Covid-19 e comunità internazionale: parla Pier Carlo Padoan
Questa è una crisi unica perché globale, anche se non è questo che la rende unica. Ciò che la rende unica è il fatto che è una doppia crisi, una crisi sanitaria in cui dobbiamo combattere un nemico di cui non ci aspettavamo la violenza e non conoscevamo l’esistenza. Quindi, gli strumenti strettamente sanitari sono deboli visto che lo strumento più efficace è il lockdown. Questo s’interseca con la crisi economica. Il paradosso e il dramma di questa situazione è che siamo giunti alla conclusione che per sconfiggere il virus bisogna indebolire l’economia in modo molto significativo, almeno all’inizio. La grande sfida è indebolire l’economia fino a un certo punto, sconfiggere il virus e rimettere subito l’economia in piedi. Su questo purtroppo le idee su cosa fare sono spesso divergenti, il che comporta che ci saranno tempi d’uscita più lunghi rispetto ad altre crisi.
L’INSEGNAMENTO DALLA CRISI
Diciamo che le risposte riflettono le nature istituzionali dei Paesi nel gestire la politica sanitaria, ma anche quella economica. Negli Stati Uniti inizialmente c’è stato quasi uno sdegnoso rifiuto nel riconoscere l’importanza della crisi. Purtroppo per loro, ma anche per noi, successivamente i numeri gli hanno dato torto in termini di vittime e in termini di disoccupazione. In Europa si è assistito per un po’ all’atteggiamento del “ognuno vada per conto proprio e non si preoccupi dopo di quello che fa il vicino”: un errore fondamentale perché durante una crisi pandemica il vicino è per definizione quello che ti fa male e combattere il nemico del tuo vicino è esattamente quello che ti serve per combattere il tuo nemico. Non mi piace particolarmente qualunque soluzione, essendo tutte soluzioni incomplete dato che la crisi è nuova. Mi auguro che tutti ne trarremo insegnamento: il valore della cooperazione, della ricerca scientifica, della solidarietà. Queste cose dovranno essere molto più importanti nella ricostruzione.
LA REAZIONE EUROPEA
Come in ogni crisi c’è un’occasione di sfruttamento in positivo. Nelle sue istituzioni ufficiali, nella Commissione, l’Europa con la presidente von Der Leyen e molti commissari ha messo sul tavolo proposte che qualche tempo fa sarebbero state inimmaginabili, tanto per usare una parola chiave: i “bond europei”, che qualcuno chiama “coronabond” e altri “eurobond”. Il punto è che si è capito che l’Europa deve rispondere condividendo le scelte e le sfide e mutualizzando i rischi in modi diversi. Questo non piace a tutti ma credo che sia inevitabile, altrimenti mi preoccupa che, se l’Europa non darà dimostrazione di essere coesa e sceglierà un’altra strada, la sua forza potrebbe essere minata alle fondamenta. Non dimentichiamoci che prima della crisi del coronavirus la parola d’ordine in Europa era “crescita verde e sostenibile“. Questa parola d’ordine va rafforzata con la sanità e con il welfare- che deve essere rivisto e va implementato il più rapidamente possibile. L’Europa è un problema ma è anche la soluzione ai problemi.
LA SFIDA DELL’ITALIA
Innanzitutto, grazie anche all’Europa abbiamo nell’immediato due sostegni importantissimi che sono l’acquisto praticamente illimitato da parte della Bce dei nostri titoli pubblici e la sospensione delle regole fiscali. Nell’immediato ci dà la possibilità di rispondere alla gravissima emergenza della crisi senza preoccuparci per il momento del nostro debito, che inevitabilmente crescerà. Questo non potrà durare in eterno – sarebbe pericoloso pensarlo – anche se vedo nel dibattito italiano molte tentazioni in questo senso. Bisognerà affrontare – spero con rinnovato vigore – il problema fondamentale dell’Italia degli ultimi venti anni: la sua scarsa crescita, che è una questione non tanto di spesa pubblica quanto di efficienza, sostegno al settore privato e di regole farraginose. Anche nella gestione della crisi vediamo quanto l’Italia faccia fatica a fare arrivare i soldi alla gente. Bisogna avere un progetto di Paese che deve imparare da questa terribile crisi ma che potrebbe anche essere un’opportunità perché potremmo ripensare le nostre regole, le nostre istituzioni, anche locali, in funzione di questa nuova opportunità. Questa sarà la sfida dell’Italia una volta uscita dal disastro dell’emergenza.
DIBATTITO SURREALE SUL MES
Il dibattito sul Mes è surreale e l’Italia è l’unico Paese dove un dibattito del genere avviene, compresi paesi che lo hanno utilizzato e ne hanno tratto, malgrado tutto, importanti benefici. Un dibattito surreale che mi preoccupa perché sta diventando ideologico. Infatti, chi dice “no” al Mes in realtà dice “no” a molte altre cose: al meccanismo contro la disoccupazione, a un bilancio europeo finanziato da trasferimenti e da transazioni tra Stati, che sarebbe secondo me la via maestra perché permetterebbe di finanziare beni pubblici europei. Chi non vuole il Mes e queste cose dice “tanto la Bce comprerà il nostro debito senza limiti”: questo non è vero né possibile. Ci saranno prima o poi dei limiti e quindi ci sarà una domanda più importante che gli italiani si dovranno porre: “vogliamo restare nell’Europa? Vogliamo restare nell’Euro?“. Devo essere brutale riguardo questo, ma ho la sensazione che questa terrificante idea stia tornando a galla.
Questo testo è la trascrizione dell’audio della quinta puntata del nuovo ciclo dei podcast IAI dedicati a Covid-19 e comunità internazionale. Ascolta qui la #1, la #2, la #3 e la #4 puntata