IAI
Allineamento con Washington

Il futuro delle sanzioni economiche post-Brexit

24 Mar 2020 - Giuseppe Di Luccia - Giuseppe Di Luccia

Il potere di determinare in via del tutto autonoma rispetto al resto dell’Unione europea la propria politica commerciale incluse le sanzioni economiche – è stata una delle rivendicazioni ottenute da Downing Street con il “pacchetto Brexit“. Ciò non significa che dallo scorso 1° febbraio l’organo del ministero del Tesoro britannico per l’attuazione delle sanzioni finanziarie, l’Office for Financial Sanctions Implementation (Ofsi) abbia istituito un sistema sanzionatorio nuovo e diverso da quello preesistente. Fino al 1° gennaio 2021 è, infatti, in essere un periodo di transizione in cui non si prevedono riforme, in attesa che Londra e Bruxelles raggiungano un accordo anche sul dossier sanzioni.

A quanto sembra, ad oggi, l’orientamento dell’Ofsi è quello di continuare a dare attuazione alle disposizioni adottate in sede multilaterale, poiché generalmente condivise e ritenute più efficaci. A riprova di ciò, lo European Union (Withdrawal) Act 2018 dispone, tra l’altro, il mantenimento nell’ordinamento britannico di norme dell’Ue direttamente applicabili e già in vigore, comprese quelle in materia di sanzioni.

Nuova politica estera, nuove sanzioni
Se fino alla fine del 2020 da un lato il governo di Sua Maestà si coordinerà con gli omologhi del continente per dare attuazione alle misure restrittive adottate in sede europea, dall’altro ne amplierà il novero per il perseguimento di ulteriori obiettivi, quali una rafforzata protezione della sicurezza nazionale e dei diritti umani. Il Sanctions and Money Laundering Act 2018 (Samla), norma cardine per il nuovo corso, attribuisce al governo britannico il potere di emettere regolamenti sanzionatori, non solo per dare attuazione a quelli Ue (come ha già fatto in passato), ma anche qualora lo ritenga opportuno per, ad esempio, la lotta al terrorismo, ragioni di politica estera, il rispetto del diritto umanitario, la prevenzione della proliferazione di armi di distruzioni di massa.

Il senso di déjà vu percepito è dovuto al palese richiamo dell’impianto normativo statunitense in materia di sanzioni – come previsto dall’International Emergency Economic Powers Act – nel contesto di una più ampia riforma politica orientata verso l’altra sponda dell’Atlantico. I cambiamenti più evidenti, espressioni della politica estera dell’amministrazione di Boris Johnson, si manifesteranno in un atteggiamento più rigido nei confronti della Russia, dei responsabili di gravi violazioni dei diritti umani – sul modello statunitense Magnitsky – nonché in un potenziale riallineamento del Regno Unito alla politica di maximum pressure contro l’Iran, promossa da Donald Trump.

Le somiglianze con il modello statunitense emergono anche da una prima lettura delle linee guida pubblicate dall’Ofsi, che prevedono, tra l’altro, l’estensione automatica delle sanzioni alle entità possedute o controllate, direttamente o indirettamente, da uno o più soggetti designati, secondo un’automaticità tipica dell’approccio Usa (si consideri la cosiddetta “Ofac’s 50 Percent Rule“, tenendo tuttavia presente che la prassi statunitense prevede l’estensione delle misure restrittive solo in caso di possesso e non di controllo). Il sistema sanzionatorio dell’Ue, invece, prevede che le sanzioni non siano applicabili quando sia dimostrato – secondo il principio dell’approccio basato sul rischio, da valutare caso per caso – che i fondi o le risorse economiche trasferiti alle entità possedute o controllate, direttamente o indirettamente, da uno o più soggetti sanzionati non siano messi a disposizione o vadano a beneficio di questi ultimi.

Sempre sul modello americano, il Samla permetterà alle autorità competenti di emettere licenze generali per attività sottoposte a misure restrittive, in aggiunta a licenze specifiche, già emesse in linea con la normativa Ue. Infine, notiamo che il Samla conferisce alle autorità di Londra maggiore discrezionalità nell’individuazione dei soggetti colpiti da sanzioni.

Incidenza sugli operatori italiani
Rispetto al passato, aumenteranno gli oneri di compliance per chi svolge attività economica nel Regno Unito, derivanti dalla necessità di doversi conformare a discipline difformi. L’obbligo di conformità alla normativa inglese vige, infatti, in capo a tutte le persone, fisiche e giuridiche, che si trovino o che operino sul territorio del Regno Unito e a tutti gli individui ed entità di diritto inglese, dovunque esse operino. Al tempo stesso, in base al diritto dell’Unione europea, i regolamenti Ue concernenti misure restrittive contro Paesi terzi si applicano, inter alia, a qualsiasi cittadino di uno Stato membro che si trovi all’interno o all’esterno del territorio dell’Unione, nonché a qualsiasi persona giuridica, entità o organismo che si trovi all’interno o all’esterno del territorio dell’Unione e sia costituita/o conformemente alla legislazione di uno Stato membro.

Ne consegue che gli operatori italiani attivi nel Regno Unito dovranno conformarsi non solo alla disciplina dell’Ue, ma anche alle disposizioni britanniche che, ad esempio, potranno prevedere il congelamento di beni di soggetti non sottoposti a misure restrittive da Bruxelles o il rispetto di ulteriori obblighi procedurali (come la richiesta di autorizzazioni alle autorità britanniche), derivanti da differenti discipline o interpretazioni diverse delle stesse norme.

In base alle informazioni ad oggi disponibili, lo scenario più probabile per il 2021 sembra essere quello di una politica sanzionatoria britannica maggiormente allineata alla prassi statunitense e dunque, nel complesso, più aggressiva. Non è infatti da escludere che l’Ofsi, come l’Ofac statunitense, cominci ad adottare anche sanzioni a valenza extraterritoriale, ovvero applicabili in assenza di collegamento oggettivo o soggettivo con la giurisdizione del Regno Unito.

Questa pubblicazione fa parte di una serie a tema Sanzioni internazionali realizzata in collaborazione con lo Studio Legale Padovan.