.
La crescente e spesso incontrollata competizione internazionale ha aperto la strada alla guerra commerciale, con, sullo sfondo, quella energetica sia nel campo della produzione che in quello del trasporto e quella, più nascosta, per l’approvvigionamento delle materie prime. Insieme ad uno sviluppo completamente squilibrato fra nuove e vecchie potenze e, in particolare, fra i Paesi europei, tutto questo ha contribuito a indebolire la solidità del mondo occidentale.
I rischi per la difesa e la sicurezza
In un quadro deteriorato dei rapporti internazionali, dove a storiche tensioni si sono aggiunte minacce transnazionali, ora aggravate da una incombente devastante crisi economica globale, si fa sempre più concreto il rischio di un “disimpegno” politico da parte dei Paesi occidentali (sostenuto dalle reazioni emotive delle opinioni pubbliche e dalle difficoltà economiche) e conseguentemente di una riduzione dell’impegno militare verso le aree di crisi e di instabilità. Se, alla fine dell’emergenza Covid-19, dovessero essere i Paesi occidentali quelli a pagare il prezzo maggiore, la loro capacità di deterrenza e di intervento potrebbe oggettivamente diminuire.
Se la prospettiva è quella che permangano numerosi focolai nel mondo, resta elevato e crescente il rischio che poi sfuggano a ogni controllo e si trasformino in furiosi incendi.
Considerando, da questo punto di vista, i quattro attuali maggiori attori sullo scenario della difesa e della sicurezza (Stati Uniti, Russia, Cina e Unione europea), è ipotizzabile che alla fine di questa emergenza si arrivi a questo risultato: Stati Uniti e Unione europea (o, meglio, i suoi maggiori Paesi, gli unici effettivamente impegnati in questo campo) indeboliti economicamente e sul fronte politico interno, con un attenuato livello di coesione e con possibili spinte a diminuire le risorse destinate a difesa e sicurezza; Russia (probabilmente) e Cina meno indeboliti dalla crisi e, grazie ai loro regimi autoritari e verticistici, più in grado di controllare il fronte interno.
Purtroppo, questa esperienza sta rafforzando, perlomeno in questa fase, una spinta diffusa verso modelli politici e istituzionali autoritari (oltre ai tradizionali Paesi del Medio Oriente, Turchia, Brasile, India con qualche emulo persino nell’Ue). Nel nuovo quadro geo-strategico questi nuovi attori potrebbero rappresentare un potenziale pericolo, perché poco o per niente condizionati dalle loro opinioni pubbliche e, quindi, in grado di muoversi più liberamente sullo scacchiere mondiale.
La coesione dell’Unione europea, già messa a dura prova dalle ondate migratorie e dalle divergenze finanziarie, ha ricevuto in questi due ultimi mesi un durissimo colpo. Il “sovranismo” politico e ideologico, che si è manifestato sul tema dell’immigrazione, poi si è allargato ai temi economici e ai rapporti commerciali internazionali, adesso si è scatenato sul fronte sanitario. Ognuno per sé sembra lo slogan più adatto a definire le risposte degli Stati membri al Covid-19: nessuna scelta coordinata, chiusura delle frontiere interne, persino qualche episodio di blocco delle forniture sanitarie (non solo di produzione nazionale, ma persino in transito). La limitata integrazione all’interno dell’Ue sta così evidenziando tutti i suoi limiti. Di qui anche una nuova preoccupazione: se davanti a questa emergenza sanitaria gli Stati membri si sono richiusi su se stessi (a volte in modo scandaloso), non andrebbe considerato un campanello di allarme anche per altre potenziali emergenze, comprese quelle per la sicurezza europea?
Mai come in questo momento della storia dell’Unione europea la risposta dovrebbe essere quella di andare ancora più avanti sulla strada dell’integrazione con chi ci sta, rinunciando ad aspettare chi non ci sta. E nulla vieta che, pur restando all’interno del perimetro dell’Ue, alcuni Paesi più omogenei per storia e condizioni possano puntare a un legame più stretto di tipo federativo, che possa eventualmente fungere poi da nucleo di aggregazione per quella “ever closer Union” sognata dai nostri predecessori. Se l’attuale strumentazione istituzionale e politica europea non è adeguata al fine di rafforzare le capacità di difesa e sicurezza, perché indebolita dalla disomogeneità dei partecipanti, bisognerà modificarla perché, come diceva Deng Xiaoponig per giustificare la trasformazione privatistica della Cina: “Non importa se il gatto è nero o bianco; finché catturerà i topi, sarà un buon gatto“. Sarebbe, quindi, ora che i Paesi europei trovassero un buon gatto per garantire la loro sicurezza.
Le scelte del nostro Paese
L’Italia dovrebbe farsi portavoce di queste scelte necessarie. Essendo il più piccolo dei grandi Paesi europei, dovremmo essere più consapevoli della necessità di avere più Europa sul terreno della difesa e della sicurezza, anche nella sua nuova e più allargata accezione. Ma questo comporta che dobbiamo fare la nostra parte e assumerci le nostre responsabilità sia per partecipare a questo nuovo sforzo, sia per tutelarci meglio di fronte ad un incerto futuro.
Da alcuni anni è ormai evidente che l’Europa non può fare affidamento solo sull’ombrello americano. Così l’Italia non può fare affidamento solo sull’ombrello europeo.
Dovremo, quindi, sviluppare adeguate capacità nazionali per assicurare la sicurezza e la difesa del nostro Paese e dei suoi cittadini nei confronti di molteplici minacce. Serve una protezione multisettoriale, evitando di tutelare meglio la sanità, ma dimenticandosi al contempo di calamità naturali, incidenti industriali, disastri ecologici, attacchi terroristici o militari, guerre commerciali o finanziarie.
Insieme dovremo essere capaci di farlo rafforzando la collaborazione con tutti i Paesi con cui possiamo condividere i nostri valori, fra cui in primo luogo la sicurezza.