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Stiftung Wissenschaft und Politik (Swp)

Impatto a breve e lungo termine dell’escalation a Idlib

1 Mar 2020 - Salim Çevik - Salim Çevik

Nella sezione dedicata ai Think Tank di AffarInternazionali ripubblichiamo, in esclusiva per l’Italia, editoriali o estratti delle ricerche degli istituti di ricerca nostri partner in tutto il mondo. Mentre monta l’escalation a Idlib tra le forze turche e quelle siriane, ecco un editoriale della Stiftung Wissenschaft und Politik (Swp) di Berlino sulle due dimensioni del conflitto: il coinvolgimento turco in Siria e il più ampio riavvicinamento tra Ankara e Mosca, nonostante i distinguo su Damasco. Qui la versione originale.
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Con l’avvicinarsi della fine della guerra civile in Siria, è sempre più difficile rimandare la risoluzione delle questioni più decisive. Ogni attore ha priorità diverse, che non sono facili da conciliare. Il regime siriano vuole riguadagnare il pieno controllo sul suo territorio, mentre Russia e Iran intendono contrastare gli elementi jihadisti. La Turchia è stata costretta a rinunciare al suo obiettivo di operare un regime change a Damasco ed è ora sulla difensiva, limitando le sue priorità al blocco di qualsiasi struttura di governance autonoma curda e alla prevenzione di movimenti di rifugiati su larga scala verso l’interno.

Mentre il desiderio di Ankara di impedire l’autonomia politica curda si può conciliare in maniera plausibile con la volontà siriana e russa di preservare l’integrità territoriale della Siria, lo stesso non si può dire per la questione dei rifugiati. L’avanzata dell’esercito di Damasco verso nord crea inevitabilmente un flusso di migranti diretti verso la Turchia, accentuato dalla brutalità e dalla vendetta delle forze del regime siriano contro l’opposizione.

L’uso da parte della Turchia di fazioni jihadiste come proxy durante tutto il conflitto siriano ha complicato ulteriormente il quadro. Come hanno sperimentato in passato gli Stati Uniti e il Pakistan, l’impiego di gruppi jihadisti come proxy militari può avere effetti dirompenti sul lungo termine.

In Siria, i gruppi jihadisti si sono concentrati nella provincia di Idlib, perdendo successivamente il controllo di altre zone del Paese. Sebbene si siano dimostrati incapaci di rovesciare il regime, la Turchia ha scelto di non interrompere il suo sostegno. Ankara non intende abbandonare questi gruppi perché sono stati utili in altri conflitti, in particolare contro lo Ypg curdo e, più recentemente, in Libia. Ma, cosa ancora più significativa, la Turchia non ritira facilmente il proprio sostegno per il timore che le milizie jihadiste si sentano tradite e si rivoltino contro Ankara.

Colta tra l’incudine e il martello, la Turchia cerca di diffondere e rimandare il più possibile la crisi. Idlib è una bomba a orologeria già da diversi mesi. Numerosi tentativi turchi di risolvere la crisi – come l’accordo di Sochi firmato da Turchia e Russia il 17 settembre 2018 – hanno solo rimandato l’inevitabile. Ora che il regime siriano ha ripreso il controllo della maggior parte del Paese, Idlib è l’unica enclave rimasta all’opposizione e non è più possibile rinviare il conflitto.

L’inasprimento del conflitto
Anche se non esiste una soluzione facile all’attuale escalation è comunque possibile contenere la crisi. In questa fase entrambe le parti sembrano esercitare una pressione militare crescente. Le forze del regime hanno fatto progressi e hanno circondato gli avamposti militari turchi a Idlib e dintorni. La Turchia ha risposto con il dispiegamento di forze aggiuntive. Questo braccio di ferro può essere visto come un rafforzamento delle posizioni di ciascuna delle due parti così da ottenere un accordo migliore.

In un possibile compromesso, la Turchia accetterebbe l’avanzata del regime, ma cercherebbe di preservare una zona cuscinetto ridotta più a nord, sia per contenere il flusso di rifugiati, sia per posticipare il momento del confronto con i propri proxy islamisti. Questa soluzione riceverebbe anche il sostegno dei Paesi europei che, al pari di Ankara, considerano la prevenzione di nuovi movimenti di rifugiati come una priorità assoluta.

Ancora una volta, qualsiasi soluzione sarebbe temporanea e la Turchia continuerebbe ad affrontare le conseguenze della sua politica siriana nel prossimo futuro. Qualunque sia il compromesso raggiunto, le tensioni devono essere allentate rapidamente, poiché l’attuale escalation può facilmente sfuggire di mano. Ciò potrebbe avvenire semplicemente per un errore umano tra le forze militari, o più probabilmente a causa del desiderio dei gruppi jihadisti di trascinare ulteriormente la Turchia nel conflitto.

Limitazioni della cooperazione russo-turca
In una prospettiva più ampia, la recente escalation di Idlib evidenzia i limiti della cooperazione turco-russa. Infatti, l’avvicinamento di Ankara a Mosca è stato dettato più da considerazioni interne che da realtà geopolitiche. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che cerca di consolidare il suo potere in patria, ha trovato nell’anti-occidentalismo un utile strumento per mobilitare il sostegno popolare ai suoi ambiziosi progetti politici.

Pur essendo su fronti opposti in Siria e poi in Libia, così come in altre regioni come i Balcani e il Mar Nero, i due Paesi – e più significativamente i due leader – riescono a portare avanti la loro collaborazione. L’acquisto da parte della Turchia del sistema di difesa aerea russo S-400 ha esteso la cooperazione al settore militare. I due Paesi hanno anche approfondito i loro legami nel settore dell’energia: Mosca è il principale fornitore di energia della Turchia, mentre il gasdotto TurkStream permette alla Russia di bypassare l’Ucraina nella rifornitura dei mercati europei.

Tuttavia, come è diventato chiaro, nonostante le apparenze di una maggiore cooperazione, le rivalità strategiche continuano ad essere profonde.

Ciò non significa che il rapporto sia sull’orlo del collasso. Erdoğan e Putin sono entrambi impegnati in prima persona per una riconciliazione. Tuttavia, la rivelazione di profondi conflitti strategici avrà un impatto a lungo termine. Soprattutto per i Paesi occidentali, la recente escalation dovrebbe ricordare loro ancora una volta che la Turchia ha poco da guadagnare dalla sua deriva verso la Russia. Contrariamente al quadro cupo presentato nella maggior parte delle capitali occidentali, le possibilità di un’alleanza a lungo termine turco-russa sono ancora piuttosto limitate. Quindi, anche se sotto pressione, la Turchia potrebbe essere ora più aperta all’influenza dell’Occidente.

Le recenti dichiarazioni di sostegno di Washington possono essere considerate un segno che gli Stati Uniti sono già consapevoli di questa possibilità. E il sostegno finanziario tedesco ai progetti edilizi turchi nelle “zone sicure” della Siria settentrionale ne è un altro esempio. Le aspettative devono però rimanere realistiche. La politica estera pro-russa della Turchia non farà marcia indietro da un giorno all’altro, poiché Erdoğan e Putin troveranno una sorta di compromesso in mezzo alle crescenti pressioni. Ma la consapevolezza generale che il riavvicinamento turco-russo rimarrà limitato aumenterà il margine di manovra per i Paesi occidentali e per le fazioni filo-occidentali all’interno della Turchia.

© Stiftung Wissenschaft und Politik / German Institute for International and Security Affairs

Traduzione a cura della redazioneTesto originalmente pubblicato nella collana “Point of View” dell’Swp, l’Istituto tedesco di affari internazionali, consulente del governo di Berlino e del Bundestag sui temi di politica estera e di sicurezza.