IAI
Embargo di armi (e Italia al comando)

Da Sophia a Irene: l’operazione Eunavformed riprende il mare

9 Mar 2020 - Fabio Caffio - Fabio Caffio

Spinta dalla necessità di evitare l’afflusso in Libia di armi via mare, l’Unione europea si propone di riavviare la missione navale Eunavformed Sophia. Il suo nome cambierebbe in Irene, ad evidenziare un netto cambio di passo, ma l’Italia ne manterrà il comando affidandolo al contrammiraglio Fabio Agostini.

Il soccorso alla vita umana (Sar) e il contrasto al traffico dei migranti passeranno, rispetto a prima, in secondo piano, essendo prioritario – come messo in chiaro dall’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell – attuare il cessate il fuoco della conferenza di Berlino sulla Libia. Le intenzioni dell’Ue – da consolidare nel prossimo Consiglio affari esteri del 23 marzo – dovranno ora affrontare la realtà dell’embargo navale, oltre a una possibile ripresa dei flussi di profughi dalle coste turche.

Embargo coercitivo ed embargo coercitivo
Le modalità di applicazione dell’embargo saranno basate sulla risoluzione 2292 del Consiglio di sicurezza dell’Onu del 2016, più volte riconfermata. Questa affonda le sue radici in un’altra risoluzione, la 1970 del 2011, emanata per far cessare le violazioni dei diritti umani da parte del regime di Gheddafi. L’embargo non faceva distinzione fra le fazioni e tale è rimasto, nel senso che vale ancora sia per Tripoli sia per Tobruk.

Qualsiasi mercantile sospettato di trasportare armi in Libia potrà quindi essere fermato e sottoposto a visita in alto mare – a condizione che si sia chiesto il consenso dello Stato di bandiera, anche se ottenuto presuntivamente – per poi sequestrarne il carico illegale. Per il controllo di porta-container, o di navi con merci inaccessibili, si potrebbe dirottare il mercantile in un’apposita area portuale. Il ricorso a misure coercitive da parte delle unità europee non sarà possibile né contro navi da guerra straniere né contro mercantili da esse scortate.

Sinora, l’operazione Sophia era dislocata lungo tutte le coste libiche. In futuro, la sorveglianza dell’Ue si concentrerà invece nella zona di alto mare antistante la Cirenaica. Può quindi dirsi che l’operazione Irene attuerà un embargo selettivo, in quanto sarà dedicato ad una specifica area di mare del Mediterraneo orientale.

Ovviamente nessun attore internazionale, potendo ancora valersi delle porose frontiere terrestri di tutta la Libia, avrebbe interesse ad affrontare i controlli della forza navale Ue. A cercare il confronto in mare potrebbero però essere gli alleati di Tripoli, ed in particolare la Turchia.

Una dimostrazione di forza da parte di Ankara è da mettersi in conto, magari nell’area della Zona economica esclusiva delimitata con Tripoli, che a sud va dal confine egiziano a Derna. Se ad essere sospettati di violare l’embargo fossero mercantili scortati, possiamo immaginare che proseguiranno indenni la navigazione: un simile scenario rappresenterebbe tuttavia una sfida all’autorità delle Nazioni Unite.

Arma migranti
Le riserve italiane – espresse sin dall’estate 2017 – sullo sbarco nel nostro Paese delle persone salvate (quasi 50 mila dal 2015) hanno impedito com’è noto la prosecuzione di Sophia.

Ora sono state AustriaUngheria a chiedere che la nuova operazione, nello svolgimento degli obblighi Sar, non sia un pull factor. Questo spiega l’orientamento Ue a prevederne la sospensione qualora le attività di soccorso divenissero predominanti. Lo spostamento dell’area di operazione innanzi alla Cirenaica sembra anche essere volta a evitare i massicci interventi Sar del Mediterraneo centrale.

Cosa succederebbe se dalle coste anatoliche o dai porti della Repubblica turca di Cipro del Nord riprendesse il flusso di migranti verso l’Italia, o verso la Grecia, mai interrottosi in questi anni e già verificatosi in passato con episodi clamorosi? Forme di risposta immediata a emergenze umanitarie – associate a meccanismi di scelta caso dello sbarco/ricollocazione tra i Paesi partecipanti delle persone salvate – dovranno necessariamente stabilirsi, ma è da escludersi il ritorno all’automatica regola dell’Italia unico luogo di sbarco.

Paesi partecipanti e mano tesa a Tripoli
Il riconoscimento ottenuto dall’Italia con la conferma del comando dell’operazione è un punto a favore che premia la nostra capacità di condurre operazioni multinazionali dedicate alla sicurezza marittima. Probabilmente la funzione di vice comando continuerà ad essere affidata alla Francia, come avviene per Sophia, e anche questo è una garanzia di successo dell’operazione.

Pare che abbiano già aderito, oltre alla Francia, Slovenia, Portogallo, Svezia, Irlanda e Bulgaria. Nulla si sa ancora di Grecia e Cipro, anche se entrambi sono i Paesi più interessati direttamente ad attuare il contrasto in mare dell’espansionismo turco. Ci sarà di certo anche la Germania, ma Berlino pare avere un approccio più attendista, per evitare scelte troppo mirate e integrare invece l’embargo navale con attività di sorveglianza terrestre e aerea.

Quello che sarà la EU Operation Active Surveillance appare delineato, nonostante l’approccio anti-turco, in modo imparziale, secondo lo spirito di rafforzamento dell’integrità territoriale del governo di Tripoli che informa le risoluzioni dell’Onu.

Al momento delle dimissioni dell’inviato Onu in Libia, motivate dalla difficolta di imporre il cessate il fuoco, sembra fuori luogo richiamare un tale aspetto. Il fatto è che esso non è mai venuto meno nell’azione delle Nazioni Unite ed è ancora un punto di riferimento per l’Italia nei rapporti con Tripoli.
La neutralità della nuova missione nei confronti dei contendenti della crisi libica – che spiegherebbe anche il continuare a prevedere nel suo mandato l’embargo petrolifero contro la Cirenaica e l’addestramento della Guardia costiera libica – è quindi un elemento di cui l’Italia dovrà tener conto nel comandare l’operazione.