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SI APRE IL CONFRONTO SULLA CRISI CATALANA

Sánchez, gli indipendentisti e la “certezza del diritto”

28 Feb 2020 - Leonida Tedoldi - Leonida Tedoldi

Qualche settimana dopo la formazione del governo in Spagna, ha preso avvio alla Moncloa il confronto tra l’esecutivo e i rappresentanti della Generalitat de Catalunya sulla “questione” – o, meglio, sulla crisi – catalana. Oltre ai leader Pedro Sánchez Quim Torra (e i rispettivi vice Carmen Calvo Poyato e Pere Aragonès), le delegazioni che partecipano al tavolo di lavoro sono formate da alcuni ministri in rappresentanza del governo – Calvo, María Jesús Montero, Manuel Castells, Pablo Iglesias – e, da parte catalana, da due assessori regionali – Jordi Puigneró e Alfred Bosch – e da tre deputati regionali – Josep Maria Jové (considerato uno degli architetti del procés, il processo di indipendenza), Marta Villata e Elsa Artadi (una delle collaboratrici più strette di Puidgemont) -.

Si tratta della prima fase di avvicinamento agli indipendentisti avviata dal presidente del governo Sanchéz, accompagnata da un conflitto senza precedenti con l’opposizione. L’istituzione di un tavolo di lavoro Madrid-Barcellona era stato deciso in occasione dell’appoggio esternoal governo fra socialisti e Podemos da parte di Esquerra republicana de Catalunya (Erc), il partito indipendentista catalano più longevo (al timone della Generalitat insieme a Junts per Catalunya, la forza di Carles Puidgemont e di Torra).

I catalani e la sopravvivenza del governo Psoe-Podemos
La forte accelerazione impressa a questo incontro – dopo alcune schermaglie “organizzative” legate alla data della riunione – è stata determinata dall’esigenza del capo del governo di poter disporre dell’astensione – quindi del sostegno di fatto – da parte di Erc al voto, per molti versi decisivo, sull'”objetivo de déficit público”, primo passo di innesco dell’iter della legge finanziaria. Tale questione fu già all’origine dello scontro tra il primo governo Sánchez – quello insediatosi dopo aver messo a segno una mozione di sfiducia nei confronti dell’allora premier conservatore Mariano Rajoy -, e i partiti indipendentisti, che si rifiutarono di sostenere una legge finanziaria impostata dai popolari, facendo così cadere l’esecutivo guidato dal premier socialista.

Oggi è un’altra storia, sebbene Sanchéz, insediatosi da poche settimane, abbia un bisogno irrinunciabile del costante appoggio, benché indiretto, dei partiti indipendentisti: non solo Erc, ma anche gli indipendentisti baschi di Bildu, e perché no di Junts per Catalunya; una circostanza che è anche il metro della debolezza del governo.

Dopo tre ore di confronto attorno al “tavolo zero” – come è stato ribattezzato dallo stesso Torra -, le parti hanno condiviso solo la convinzione che qualsiasi accordo sia adottato, questo sarà all’interno della seguridad jurídica, cioè la certezza del diritto. Un modo questo, probabilmente, per non menzionare direttamente la Costituzione, previsto già dalla dichiarazione di Pedralbes dello scorso dicembre, in cui si affermò anche la via del dialogo come unica via di confronto sulla Catalogna. Sebbene i rappresentanti del governo si siano subito premuniti di dichiarare che il riferimento alla Costituzione è implicito (per quanto lasciato sfumare in secondo piano, almeno mentre era in corso la votazione sull’objetivo de déficit). Non certo un grande passo avanti, ma nelle prime battute di un confronto così complesso, in cui una delle parti è dichiaratamente indipendentista, non si poteva forse pensare a qualcosa di più.

I temi sul tavolo
Come è noto, e oggetto già della prima riunione del tavolo, il diritto all’autodeterminazione – quindi la richiesta di un referendum – e l’amnistia per i politici catalani incarcerati sono i due temi rivendicati da Torra e che rappresentano anche la distanza tra le parti. Al momento non esiste infatti un’ipotesi di accordo su questi temi e Madrid e Barcellona rimangono lontane. Ragion per cui Sanchéz aveva invitato Torra ad iniziare il confronto dagli argomenti di possibile convergenza.

Fin qui la cronaca, più o meno articolata, della vicenda, ma sottotraccia le questioni risultano ancora più complesse, naturalmente. Sánchez, come i socialisti (e l’opposizione) – ma non gli alleati di governo di Podemos -, ritiene, riassumendo un poco, che l’autodeterminazione e l’amnistia non abbiano a che fare con la Costituzione perché sono questioni prevalentemente politiche.

Ma se per quanto riguarda l’amnistia la problematica politica è chiara, per il referendum sull’autodeterminazione la questione è invece diversa. I referendum consultivi su questioni di particolare importanza sono previsti dalla Costituzione spagnola (art.92), la convocazione è in capo al re, ma su proposta del capo del governo; ed inoltre il Tribunale costituzionale nel 2014, dopo aver annullato la dichiarazione di sovranità del governo catalano, indicò una strada di riforma possibile della Costituzione per introdurre l’eventualità di un referendum specifico (nessuna parte della Carta è immodificabile).

Come si vede, le questioni sono assai complesse e l’interesse per il tavolo, destinato a riunirsi periodicamente fra Madrid e Barcellona, aumenterà con molte probabilitànei prossimi mesi. Al momento l’unico aspetto chiaro è la via del dialogo, null’altro.