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Covid-19 e comunità internazionale: parla Nelli Feroci

2 Apr 2020 - Ferdinando Nelli Feroci - Ferdinando Nelli Feroci

È un’emergenza di natura e portata epocale, come è stato detto da molti commentatori. I due esempi che vengono citati più spesso per fare un confronto sono, appunto, l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 e la crisi economica finanziaria che cominciò nel 2008/2009, poi sviluppatasi in varie tappe fino al 2012. Quello che sta succedendo ora è molto più grave, molto più serio, molto più drammatico. Avrà un impatto più profondo per il semplice motivo che è un evento epocale che colpisce tutto il mondo: anche se con intensità diverse, non c’è Paese che sia risparmiato da questa pandemia. È quello che nel gergo degli economisti si chiama uno shock simmetrico, che presenta dimensioni di profondità difficilmente comparabili se non facendo un confronto con le guerre mondiali. Per noi l’ultimo dato di confronto è forse la Seconda Guerra Mondiale. Da qui la difficoltà prima di tutto di trovare delle misure coordinate per contenere il contagio, per sviluppare terapie che consentano di far fronte all’emergenza e, un po’ più in prospettiva, per trovare dei vaccini efficaci. Si procede a tentoni, per approssimazioni successive, però vedo che si va convergendo verso un certo modello, che poi tutto compreso è quello cinese di contenimento del contagio. Con risultati che ancora dobbiamo verificare: è ancora molto difficile fare previsioni.

 

 

IMPATTO DEL VIRUS SULLE ECONOMIE
L’impatto inevitabile che questa crisi pandemica avrà sulle economie: in Italia, in Europa, nel mondo. È un dato oggi difficile da stimare, anche se cominciano a girare le prime previsioni dell’impatto del coronavirus sui prodotti lordi nazionali nei vari Paesi colpiti. Dipenderà molto dalla durata dell’epidemia, da quando si potrà progressivamente ricominciare a mettere in moto le attività produttive. Non c’è dubbio che tutto questo sottoporrà a uno stress del tutto nuovo, imprevisto e imprevedibile non solo i sistemi produttivi nazionali ma anche le catene del valore e il sistema degli scambi internazionali. Poi, last but not least, il sistema delle finanze pubbliche: lo stiamo vedendo già oggi quanto di fronte a una crisi di questo tipo sarà necessario che lo Stato con i bilanci pubblici intervenga massicciamente per evitare che l’impatto della crisi produca danni troppo prolungati nel tempo.

MODALITÀ E STRUMENTI CONTRO LA PANDEMIA
Pur rimanendo confinati nell’area delle strategie da adottare per contenere il contagio, abbiamo visto reazioni molto differenziate quanto alla tempistica. Ci sono stati Paesi, anche molto significativi come Stati Uniti e Regno Unito, che hanno negato l’emergenza per motivi vari – non sto qui a elaborare su quali siano le ragioni di questo atteggiamento – salvo poi dovere innescare rapidamente la retromarcia, rendendosi conto che l’emergenza c’era e che andava contrastata. Ci sono Paesi, soprattutto nel Nord Europa con la Svezia come caso clamoroso ma anche altri Paesi scandinavi, dove questa emergenza pandemica viene affrontata in maniera completamente diversa: non sono state attuate misure di contenimento basate sul social distancing, non sono state adottate misure di chiusura totale… probabilmente perché l’impatto dell’epidemia lì è ancora relativamente ridotto. Non c’è dubbio che ci sia stata una differenziazione soprattutto nelle prime fasi. Oggi la mia sensazione è che si vada a convergere sul modello del total lockdown, che è quello su cui la Cina ha fatto scuola a Wuhan prima e in Hubei dopo. Mi sembra – non sono un epidemiologo e non voglio assolutamente dare giudizi su questo – che sia questo il modello che, sia pure con qualche variante tra Paese e Paese, si sta adottando. Ci sono ancora delle clamorose eccezioni, penso al Brasile di Bolsonaro, dove prevalgono linee negazioniste. Questo per quanto riguarda le modalità e gli strumenti per affrontare la pandemia.

NECESSITÀ DI MISURE COORDINATE
Poi c’è un discorso più complesso e difficile, ancora in fase embrionale, che è quello delle strategie di politiche economiche da dispiegare nei singoli Paesi, a livello dei grandi aggregati regionali – per noi l’Unione europea – ma anche a livello globale per ridurre l’impatto negativo di questa emergenza ed evitare che il danno sui tessuti sociali rispettivi sia troppo profondo, in alcuni casi irreversibile. Terzo punto è la ricostruzione delle basi per la ripresa dell’economia e della produzione degli scambi. Siamo ancora all’inizio di questa fase di concertazione, di misure. Piuttosto, siamo in una fase in cui prevale una sommatoria di misure nazionali, che sono più o meno ispirate dalla stessa preoccupazione, cioè intervenire con fondi pubblici per provvedere con misure di sostegno ai redditi, soprattutto delle fasce più bisognose della popolazione, per permettere a queste persone di garantirsi i bisogni essenziali, per dare liquidità alle imprese attraverso il sistema delle banche ed evitare che chiusure temporanee diventino definitive. L’ideale sarebbe che questa sommatoria di misure nazionali assuma una sua coerenza attraverso misure di cooperazione internazionale. Il dibattito è molto vivace, molto accesso in Europa, ma si dovrà riproporre inevitabilmente e mi auguro più prima che poi nell’ambito del G20. Il G20 per ora è stato molto silente: si è riunito solo una volta e non ha prodotto niente di significativo. Nel 2008/2009 fu foro di consultazione dove furono adottate misure significative per far fronte ai primi segni di quella crisi finanziaria. Penso che rapidamente anche il G20 dovrà definire un set di misure coordinate per contenere gli effetti negativi della pandemia.

VINCITORI E VINTI SUL PIANO INTERNAZIONALE
Sul piano del quadro internazionale è molto possibile e verosimile che ne emergano vincitori e vinti. Tanto per essere chiari oggi c’è un Paese in particolare che sembra stia uscendo in modo brillante dalla crisi pandemica, nonostante sia quello dove la pandemia si è sviluppata per prima. Ovviamente, sto pensando alla Cina. C’è uno Stato che chiaramente è in affanno rispetto alle misure di contenimento della pandemia e sono gli Usa, per tanti motivi: hanno riconosciuto in ritardo l’esistenza del problema; non hanno un servizio sanitario nazionale da mobilitare in una emergenza di questo tipo. Quindi, è possibile che tutto quello che sta succedendo ora provochi qualche assestamento nel quadro delle relazioni internazionali.

RISCHI DI UN’INVOLUZIONE AUTORITARIA
Non me la sento ancora di fare previsioni, ma vedo in prospettiva altri trend che mi preoccupano, forse anche di più, e che hanno a che vedere con la nostra vita quotidiana: in primis, i rischi di un’involuzione autoritaria. Senza tenere troppo in mente il fenomeno Orbán, che voglio sperare resti confinato a una eccezione ungherese e che si spera riusciremo a ricondurre nell’alveo di un corretto funzionamento di istituzioni democratiche, in generale, proprio per la natura di questo sfida che il coronavirus porta alle nostre società, c’è la tendenza in atto di accentuazione dei poteri degli esecutivi. Per ora rimane all’interno di regole costituzionali e di una correttezza complessiva del sistema, ma inevitabilmente tutto quel mondo che appartiene al sistema delle garanzie democratiche rischia di essere fortemente indebolito dalla necessità di attribuire potere speciali – lo dico in senso non tecnico – agli esecutivi, che sono chiamati in prima linea a rispondere all’emergenza. Questo è un dato su cui dovremmo vigilare molto attentamente, per evitare che questa deriva si trasformi poi in una sorta di diffusione a macchia d’olio del modello Orbán, che piace forse a qualcuno in Italia ma che invece, a mio avviso, è un modello molto pericoloso.

PERICOLO “GRANDE FRATELLO”
L’altro aspetto è quello che riguarda il tema della protezione dei dati, della privacy. È probabile, forse giusto e corretto, che si debba fare ricorso a dei sistemi di tracciamento attraverso delle app sofisticate che, come in Corea del Sud hanno funzionato brillantemente, consentono a una autorità centrale di mantenere sotto controllo i movimenti dei cittadini con l’obiettivo di evitare che il contagio si diffonda. Questa è una misura che probabilmente è inevitabile in una situazione di emergenza, ma che dovremmo cercare di confinare entro un ambito temporale limitato. Dargli una scadenza. L’idea di istituire sull’onda lunga delle misure adottate per contenere il coronavirus una sorta di “Grande fratello” su scala nazionale, o addirittura internazionale, che consenta di tracciare i nostri movimenti di privati cittadini mi inquieta profondamente. Vedo quello che tutti dicono che nulla sarà come prima e lo voglio coniugare in queste tre direzioni: un riassetto del quadro delle relazioni internazionali, che mi sembra inevitabile, e due rischi, uno sul funzionamento delle democrazie e uno sulla protezione dei dati personali, che mi sembrano molto concreti e realistici.

Questo testo è la trascrizione dell’audio della seconda puntata del nuovo ciclo dei podcast IAI dedicati a Covid-19 e comunità internazionale. Ascolta qui la #1 puntata.