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Ricette difformi nel Benelux

Belgio-Olanda: gemelli diversi di fronte al Covid-19

30 Mar 2020 - Gabriele Rosana - Gabriele Rosana

Capita a volte che Bruxelles non faccia rima con Unione europea. Nelle settimane in cui la pandemia di coronavirus è diventata un problema europeo anche politico – con l’incapacità del Summit dei capi di Stato e di governo di decidere sulle misure comuni da adottare per far fronte all’impatto economico della crisi sanitaria e l’esigenza di mobilitare liquidità – il Belgio ha sperimentato un’inedita unità d’intenti nazionale (perlomeno in conferenza stampa). Merce rara in un Paese che detiene il record di giorni senza un governo nella pienezza dei suoi poteri – 541, fra il 2010 e il 2011 -.

Prima dell’arrivo del Covid-19, tutto lasciava presagire che il Regno di Sua Maestà Filippo si stesse muovendo nella stessa direzione di dieci anni fa. Caduto il governo presieduto da Charles Michel nel dicembre 2018 – dopo la firma del patto di Marrakech sulle migrazioni che aveva incontrato la ferma opposizione dei nazionalisti fiamminghi dell’N-VA, partner di governo – le elezioni federali del maggio 2019 avevano scattato la fotografia di un Parlamento frammentato e il boom degli ultra-nazionalisti del Vlaams Belang, secondo partito a livello nazionale. Nessuno era davvero riuscito a ricomporre la classica divisione fra fiamminghi neerlandofoni e valloni francofoni e dare al Belgio un governo effettivo per 454 giorni, fino all’esplosione dei contagi da coronavirus anche in Europa.

Belgio: nove ministri della sanità e un governo d’emergenza
Nel Paese di René Magritte, capofila dei surrealisti, la competenza sanitaria è condivisa fra nove ministri – Maggie De Block è la responsabile a livello federale, mentre otto sono i ministri regionali coinvolti -. Ma l’organo a cui sono demandate le decisioni ultime relative alla salute pubblica è il Consiglio di sicurezza nazionale, dove siedono ministri chiave del governo, rappresentanti delle agenzie federali e, in base ai casi, anche delle entità federate (Fiandre, Vallonia e regione di Bruxelles-capitale).

Mentre l’Italia chiudeva la bassa lodigiana, poi il nord e quindi l’intero Paese, nel Belgio che ospita le istituzioni dell’Unione europea in tanti facevano orecchie da mercante, salvo cominciare ad adottare timide misure precauzionali, come la sospensione delle lezioni scolastiche e universitarie, la cancellazione di eventi su larga scala e l’incoraggiamento del telelavoro, nei limiti del possibile. Pochi giorni dopo l’assunzione dei primi provvedimenti a bassa intensità – dovuti soprattutto all’opposizione dei politici fiamminghi -, la svolta, con l’annuncio che il Paese sarebbe entrato in semi-lockdown, seguendo l’esempio della vicina Francia, fino al 5 aprile – una scadenza adesso rinviata di due settimane,  fino al 19 aprile, anche qui seguendo l’annuncio di Parigi -.

Fra i due momenti, un importante cambio di passo: il giuramento del governo Wilmès II, un esecutivo di minoranza nel Parlamento nazionale, ma incaricato di gestire l’emergenza sanitaria. Sophie Wilmès, liberale francofona, era già capo del governo ad interim dopo le dimissioni di Charles Michel, che dal 1° novembre presiede il Consiglio europeo: è la prima donna a guidare un esecutivo in Belgio. “Tra sei mesi tornerò davanti al Parlamento per rimettere il mandato”, ha assicurato il giorno della fiducia.

Mentre Bruxelles si svegliava dal torpore del debutto della quarantena di fronte a reparti di supermercato saccheggiati (in particolare segnalando la carenza di carta igienica, divenuta il bene più ricercato nella capitale), all’aeroporto di Liegi atterravano voli provenienti dalla Cina con a bordo centinaia di migliaia di mascherine destinate non solo al Belgio – 300mila -, ma anche all’Italia – 500mila – e ad altri Paesi europei, dono della Fondazione Alibaba e della Fondazione Jack Ma, dal nome del patron del gigante cinese dell’e-commerce. Dietro l’operazione, raccontano i media belgi, ci sarebbe stata una telefonata tra il re Filippo e il magnate cinese. Mascherine che sono tuttavia diventate, insieme al gel disinfettante, un miraggio nel Regno, dove – per tutelare le scorte – è stato introdotto l’obbligo di prescrizione medica per l’acquisto.

Il Paese risponde alla chiamata della solidarietà logistica, ma non ancora a quella della solidarietà sanitaria. Già in difficoltà per la gestione dei propri contagi – quasi 8mila, due terzi dei quali nelle Fiandre -, il Belgio ha smentito le voci iniziali secondo cui avrebbe accolto nei suoi ospedali pazienti stranieri, in particolare provenienti dall’Olanda e dall’Italia, come – sta facendo in queste stesse ore, ad esempio, la Germania -.

Olanda: la pecora nera d’Europa
Dopo il passo indietro di Boris Johnson – che ha dapprima scoraggiato i contatti sociali, poi proclamato il lockdown anche nel Regno Unito, e quindi dimostrato in prima persona la facilità di trasmissione del virus, risultando positivo al tampone -, l’Olanda rimane oggi l’Highlander in Europa di un approccio soft alla pandemia.

Sulla base delle raccomandazioni del Rivm, l’istituto superiore di sanità dei Paesi Bassi, il governo ha optato per controllare la diffusione del virus promuovendo il social distancing, ma senza chiudere tutte le attività non essenziali. Secondo le autorità, il lockdown praticato, fra gli altri, da Italia e Francia può rivelarsi efficace all’inizio nell’addolcimento della curva dei contagi, ma richiede tempi molto lunghi con pesanti ricadute socio-economiche. L’idea olandese è invece improntata all’ottenimento dell’immunità di gregge – un concetto caro anche a Londra, prima del repentino passo indietro di Johnson -: fare in modo che il virus si diffonda lentamente fra i gruppi meno vulnerabili della popolazione, proteggendo quelli più a rischio, così da costruire l’immunità di gregge e non sovraccaricare il sistema sanitario.

Oltre duemila i ricoveri, secondo le ultime stime, quasi cento i decessi. Numeri ben diversi rispetto a quelli di Italia, Spagna e Francia – ma anche della Germania -: anzi, le cifre sembrano “aumentare meno rapidamente di quanto ci si aspetterebbe senza misure”, dicono le autorità sanitarie dei Paesi Bassi. “Rimanete a casa il più possibile”, è il principale messaggio del premier Mark Rutte, di fronte alle immagini di parchi e spiagge piene nel fine settimane. Se servirà, siamo disposti ad adottare misure più severe, ha aggiunto.

Quello che per il premier olandese non serve adesso, invece, è la creazione di Corona-bond condivisi dai Paesi dell’area euro. L’Olanda è stata il capofila del fronte dei falchi del nord che si è opposto alla misura proposta, fra gli altri, da Roma, Madrid e Parigi, nel corso del Consiglio europeo in video-conferenza di giovedì. Un editoriale economico pubblicato nelle scorse ore dal quotidiano a tiratura nazionale Volkskrant ha apertamente sostenuto la linea di Rutte, accusando i Paesi del sud di voler usare l’allarme Covid-19 per modificare la struttura dell’Unione europea con l’introduzione di misure di condivisione del debito, trasformando l’Eurozona in un’”unione di trasferimenti”, dove i Paesi “deboli” vengono strutturalmente sovvenzionati da Stati economicamente forti come l’Olanda.

Ancora una volta, dopo il referendum del 2005 che fece naufragare la Costituzione europea, il futuro dell’Ue è appeso alle dinamiche politiche interne della patria dei tulipani. E proprio ai fiori simbolo dei Paesi Bassi – che in questi giorni di quarantena adornano la sua casa bruxellese, divenuta ufficio e studio televisivo – si è rivolto con un riferimento tutt’altro che velato il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, in collegamento col Tg1: “A chi li venderemmo senza il mercato unico europeo?”.