IAI
Il nodo del bilanciamento

Misure di contrasto al coronavirus e rispetto dei diritti umani

29 Mar 2020 - Emanuele Sommario - Emanuele Sommario

Come noto, la diffusione del virus Covid-19 ha indotto quasi tutti gli Stati a introdurre misure restrittive dei diritti individuali, considerate indispensabili per arginare il dilagare della pandemia. Ad esempio, l’obbligo di quarantena per quanti siano entrati in contatto con individui infetti costituisce una limitazione della libertà personale. La creazione di “zone rosse” dalle quali non è concesso allontanarsi restringe la libertà di movimento. Il divieto di assembramenti limita fortemente la libertà di riunione.

L’utilizzo di software per tracciare in nostri spostamenti incide sul diritto alla privacy. Si tratta di diritti e libertà garantiti sia dalla Costituzione italiana, sia dai trattati internazionali a tutela dei diritti umani di cui l’Italia è parte.

Sono ammissibili restrizioni ai diritti individuali?
Sia il nostro testo costituzionale, sia le convenzioni sui diritti umani prevedono tuttavia la possibilità di introdurre limitazioni al pieno godimento dei diritti che codificano. Queste sono legittime quando tese a salvaguardare interessi collettivi (quali la salute o la sicurezza pubblici), o interessi essenziali dello Stato. Tali misure limitative possono avere carattere ordinario, cioè essere già previste in linea generale nelle singole disposizioni che codificano un dato diritto. Ma in alcuni casi le limitazioni possono anche assumere carattere straordinario. In situazioni emergenziali, i principali trattati sui diritti umani contemplano infatti la possibilità di introdurre misure derogatorie, ossia provvedimenti eccezionali che sarebbero altrimenti vietati dal trattato, ma che divengono leciti perché tesi a far fronte a un pericolo eccezionale che minacciala vita della nazione“.

Esistono peraltro dei parametri formali e sostanziali che vanno rispettati nell’attuare entrambe le tipologie di restrizioni. Queste devono essere, innanzitutto, previste dalla legge, in ossequio al principio di legalità che è teso a limitare l’arbitrio dell’autorità pubblica. In secondo luogo, le limitazioni devono essere proporzionate all’interesse che si intende proteggere, e lo Stato è quindi chiamato a individuare un equo bilanciamento fra la misura restrittiva e il bene collettivo meritevole di tutela.

Limitazioni ordinarie ed epidemie
Consideriamo ad esempio il diritto alla libertà personale, codificato all’articolo 5 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo (Cedu). La disposizione prevede che nessuno possa essere recluso, salvo elencare una serie di eccezioni fra le quali figura la “detenzione regolare di una persona suscettibile di propagare una malattia contagiosa“. La Corte europea dei diritti dell’uomo (organismo indipendente incaricato di vigilare sull’applicazione della Cedu) ha avuto modo di fornire un’interpretazione autentica della norma. Interpellata sulla liceità dell’ospedalizzazione coatta di un malato di Hiv che aveva adottato comportamenti “a rischio”, suscettibili di estendere il contagio ad altri individui, la Corte ha dovuto stabilire se il bilanciamento fra il diritto alla libertà personale del ricorrente e il diritto collettivo alla salute fosse stato garantito.

Nell’effettuare la propria valutazione i giudici hanno tenuto conto di fattori quali la lunghezza del periodo di detenzione, la pericolosità della malattia (sia in relazione alla facilità del contagio, che ai sintomi che la stessa può dare), e la disponibilità di altre misure meno lesive della libertà individuale utili a far fronte alla situazione. Considerati i ritmi del contagio, il numero dei decessi causati dal Covid-19, e le gravi difficoltà di molti Stati nell’arginare l’epidemia, le misure di ospedalizzazione o quarantena adottate da diversi Stati sembrerebbero in linea con i requisiti fissati dall’articolo 5 della Cedu.

L’emergenza coronavirus e la possibilità di deroga ai trattati
Qualora gli Stati reputino che la minaccia rappresentata dall’attuale epidemia metta a repentaglio i propri interessi essenziali (o la stessa esistenza della compagine statale), possono far ricorso – previo un formale atto di notifica – alla clausola di deroga prevista dai trattati (ad esempio all’articolo 15 della Cedu) e sospendere il pieno godimento di alcuni diritti per introdurre misure straordinarie. In effetti, Lettonia, Romania, Armenia, Moldova, Estonia e Georgia hanno già deciso di far ricorso alla clausola, sospendendo diritti quali la libertà di movimento, la libertà di riunione, il diritto all’istruzione (avendo dovuto procedere alla chiusura delle scuole) o il pieno godimento del diritto di proprietà (rendendosi necessaria la requisizione di strutture o beni essenziali per il trattamento dei malati). Le sospensioni hanno per ora durata limitata a quattro o otto settimane, ma nulla vieta che possano essere rinnovate e ampliate.

Resta da capire se per introdurre misure del genere ci fosse realmente bisogno di ricorrere alla deroga, considerato che numerose (e pesanti) restrizioni possono comunque essere adottate attraverso le limitazioni ordinarie. Alla base di tale scelta potrebbe esserci l’aspettativa di una maggior indulgenza della Corte europea nel valutare la congruità di misure introdotte in presenza di stati d’emergenza conclamati. Altra spiegazione plausibile è che, avendo adottato misure la cui legittimità non è stata ancora testata dalla Corte, gli Stati non sono sicuri della loro compatibilità con la Cedu, e preferiscono quindi derogare per mettersi al riparo da eventuali future censure.

I vari governi stanno quindi fin qui introducendo misure restrittive assai simili, ma si dividono fra quelli che non vogliono essere additati come Stati che derogano formalmente ai trattati, e quelli che invece fanno ricorso alla deroga, per timore che alcuni provvedimenti adottati possano altrimenti risultare in violazione dei propri obblighi internazionali. Le riprova di quale delle due strategie sia più appropriata si avrà se e quando la Corte esaminerà ricorsi riguardanti le misure restrittive adottate.

Le raccomandazioni degli organismi internazionali
Intanto esperti incaricati di vigilare sul rispetto dei diritti umani per conto delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa invitano gli Stati ad adottare misure di contrasto al virus che siano in linea con il rispetto dei diritti fondamentali. Le azioni intraprese non devono avere effetti discriminatori, ma prendere in considerazione le esigenze specifiche dei gruppi particolarmente vulnerabili, come gli anziani o i senza tetto. Le misure introdotte devono inoltre essere unicamente rivolte a debellare la malattia e non devono minare in modo permanente il rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto.

D’altro canto è necessario ricordare che, sempre in virtù della propria partecipazione a trattati sui diritti umani, gli Stati hanno il dovere di proteggere gli individui su cui esercitano giurisdizione da minacce gravi ed imminenti, soprattutto quando mettono a repentaglio il diritto alla vita. Se, dunque, non prendessero alcuna misura per prevenire il contagio, si troverebbero comunque in violazione dei propri obblighi internazionali.