Reportage dal New Hampshire: il derby delle primarie (a -10°)
In New Hampshire si dice che le primarie siano lo sport più popolare. Ed è proprio così. A due giorni dal voto per scegliere il candidato del Partito democratico che sfiderà il presidente Donald Trump all’Election Day del prossimo novembre, il New Hampshire pullula di manifestazioni, eventi di raccolta fondi e soprattutto di giovani volontari che armati di T-shirt, spille e buona volontà sfidano il freddo per cercare di convincere gli indecisi con una campagna che va da porta a porta e approda negli stadi.
A sinistra Warren in calo, Sanders in ascesa
Alla cena di raccolta fondi del Partito Democratico del New Hampshire presso la SHNU Arena della cittadina di Manchester, l’atmosfera era quella di un derby di calcio, solo tra più squadre e in un’atmosfera più pacifica, ma non per questo meno densa rispetto a come siamo abituati in Italia. Moltissimi e organizzatissimi i sostenitori di Elizabeth Warren, senatrice del Massachusetts, molto popolare tra le insegnanti e i lavoratori impegnati nel sociale che ne apprezzano il calore, l’esperienza e l’interazione diretta con i professionisti dei vari settori per chiedere loro direttamente di cosa hanno bisogno. Warren ha perso molta della carica e dell’eccitazione di novità rispetto a qualche mese fa dopo che ha reso noto il suo piano per la sanità pubblica, e il New Hampshire sarà una prova molto difficile.

Il grande favorito infatti per il voto di martedì 11 febbraio è Bernie Sanders, senatore del Vermont (che confina con il New Hampshire), celebre per le sue idee sulla salute pubblica , il salario minimo e sull’istruzione che molti considerano radicali perché spaventano i mercati, sfidano il potere delle grandi compagnie assicurative, delle multinazionali farmaceutiche e delle banche che lucrano sui prestiti erogati agli studenti. A sostenere Bernie ci sono soprattutto studenti, lavoratori sottopagati delle grandi multinazionali del digitale, dei fast-food e dei supermercati in un connubio ben assortito in termini di genere, religione e colore della pelle che sperimentano su di sé gli effetti delle disuguaglianze sociali.
Ok, Boomer
Sebbene in Iowa abbia ricevuto più voti, la struttura del collegio elettorale ha sancito la vittoria da molti inaspettata dell’ex sindaco della cittadina di South Bend in Indiana, il 38enne Pete Buttigieg, che insieme alla senatrice del Minnesota Amy Klobuchar e all’ex vice-presidente Joe Biden, fa appello a un elettorato definito moderato in opposizione alle idee più progressiste di Sanders e Warren. Per Mayor Pete – così come lo chiamano a South Bend – un serpentone di persone si è radunato intorno alla scuola media di Elm Street di Nashua nonostante i dieci gradi sotto zero. Buttigieg piace molto ai giovani e meno giovani delle classi medio-alte attratte dal suo carisma e dalla sua intelligenza che vedono in lui un buon connubio tra tradizione (ha servito come luogotenente in Afghanistan e si professa cristiano) e progressismo (Buttigieg è omosessuale, sposato con un uomo e non ha esperienza politica in Congresso come i suoi sfidanti). Buttigieg non è popolare tra gli afroamericani o latini, che prediligono candidati come Biden o Sanders, ma in New Hampshire – dove i bianchi sono il 94% della popolazione – ciò conta relativamente.

A giocare a favore del sindaco di South Bend anche la rapida discesa di Biden, che dopo il risultato dell’Iowa non riesce a fare bene in New Hampshire, dove raduna townhall con poche persone, perlopiù anziani o baby-boomer che si affidano a lui perché ricordano il suo impegno su una serie di dossier come l’Affordable Care Act. Sebbene con uno stile comunicativo molto accogliente e inclusivo, la sua retorica è priva di carisma e per lui le previsioni di voto non sono buone. Al contrario, anche se partita da posizioni più basse, la senatrice del Minnesota Klobuchar sembra guadagnare terreno nell’elettorato moderato e convince per la sua esperienza, ironia e precisione con cui ha brillato nel dibattito democratico di venerdì scorso in onda su AbcNews proprio da Manchester.
Mobilitazione politica verso il voto
A discapito delle loro differenze, la battaglia reale sarà quella di mobilitare più sostenitori e strappare così voti a Donald Trump il 3 novembre, in uno Stato in cui nel 2016 Hillary Clinton vinse di appena lo 0,4%. Tutti i candidati hanno più volte ripetuto questo mantra nel piccolo New Hampshire (diviso quasi a metà tra democratici e repubblicani/indipendenti), che ha il vantaggio di essere tra i primi a votare e influisce sul prosieguo delle primarie.

Gli abitanti del New Hampshire sono consapevoli di questa responsabilità ed è per questo che partecipano alle townhall (anche di candidati minori come la deputata delle Hawaii Tulsi Gabbard) per fare domande e selezionare con cura il candidato più convincente. Una ragione per cui hanno mal digerito la mossa di Michael Bloomberg, l’imprenditore ex-sindaco di New York che da poco si è aggiunto alla competizione elettorale e che ha deliberatamente scelto di non fare campagna in New Hampshire e Iowa per giocare tutte le sue carte nel SuperTuesday del 3 marzo. In un clima politico che dopo il novembre 2016 si è surriscaldato in maniera difficilmente quantificabile, l’attivismo politico del New Hampshire è una boccata d’aria fresca.