Vanuatu: si rinnova il Parlamento senza donne
Il 19 marzo si terranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento di Vanuatu. Situata nell’Oceano Pacifico meridionale, la Repubblica di Vanuatu, è un arcipelago composto da 83 isolotti, di cui solo 65 abitati da un totale di 270 mila abitanti. Dall’indipendenza del 1980 da Francia e Regno Unito, il sistema partitico, per motivi linguistici, è stato di fatto bipolare con il Vanua’aku Paty (Vp), anglofilo, e la Union of Moderate Parties (Ump), francofilo. Tuttavia, questa struttura è durata solo per un decennio. In seguito, il sistema partitico si è frammentato in gruppi caratterizzati in modo più leaderistico che ideologico, e governi di coalizione si sono alternati in maniera instabile. Charlot Salwai, l’attuale primo ministro di Vanuatu, è il leader del Vanua’aku Paty, partito di area socialdemocratica che alle elezioni del 2016 aveva totalizzato l’11,91% dei voti e 6 seggi sui 52 disponibili in Parlamento. Il sistema elettorale è maggioritario: permette l’espressione di un solo voto all’interno di un collegio plurinominale. I candidati che ottengono più voti vengono eletti, quindi il sistema è molto legato alle persone.
In vista di queste elezioni i partiti più forti sono gli stessi di quattro anni fa: il già citato Vanua’aku Pati, Land and Justice (partito conservatore) e l’Ump (di area liberale). Il premier Charlot Salwai, in cerca della riconferma, ha formato una nuova coalizione dopo che la metà del governo precedente era stato incarcerato per corruzione: un problema (insieme al clientelismo) che attanaglia da sempre la politica di Vanuatu.
Il governo di Salwai è riuscito a durare per un intero mandato, il primo che regge dopo un decennio di coalizioni instabili. Allo stesso tempo, però, il premier è accusato di falsa testimonianza, insieme a diversi altri imputati di alto profilo. L’inchiesta è iniziata a causa della decisione del governo di introdurre nuovi segretari parlamentari: posizioni retribuite che la Corte Suprema ha giudicato “nulle e senza effetto”. L’opposizione ha chiesto un’indagine su questa vicenda, bollata dal governo come uno “stratagemma politico”. I temi centrali del voto, oltre alla corruzione, saranno salario minimo e nuove opere pubbliche. Resta comunque probabile che il partito di Salwai sarà nuovamente il perno della nuova coalizione.
La campagna per avere (più) donne in politica
Nelle ultime due elezioni nel Parlamento di Vanuatu non è stata eletta neanche una donna. Nei quarant’anni trascorsi dall’indipendenza di quelle che erano in precedenza note come le Nuove Ebridi solo cinque donne sono state elette nelle varie legislature alternatesi. Una discriminazione di genere già ben nota, come riportato da vari dossier delle Nazioni Unite.
A livello locale qualcosa è stato ottenuto attraverso misure temporanee speciali e con le quote di genere a livello municipale. Nella capitale Port Vila sono stati riservati alle donne cinque seggi. Questo è il risultato degli sforzi della coalizione Women in Shared Decision-Making. A livello nazionale è nata per queste elezioni la campagna “Vot Woman”. Le promotrici hanno presentato una petizione ai parlamentari chiedendo loro di garantire il 50% dei seggi alle donne. Tuttavia all’interno della scena politica la campagna ha suscitato reazioni contrastanti dovute a presunte interferenze esterne. Il ministro degli Interni Andrew Napuat ha infatti accusato la ong britannica Oxfam di essere dietro l’operazione e che per inserire tali misure speciali sarebbe prima necessario un processo nazionale più ampio e consultivo.
Si percepisce la tensione tra la politica internazionale e quella nazionale. Vanuatu nel 1995 ha infatti ratificato la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione delle donne (Cedaw), uno strumento che legittima gli attivisti locali nella difesa dei diritti delle donne. Sul piano interno, però, le norme culturali e religiose utilizzate per escludere le donne dalla sfera pubblica sono ancora dominanti. Gli sforzi tesi a invertire questa direzione vengono percepiti da molti come espressione di un’intromissione straniera, anche per i finanziamenti che provengono dall’estero. Gli obiettivi di “Vot Woman”, come osservato dal ministro degli Esteri Ralph Regenvanu, richiederebbero il sostegno di due terzi del Parlamento e un referendum confermativo. La campagna ha già comunque avviato un dibattito pubblico sulla rappresentanza parlamentare femminile.
Una tela geopolitica molto tesa
Anche sotto il punto di vista geopolitico questo voto è importante e interessa vari attori esterni. Stati Uniti, Australia, Giappone e Nuova Zelanda sono interessati a mantenere la propria sfera di influenza e Vanuatu è al centro di essa. Un’influenza messa in discussione dalla Cina che sta cercando da ormai qualche tempo di estendere il proprio raggio di azione a questa zona del Pacifico, attraverso la richiesta di costruire infrastrutture militari nell’arcipelago. Questo ha fatto particolarmente preoccupare Canberra. l governo di Vanuatu ha respinto le critiche australiane, affermando che l’arcipelago non vuole alcuna infrastruttura militare al proprio interno.
In tale ottica, anche Tokyo è intervenuta di recente per limitare l’influenza di Pechino nell’area. Il Giappone dal 2011 al 2017 ha stanziato 1,1 miliardi di dollari in progetti infrastrutturali e di aiuto verso le isole, al terzo posto dopo l’Australia con 7,5 miliardi e la Nuova Zelanda con 1,5 miliardi. La Cina in questo lasso di tempo è stata la quarta potenza a investire nell’economia di Vanuatu con 1,2 miliardi, arrivando ad aumentare nel 2017 il proprio impegno nel Pacifico a 4,7 miliardi e allarmando Canberra e Washington. Vanuatu è un grande beneficiario di aiuti esteri e il contributo della Cina supera quelli dell’Australia e del Giappone messi insieme. Anche gli investimenti privati cinesi all’interno del Paese sono fortemente aumentati.
La tensione è molto presente anche sui media dopo un evento dello scorso anno. Sei dipendenti di una compagnia cinese, firmataria di vari contratti governativi di Vanuatu, sono stati infatti arrestati sull’isola. Senza passare dai tribunali locali, questi sei cittadini cinesi sono stati scortati in Cina. Questo ha scatenato forti critiche interne, con i media nazionali e australiani che hanno criticato la gestione del governo e la segretezza che circonda la vicenda, sostenendo che Pechino avrebbe convinto Vanuatu a far rispettare la legge cinese dentro i propri confini. A questo evento si aggiunge un altro caso: a novembre scorso, infatti, a Dan McGarry, cittadino canadese e direttore dei media per il Daily Post, è stato negato il rinnovo del visto di lavoro. McGarry non è potuto tornare a Vanuatu e ha affermato che il governo stava cercando di mettere a tacere le critiche del suo giornale sull’influenza cinese. La Corte Suprema di Vanuatu ha successivamente dichiarato che il divieto di ingresso era illegale.
Le relazioni tra Australia e Vanuatu sono tese anche per una seconda ragione: il cambiamento climatico. Fra i primi impegni del nuovo governo sarà il Forum delle Isole del Pacifico ospitato da Vanuatu ad agosto. Il meeting dello scorso anno ha mostrato le tensioni con Canberra. Alla base vi sono difformità di vedute sul climate change e anche il rifiuto da parte del premier australiano Scott Morrison di porre dei limiti alla produzione di carbone. Vanuatu vuole impegni concreti nel prossimo meeting. La grande attenzione alla tematica è dovuta all’aumento della frequenza e dell’intensità dei cicloni tropicali: l’ultimo ha causato danni per oltre il 64% del Pil.
Il prossimo governo di Vanuatu potrebbe quindi trovarsi al centro di una nuova attenzione diplomatico-militare internazionale, dove le scelte dei governanti saranno cruciali per gli equilibri geopolitici dell’area.
A cura di Damiano Mascioni, autore de Lo Spiegone.
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