Tre crisi per Putin: sarà lo tsunami perfetto?
Vladimir Putin sta vivendo in questo momento tre crisi diverse, che però rischiano di sovrapporsi in uno tsunami perfetto.
Il petrolio
La prima – l’ultima in ordine di apparizione – è quella economica. L’avventata decisione del Cremlino di ribaltare il tavolo della trattativa con l’Opec sul contenimento della produzione e quindi dei prezzi del greggio ha fatto precipitare il prezzo del petrolio, l’indice più vitale per l’economia russa.
In una settimana il rublo ha perso più del 25% del suo valore e agli sportelli di cambio si sono formate file di persone ansiose di convertire in dollari o euro i loro risparmi. La situazione rischia non soltanto di far aumentare i prezzi – da anni la preoccupazione principale dei russi, secondo i sondaggi – ma anche di incrinare il bilancio dello Stato, che secondo le stime degli economisti resiste fino alla soglia di 40 dollari a barile. È vero che una svalutazione porterebbe all’incremento del guadagno nominale delle major petrolifere (che guadagnano in valuta e pagano le tasse in rubli), ma andrebbe a colpire pesantemente la capacità d’acquisto dei russi, sia per i beni importati che per quelli di produzione nazionale ma esportabili e quindi con i prezzi legati alle quotazioni mondiali.
Il consenso
La seconda crisi, da tempo in corso ma che rischia di aggravarsi per causa della prima, è quella del consenso. Sia l’élite che l’opinione pubblica speravano di vedere nel 2024, anno di scadenza del quarto e secondo consecutivo mandato di Putin al Cremlino – almeno l’inizio di un passaggio generazionale, con l’avviamento di una modernizzazione necessaria al Paese e la distensione nella nuova guerra fredda.
Il presidente, dopo aver lanciato a gennaio un processo di emendamenti costituzionali dai contorni ambigui, ha deciso una mossa esplicita, facendo votare alla Duma e approvare alla Corte Costituzionale una modifica che “azzera” i suoi mandati precedenti e gli permette di ricandidarsi per altre due volte, per un regno complessivo di 37 anni, che durerebbe fino al 2036.
Con questa sorta di golpe costituzionale, il referendum – per essere precisi, una “votazione nazionale” – sugli emendamenti, indetto per il 22 aprile, si è trasformato in un voto su Putin. La popolarità del presidente, perfino nei sondaggi ufficiali, si è più che dimezzata rispetto ai picchi dell’annessione della Crimea nel 2014. Infine, le dichiarazioni degli ultimi giorni, come l’affermazione che il 70% dei russi appartiene alla classe media perché gode di un reddito sopra i 200 euro al mese, non contribuiscono ad aumentarla.
Il coronavirus
Su queste due crisi – un referendum su un capo di Stato ormai impopolare in condizioni di crisi economica dovuta al crollo del petrolio – si sta per aggiungere una terza emergenza, in corso nel resto del mondo da due mesi, ma in buona parte ignorata finora dal governo russo: il coronavirus.
Chiusa la frontiera con la Cina già all’inizio dell’epidemia a Wuhan, Mosca ha poi applicato la sua classica retorica del “pericolo che viene da fuori“, sottovalutando un contagio ormai diventato endogeno. La sanità ha attivato un protocollo di quarantena per i sospetti e allestito reparti speciali per gli infettati (che dalle prime testimonianze dei malcapitati che ci sono finiti, appaiono disorganizzati e inadeguati), ma la propaganda nello stesso tempo ha sminuito la minaccia come “semplice influenza” e tranne qualche misura di contenimento a Mosca e altre città, insiste che non introdurrà la quarantena.
Intanto sui social serpeggiano voci di centinaia di contagi e decine di morti, gli scaffali dei supermercati vengono spazzati: la sfiducia in quello che comunicano le autorità si somma alla paura per lo stato disastroso della sanità, colpita negli ultimi anni da pesantissimi tagli di “ottimizzazione”.
Le conseguenze
Putin ha ammesso a malincuore di poter abolire il referendum del 22 aprile per proteggere i cittadini dal contagio. Ma il voto è essenziale per lui per ottenere la legittimazione per mantenere il potere.
Allo stesso tempo, le due crisi sovrapposte, quella economica e quella sanitaria, rischiano di erodere ultimamente il suo consenso e mettere in dubbio la riuscita del plebiscito perfino con le collaudate manipolazioni elettorali. In una situazione in cui molte democrazie occidentali vivono in un regime speciale e ne auspicano spesso uno ancora più duro, i russi potrebbero invece venire spinti dall’emergenza dell’epidemia a chiedere più democrazia e trasparenza, proprio nel momento in cui il loro leader ha deciso di interrompere un’imitazione anche solo di facciata di un sistema di governo europeo per virare verso un autoritarismo di stampo asiatico.