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Elezioni municipali: un pericolo per Macron

7 Mar 2020 - Alberto Toscano - Alberto Toscano

Il clima di unità creato dall’emergenza coronavirus dà una mano all’Eliseo, perché ogni attacco dell’opposizione in Francia scivola indietro nella gerarchia dell’informazione. È il caso della polemica contro la riforma pensionistica, che il primo ministro Edouard Philippe – con l’ovvio consenso del presidente Emmanuel Macron – ha deciso di far approvare a viva forza in Parlamento nell’intento di superare lo scoglio dell’ostruzionismo, dopo aver oltrepassato quello degli scioperi.

Ponendo la questione di fiducia, secondo l’articolo 49 comma 3 della Costituzione, il governo ha fatto decadere decine di migliaia di emendamenti al suo disegno di legge, andato avanti senza neppure bisogno d’essere votato. L’Assemblea nazionale si è espressa sulle due mozioni di sfiducia delle opposizioni, la cui sconfitta ha automaticamente consacrato l’approvazione della riforma. L’iter non è finito, ma pare scontato.

Elezioni all’orizzonte
Il momento è particolare anche perché la Francia sta cominciando una lunghissima stagione elettorale e su questo terreno Macron è in maggiore difficoltà. Si parte la prossima settimana con le municipali (in due turni, il 15 e il 22 marzo). Poi si passerà per le regionali e si finirà nella primavera 2022 con le presidenziali e con le legislative. I macronisti de La République en Marche (Lrem) vivono un brutto momento. Nutrito da una doppia diaspora di centrodestra e di centrosinistra, il partito di Macron rivela tutta la sua fragilità in una consultazione come quella imminente, in cui è in gioco il potere locale. Capita persino che gli esponenti della maggioranza governativa vadano divisi al giudizio degli elettori delle comunali. Il partito perde qualche pezzo e il rapporto con gli alleati del Mouvement démocrate (MoDem) del centrista François Bayrou è meno facile di prima.

Le elezioni municipali hanno un rilievo particolare nella politica francese visto il ruolo dei sindaci, che, fino alla recente riforma contro il “cumulo dei mandati”, erano in molti casi anche deputati o senatori. Quando si è trattato di scegliere, parecchi di loro hanno optato per la carica locale a scapito del mandato parlamentare. È il caso anche di sindaci di città non proprio importantissime, come Jean-François Copé a Meaux e François Zocchetto a Laval. Capita non di rado, in Francia, che un sindaco pesi nella politica nazionale ben più di un deputato o di un senatore. Per i macronisti è dunque fondamentale ottenere qualche successo di rilievo alle imminenti municipali.

La battaglia di Parigi
Ma qui c’è un paradosso. In un Paese di 36 mila comuni, l’attenzione dei media si concentrerà sui risultati di uno solo: Parigi. La capitale francese è peraltro una città relativamente piccola, se si considera che ha solo 2,1 milioni di abitanti, visto che gran parte della conurbazione è costituita dai comuni della banlieue. La sera di domenica 15 marzo Macron rischia di vedersela brutta. La “battaglia di Parigi” potrebbe dimostrare il declino del dégagisme (neologismo coniato alla vittoria di Macron del 2017 per indicare – dal verbo dégager – la volontà dei francesi di sbarazzarsi della vecchia politica e soprattutto dei vecchi partiti).

Il dégagisme è stato la fortuna di Macron, insinuatosi fra le forze che avevano fino a quel momento dominato la Quinta Repubblica – socialisti e neogollisti -. Resta da vedere se il ritorno al vecchio schema destra contro sinistra potrà mettere in difficoltà il presidente della Repubblica, che resta impopolare malgrado l’emergenza virus.

A Parigi, e non solo, queste elezioni sembrano dimostrare infatti il ritorno dei vecchi partiti. Lo scontro nella capitale vede in pole position la sindaca socialista uscente Anne Hidalgo e l’ex ministra della Giustizia con Nicolas Sarkozy, l’esponente dei Républicains Rachida Dati. Una donna della sinistra storica contro una donna della destra storica. Poi, in vista del secondo turno, Hidalgo si prepara ad allearsi con gli ecologisti e con i comunisti, mettendo in piedi una coalizione di sinistra in continuità con la maggioranza municipale uscente.

La candidata macronista Agnès Buzyn ha pianto, davanti alle telecamere, il mese scorso, lasciando il suo posto di ministro della Salute per rimpiazzare l’ex portavoce governativo Benjamin Griveaux, candidato di Lrem a Parigi. Ha dovuto farlo contro la sua volontà. Bruciato da uno scandalo mediatico-sessuale, Griveaux è stato rimpiazzato in fretta e furia. Come se non bastasse, una parte dei macronisti di Parigi sostiene la candidatura dissidente del matematico Cédric Villani. Buzyn è una buona candidata e avrà senz’altro più voti di quelli che avrebbe ottenuto Griveaux, ma ben difficilmente potrà insidiare Hidalgo, sindaca uscente e probabile entrante, e la sua sfidante Rachida Dati.

Il punto di forza parigino della maggioranza governativa è costituito da personaggi che non appartengono a Lrem. Donne e uomini che dispongono di una grande credibilità in alcuni arrondissement della capitale. Prima fra tutti, Delphine Bürkli, mini-sindaca uscente, e probabilmente rientrante, del IX arrondissement. Bürkli faceva parte dei Répubblicains, come l’attuale superministro delle Finanze Bruno Le Maire, ed è passata con lui a sostenere la maggioranza governativa dopo le presidenziali del 2017. Una cosa è certa: la “battaglia di Parigi” vede le donne in primissimo piano.