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La scommessa del presidente Alpha Condé

Guinea: al voto per legislative e referendum costituzionale

22 Mar 2020 - Lo Spiegone - Lo Spiegone

Sono continuate le proteste nella capitale della Guinea, Conakry, dopo l’ennesimo rinvio delle elezioni legislative e del referendum costituzionale deciso dal presidente uscente Alpha Condé. Quella di fine febbraio era la seconda posticipazione di quest’anno della data del voto, inizialmente indetto per il 16 febbraio, scalata poi al 1° marzo e quindi al 22 marzo. Si è trattato quindi di un “leggero slittamento”, come aveva rassicurato Condé, ma le proteste non si sono ancora fermate.

In un discorso televisivo, Condé aveva giustificato la decisione di posporre la data elettorale per “responsabilità nazionale e sub-regionale“, dovendo operare “nel quadro dell’Ecowas e dell’Unione africana (Ua)”.

Condé aveva dovuto rispondere così alle forti pressioni da parte dei partiti politici e delle organizzazioni internazionali africane, contrarie all’emendamento referendario, visto che contrasta con il progetto dell’Ua per la facilitazione della transizione democratica che vuole snellire i mandati presidenziali. Il referendum indetto vorrebbe infatti riconsiderare i limiti dell’incarico governativo, permettendo a Condé di correre per un terzo mandato, anche se il presidente non ha dichiarato apertamente l’intenzione di candidarsi di nuovo. L’articolo 27 della Costituzione della Guinea limita ora a due il numero di mandati per i presidenti. Se la proposta di Condé passasse, l’ottantunenne potrebbe governare per altri 12 anni, arrivando a un totale di 24 anni al potere.

Nessuna transizione democratica
La Guinea, il primo Paese a raggiungere l’indipendenza coloniale sotto la leadership di Sekou Touré nel 1958, non ha mai vissuto una transizione politica pienamente democratica. Ai 26 anni di governo incontrastato di Tourè, seguì la giunta militare di Lansana Conté, arrivato al potere nel 1992 con un colpo di Stato. L’attuale presidente ha vinto le prime elezioni democratiche solo nel 2010 dopo un periodo di governo militare in seguito alla morte di Conté nel 2008. Nel 2010 venne promulgata l’attuale Costituzione e da allora c’è un solo uomo al comando.

Secondo la Carta costituzionale, la Guinea è una Repubblica presidenziale. Il presidente è eletto a suffragio universale con un sistema a due turni, con la possibilità di rinnovare il mandato quinquennale solo una volta. Se nessuno ottiene più del 50% dei voti, i due candidati più votati si sfidano in un testa a testa.

Il presidente nomina il primo ministro, che esercita il potere esecutivo. Le prossime elezioni dovranno rinnovare l’Assemblea nazionale, organo unicamerale dove siedono 114 membri eletti a suffragio universale per un numero illimitato di mandati quinquennali con un sistema misto: 76 deputati vengono scelti con un sistema proporzionale in base a una lista unica nazionale, i restanti 38 in collegi uninominali con sistema del first-past-the-post.

Problematiche organizzative ed etniche
Lo slittamento della data e la questione del referendum non sono gli unici problemi riscontrati durante l’organizzazione della tornata elettorale. L’Organizzazione internazionale della francofonia (Oif) aveva segnalato la settimana scorsa problemi di verifica di circa 2,5 dei 7,7 milioni di nomi presenti nelle liste elettorali. Dato che la distribuzione d’età tra la popolazione in Guinea propende verso la prima gioventù (da 0-14 anni il 41%, tra i 15-24 anni il 19%), solo il 40% dei 12,5 milioni di persone che vivono in Guinea ha l’età per votare.

Il grande numero di giovani in Guinea non è ancora riuscito a scalfire il sistema partitico impostato su base etnica. I partiti infatti si caratterizzano per essere movimenti di sostegno a un individuo o a un gruppo fondati sulle regioni, sull’etnia e sulla difesa degli interessi di parte. Ad esempio, il Rassemblement du Peuple de Guinée si appoggia all’elettorato di Malinke in Alta Guinea, mentre l’Union des Forces Démocratiques de Guinée (Ufdg) ha una roccaforte tra la comunità fulani nel massiccio di Fouta Djallon, in Guinea centrale.

L’identificazione politica basata su appartenenze etno-regionali spesso ha prodotto in Guinea episodi di violenza. Ad esempio, le discriminazioni nei confronti della comunità fulani sono percepite come ostracismo politico; il gruppo fulani è percepito dalle altre comunità come una minaccia, pur rappresentando il principale potere intellettuale, economico e religioso.

Le elezioni del 2015 hanno illustrato bene questa tendenza: nonostante il divario creato da Cellou Dallein Diallo al primo turno (un fulani che ha ottenuto il 44% dei voti, contro il 18% di Condé), Alpha Condé vinse al secondo turno con il 57%. La questione della partecipazione politica dei fulani riemergerà senza dubbio anche in queste elezioni, perché è sempre più diffusa la convinzione che toccherà a loro prendere in mano il Paese.

La violenza politica è una pratica persistente. Durante la storia della Guinea, infatti, la violenza è stato lo strumento principale per acquisire, gestire e sfidare il potere. Per esempio, Sékou Touré mantenne il potere nel Paese per ventisei anni in un clima di paura e repressione, costringendo all’esilio una parte importante dell’élite politica, intellettuale ed economica.

La violenza politica in Guinea ha diversi effetti, tra cui il rafforzamento di una cultura dell’impunità e l’uso dell’etnia come fattore di mobilitazione per stimolare i gruppi ad atti di violenza politica, rendendo la partecipazione elettorale un esercizio politico rischioso.

Come c’era da attendersi, i principali partiti dell’opposizione non hanno abbandonato la linea del boicottaggio, per mettere a rischio la riuscita del referendum di cui hanno più volte chiesto l’annullamento. Se durante la giornata di oggi verranno registrate violenze o atteggiamenti sospetti, l’opposizione potrebbe contestare la legittimità dei risultati, soprattutto se la modifica della costituzione sarà approvata. Condé non ha fatto il passo indietro che le opposizioni chiedono da mesi, saranno gli elettori a metterlo da parte?

A cura di Armando D’Amaro, autore de Lo Spiegone.

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