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1 - L'Egitto e la politica estera italiana

Arresti e torture: il caso Patrick George Zaki

11 Feb 2020 - Paola Caridi - Paola Caridi

Agire subito. Comunicare immediatamente all’esterno. Far partire le campagne sulle reti social. Fare tanto rumore, insomma. A sei anni dal golpe militare del 2013 e dall’ascesa rapidissima al potere di Abdel Fattah al Sisi, una cosa l’hanno imparata, e non solo al Cairo. Quando una persona viene arrestata o sequestrata perché considerata invisa al regime, non bisogna tacere. Al contrario, bisogna urlare. È ormai una regola di condotta, ed è stata seguita anche nel caso di Patrick George Zaki, lo studente egiziano che partecipa, dopo aver vinto una borsa di studio, al  prestigioso master internazionale GEMMA dell’Università di Bologna, un curriculum unico in Europa sugli studi di genere.

Patrick George Zaki è stato prelevato dagli uomini dell’agenzia nazionale egiziana per la sicurezza (Nsa) al suo arrivo all’aeroporto del Cairo, venerdì 7 febbraio. Di lui non si è saputo nulla per almeno 24 ore, dopo le quali è ricomparso a Mansura, la città da cui proviene e in cui vive la sua famiglia. Era stato arrestato, accusato di aver diffuso notizie false sull’Egitto attraverso Facebook. Quando è comparso il giorno dopo di fronte alle autorità giudiziarie, che gli hanno comminato 15 giorni di detenzione preventiva, ha detto ai suoi avvocati di essere stato torturato. Bendato, minacciato di essere stuprato, sottoposto a tortura con elettrochoc per ore.

Il timore di un nuovo caso Regeni
Prima che gli prendessero il telefonino, all’aeroporto, Patrick George Zaki aveva fatto in tempo a chiamare il padre. Da quel momento, dalla sua scomparsa nei locali della Nsa, è rapidamente cominciato il tam tam sulla Rete. Un tam tam che gli ha forse salvato la vita. Il richiamo a quello che è successo a Giulio Regeni esattamente quattro anni fa è immediato. La paura che il riserbo mantenuto per giorni attorno alla scomparsa dello studioso italiano potesse portare alla stessa tragica conclusione è stata evidente, nel caso di Patrick George Zaki. E forse il rincorrersi di appelli e di sostegno alla sua liberazione tradisce anche questo timore. Non si può permettere che succeda di nuovo quello che è successo a Regeni, sequestrato torturato e ucciso nel giro di una settimana. Non si può permettere che succeda di nuovo a una persona che, pur di nazionalità egiziana, ha un legame fortissimo con l’Italia.

E l’Italia, con il regime egiziano, non ha solo continuato a fare affari, sia in ambito civile sia militare. Li ha addirittura incrementati. Ed è una ben singolare coincidenza che il sequestro di  Zaki sia avvenuto subito dopo la fuoriuscita di notizie e la conseguente polemica in Italia relativa alla vendita di due fregate Fremm costruite da Fincantieri all’Egitto. Un affare da un miliardo e duecento milioni di euro, sul quale la Marina militare avrebbe mostrato tutto il suo disagio, secondo diverse indiscrezioni di stampa. La Cassa Depositi e Prestiti dovrebbe addirittura accordare un credito all’Egitto di cinquecento milioni di euro per l’acquisto delle due fregate, già varate e in procinto di essere allestite. Un affare all’interno di un accordo ben più imponente di 9 miliardi di euro, comprendente non solo altre quattro fregate, ma anche caccia, aerei d’addestramento e pattugliatori.

Rapporti Italia-Egitto
Gli accordi sono inoltre all’interno di una complessa relazione commerciale, economica, politica, strategica tra Italia ed Egitto. Una relazione in cui la Sace – la società del gruppo Cassa Depositi e Prestiti che si occupa di sostegno alle imprese italiane nel mondo – ha una parte rilevante, così come tutte le aziende italiane che compongono il ricco mosaico dei rapporti economici bilaterali. Relazione in cui fa ovviamente la parte del leone l’Eni, che con la scoperta e lo sfruttamento del giacimento Zohr, il più importante del Mediterraneo, si è assicurata un ruolo si potrebbe dire inscalfibile, che non potrebbe essere per nulla toccato dal richiamo in Italia del nostro ambasciatore al Cairo.  I realisti sostengono, anche in questi giorni, che i diritti umani non possono incidere più di tanto sulla nostra bilancia commerciale e sui nostri alleati strategici nel Mediterraneo orientale, verso nord, verso la sempre più rilevante questione petrolifera di fronte alle coste di Israele, Cipro e Libano. Né che si può toccare un Paese, l’Egitto, sempre più intenzionato a profilarsi come il vero antagonista della Turchia di Erdogan, presente non solo nel Mediterraneo orientale, ma sempre più nel quadrante libico.

Perché non si può toccare l’Egitto? Perché non si può premere sull’Egitto magari proprio attraverso il blocco della vendita delle fregate? Perché se non vendiamo noi le fregate c’è già un altro venditore pronto, come la Francia? È francamente poco credibile che la politica estera, non solo europea, ma persino nazionale, si possa fare in questo modo, come se si fosse in un mercato, a vociare più di altri per riuscire a vendere la propria mercanzia. Il ruolo internazionale di un Paese si fa con ben altro, si fa con credibilità, autorevolezza, e con gli strumenti – che l’Italia dovrebbe avere ben rodati – di una politica estera e di una diplomazia di peso. Si può proteggere Patrick George Zaki e sostenere il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo. Si può fare di tutto per proteggere i diritti di una singola persona, ora in uno stato di fragilità, perché dell’autorevolezza di uno Stato di diritto fa parte la difesa del suo impianto costituzionale e di valori. I realisti non colgono la differenza tra mercato e strategia. Non colgono la differenza tra la miopia di un lucroso affare e il tempo lungo del ruolo politico di un Paese. Ma non è più il tempo della miopia. È stata travolta dalla cronaca e dalla Storia.