IAI
La giustizia nella Turchia di Erdoğan

Osman Kavala assolto in attesa di condanna

19 Feb 2020 - Mariano Giustino - Mariano Giustino

L’ordine giudiziario assolve; l’ordine politico condanna. Possiamo descrivere in questo modo, molto sinteticamente, quello che di kafkiano è avvenuto ieri in Turchia.

Alle 15 la 30esima Corte Penale di İstanbul assolveva l’attivista Osman Kavala dall’accusa di sovversione dell’ordine costituzionale per aver sostenuto le proteste antigovernative del movimento di Gezi Park nel 2013, ritenuto dal governo turco una organizzazione sovversiva. Alle ore 21 circa, dopo appena sei ore, la Procura della Repubblica di İstanbul spiccava un nuovo mandato di arresto per Kavala con l’accusa di avere avuto un ruolo di primo piano nel tentativo di golpe del 15 luglio 2016.

L’urlo di gioia e il lungo applauso che aveva salutato ieri pomeriggio la sentenza di assoluzione si è poco dopo tramutato in un sussulto di grave sgomento per la nuova pesantissima accusa che da persona appena assolta lo ha fatto precipitare di nuovo nella condizione di detenuto in attesa di giudizio con una richiesta di condanna all’ergastolo aggravato.

L’operato della magistratura nel Paese
Il processo Gezi, giunto alla sesta udienza, ha visto 16 imputati tutti accusati di sostegno ad organizzazione sovversiva con lo scopo di “rovesciare il governo Erdoğan”, e la Corte ha emesso un verdetto di assoluzione per nove, tra cui Osman Kavala.

L’ex parlamentare del Partito repubblicano del popolo (Chp), Eren Erdem, aveva vissuto la stessa situazione in precedenza Erdem, difensore dei diritti umani del maggior partito d’opposizione Chp, anch’egli accusato di sovversione dell’ordine costituzionale, aveva condiviso la stessa prigione con Kavala e aveva subito lo stesso dramma.

Prima assolto dal Tribunale di İstanbul e dopo poco di nuovo arrestato per un nuovo mandato di cattura emesso dal Procuratore della Repubblica e quindi nuovamente liberato.

I due casi giudiziari sono molto simili, la tecnica è sempre la stessa: aprire nei riguardi di oppositori molto apprezzati nella società civile almeno due procedimenti penali diversi, in modo che se in uno di essi venisse assolto, scatterebbe subito l’arresto per l’altro. È anche quello che è accaduto agli intellettuali Ahmet e Mehmet Altan e a Şahin Alpay.

Appare evidente che nel mondo della magistratura turca vi sia una corrente influente più attenta al codice e ai dettami della Carta costituzionale che spesso entra in conflitto col potere politico incarnato dal presidente della Repubblica Recep Tayyp Erdoğan, ragion per cui, se la magistratura più vicina all’area ‘’liberal’’ del Paese emette sentenze non gradite a Erdoğan, quest’ultimo le ‘’corregge’’ esercitando la sua influenza.

La vicenda di Osman Kavala
Vale la pena ricordare chi è Osman Kavala. 62 anni, è presidente dell’istituto Anadolu Kültür da lui fondato, punto di riferimento prezioso per comprendere la società civile turca, le minoranze e la loro condizione. Kavala discende da una famiglia di ricchi aristocratici ottomani. Ha speso tutta la sua ricchezza materiale, spirituale e fisica affinché’ la Turchia diventasse un paese più democratico. Il suo arresto, avvenuto il 18 ottobre 2017, ha mobilitato diverse organizzazioni internazionali.

 Il 10 dicembre 2019 la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ne aveva chiesto l’immediata scarcerazione. La Corte di İstanbul, come è successo in altri casi – ad esempio in quello del leader del Partito democratico dei popoli (Hdp), Selahattin Demirtaş – non ha tenuto conto della sentenza perentoria della Cedu di Strasburgo.

Il 30 gennaio scorso, in un appello pubblicato sul Financial Times (e tradotto per l’Italia da AffarInternazionali), il direttore dello IAI, Nathalie Tocci, assieme a personalità della politica internazionale e  dell’accademia, aveva chiesto l’immediata liberazione dell’attivista turco Kavala, rilanciando una simile lettera aperta del novembre 2017.

L’arresto di Kavala sorprese moltissimo perché egli aveva contribuito a realizzare una interlocuzione preziosa tra il governo e la società civile sulla questione curda. Aveva fatto parte infatti della commissione dei saggi della società civile nominata dal governo nel 2014; un pool di oltre 70 intellettuali, esperti, accademici e uomini dello spettacolo col compito di monitorare le opinioni della popolazione del sudest anatolico e per illustrare ad essa la roadmap del progetto proposto dall’Akp, il partito di governo, sulla risoluzione della questione curda, frutto di trattative intraprese dall’esecutivo e dal leader del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) Abdullah Öcalan detenuto nel carcere di massima sicurezza di İmları; accordo che poi fallì pochi mesi dopo.

Ma con la rottura del processo di pace col Pkk e col successo elettorale dell’Hdp filocurdo, Erdoğan perse la maggioranza assoluta in Parlamento e poco dopo strinse un’alleanza con gli ultranazionalisti dell’Mhp, che segnò la fine della politica di apertura verso i curdi. Ankara da allora non ha mai visto di buon grado il sostegno che Kavala offriva alla società civile liberale, laica e d’opposizione del Paese.

Il “Soros turco”
Subito dopo l’arresto di Kavala, il presidente Erdoğan esclamò: “L’identità del Soros della Turchia è stata scoperta”. Lo accusava di essere un uomo d’affari che cercava di influenzare la politica turca.

Kavala ha la colpa di essersi ribellato sin da subito alle istituzione fortemente repressive del Paese, ma tuttavia è rimasto all’interno di esse gestendo una serie di imprese e donando i suoi proventi a degne cause. È un ardente campione della riconciliazione turco-armena e la sua filantropia ha nutrito una vasta gamma di progetti che vanno dai diritti dei curdi a quelli dell’ecologia e dell’ambiente. Interessante a tal proposito è l’ascolto di un’intervista rilasciata da Kavala a Radio Radicale l’11 aprile 2017.

Ma perché questo accanimento contro una personalità così influente e stimata nel mondo accademico e nella società civile d’Europa? Si può dire che Kavala sia diventato un capro espiatorio additato come un esempio negativo e che la sua detenzione serve da monito e da intimidazione per chiunque voglia opporsi a Erdoğan e al suo regime.