Usa2020: dibattito Biden vs Sanders, ma il risultato è inevitabile
L’ex vicepresidente Joe Biden e il senatore Bernie Sanders sono arrivati a quest’undicesimo, e probabilmente ultimo, grande dibattito televisivo delle primarie democratiche in una situazione ben diversa da quella nella quale si erano incontrati nel precedente, tre settimane fa in South Carolina, quando era Sanders l’uomo da battere.
Ormai a metà strada, dopo venticinque tornate elettorali, Biden ha superato Sanders nella conta dei delegati 894 a 743, mentre in termini di voto popolare l’ex vicepresidente ha vinto circa il 38% rispetto al 30 riscosso dal senatore del Vermont. In queste circostanze, con l’esclusione di una straordinaria dimostrazione di incompetenza da parte di Biden, l’undicesimo dibattito avrebbe potuto ben poco per cambiare un risultato che sembra inevitabile.
Eppure, l’evento era atteso con grande interesse per almeno due ordini di ragioni. Da una parte, rappresentava l’ultima grande opportunità per Sanders di forzare l’inserimento delle sue politiche nella piattaforma del partito, come ha già fatto nel 2016. È proprio grazie a Sanders che idee come l’assistenza sanitaria universale e l’accesso gratuito all’istruzione universitaria sono ora proprie di una parte importante dell’universo democratico, sebbene non siano state abbracciate da Biden. Per quanto riguarda quest’ultimo, il dibattito gli offriva l’opportunità di conquistare quegli elettori più giovani e progressisti che finora hanno sostenuto Sanders, oltre che di smentire le preoccupazioni sulle sue reali condizioni fisiche.
Gli obiettivi di Sanders e Biden
Nell’imminenza del voto in Arizona, Florida, Georgia e Illinois, tutti stati dai quali Sanders uscì sconfitto quattro anni fa, e in un momento nel quale l’ultimo rimanente interrogativo della presente stagione elettorale sembra solo il momento esatto in cui questi annuncerà la sospensione della sua campagna elettorale, l’obiettivo di Sanders è apparso chiaro fin dalle prime battute. Con poche o nessuna possibilità di diventare il prossimo presidente degli Stati Uniti, Sanders ha cercato di ispirare quanto più possibile la sua base in modo che questa continui a rimanere vigile e politicamente attiva dando ancora una volta battaglia. E questo nella consapevolezza che Biden lo ha finora battuto facendo appello agli elettori più anziani e moderati, ma che quest’ultimo potrà sconfiggere il presidente Donald Trump solo se arriverà alle elezioni generali di novembre energeticamente sostenuto dall’intero elettorato democratico.
Da parte sua, Biden, ha affrontato il dibattito con l’obiettivo di riunificare il partito attraverso l’enunciazione di una serie di non facili compromessi. Cosa questa che si è rivelata ancora più difficile del previsto, perché è oggettivamente arduo stabilire quanto l’ex vicepresidente possa ancora concedere ai progressisti senza sacrificare gli interessi degli elettori moderati e dell’establishment democratico. Durante il dibattito, Biden doveva poi trovare un altro delicato equilibrio perché una prestazione eccessivamente aggressiva ne avrebbe sconfessato un’immagine da sempre improntata a gentilezza e comprensione, mentre solo una performance ricca di momenti di passione gli avrebbe permesso di dimostrare di avere la grinta necessaria per affrontare efficacemente Trump.
Unità democratica ancora lontana
Biden di tutto aveva quindi bisogno tranne che lo scontro si personalizzasse, come invece è puntualmente avvenuto nella seconda metà del dibattito, quando Sanders è riuscito a più riprese a metterlo in difficoltà, ricordandone politiche e decisioni tutte vecchie e tutte al giorno d’oggi molto impopolari. Poco importa se Biden è riuscito a ricambiare il favore evidenziando i punti deboli del suo avversario, perché era nel suo interesse di minimizzare le differenze con Sanders e non d’esacerbarle.
Ne consegue che quest’undicesimo dibattito non ha certamente danneggiato un Biden che ha ormai saldamente in mano la nomina del suo partito ma, nonostante i suoi ripetuti tentativi, non ha neppure marcato l’inizio di quella forte convergenza tra moderati e progressisti così importante per evitare che il risultato elettorale del 2016 si ripeta nel 2020. Molto, sotto questo punto di vista, dipenderà dalla scelta del candidato alla vicepresidenza che, a questo punto, potrebbe pure essere la senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren, dopo Sanders l’altra personalità di spicco della sinistra del partito.