Israele-Palestina: Trump spiana la strada all’annessione
Alla fine è successo. Il Presidente statunitense Donald Trump ha formalmente presentato la sua visione di pace per il Medio Oriente, un documento di 181 pagine, completo di mappe e appendice, intitolato: “Peace to Prosperity. A Vision to Improve the Lives of the Palestinian and Israeli People”.
Come si intuisce dal titolo, questa visione non tratta la pace o la riconciliazione. Il tema, invece, è racchiuso in due dimensioni: sicurezza per Israele (stato), qualità di vita sotto occupazione per i palestinesi (persone). La “visione” di Trump, infatti, rappresenta un’accozzaglia di vecchie idee avanzate nel corso degli anni dalle frange più massimaliste dell’establishment israeliano. Idee che gli Stati Uniti hanno in passato rifiutato, ma che oggi – vista la vicinanza tra Trump e Netanyahu – ricevono l’approvazione della Casa Bianca.
Promesse vuote per i palestinesi
Autonomia sotto occupazione per i palestinesi invece che autodeterminazione in un proprio stato. Tale visione rappresenta il vecchio obiettivo di Menachem Begin, il fondatore del Likud israeliano, oggi capeggiato da Benjamin Netanyahu, incriminato formalmente di corruzione il giorno stesso dell’annuncio della ‘visione’ di Trump.
Con i suoi abitanti confinati in piccole zone dove godono di autorità civile e di polizia, lo “Stato” palestinese immaginato da Trump non è ne sostenibile ne indipendente. Invece sarà composto da isole popolate ma scollegate tra loro e completamente dipendenti da Israele in ambito economico. D’altronde, questa è la realtà in cui vivono da tempo i palestinesi della Cisgiordania occupata, una realtà che viene oggi riconosciuta come accettabile e permanente dagli Stati Uniti di Trump.
Come contentino, c’è la promessa di migliorare la qualità di vita dei palestinesi. Anche questa è una vecchia politica. Fu avanzata in particolare da George Shultz, Segretario di Stato Usa di Ronald Reagan negli Anni 80, quando, in assenza di negoziati, Washington cercò di convincere Israele, spesso invano, di sviluppare l’economia locale Palestinese come antidoto alla resistenza e passo intermedio per una ripresa dei negoziati.
La promessa di 50 miliardi di dollari in dieci anni per i palestinesi non è altro che un ulteriore dimensione di questa politica. Ma c’è un caveat. La visione di Trump implica comunque un periodo di attesa. Quattro anni dovranno aspettare i palestinesi prima di prendere in mano quel che resta dello “Stato di Palestina”. Rendere meno cruenta l’occupazione, limitando le concessioni israeliane, rimane l’obiettivo ieri come oggi.
L’autodeterminazione sacrificata all’altare della sicurezza
Il diritto all’autodeterminazione palestinese, riconosciuto oramai dalla quasi unanimità del mondo, viene ancora una volta messo in secondo piano in favore della “sicurezza” di Israele. Una sicurezza che viene definita arbitrariamente dalle gruppi più estremisti della classe dirigente israeliana, spesso in contrapposizione con i pareri dei ranghi dell’esercito e l’intelligence.
È questa definizione massimalista di sicurezza per Israele, senza concessioni, che oggi delinea i parametri della visione di Trump. Non a caso ci si prepara ora all’imminente annessione da parte di Israele di più del 60% della Cisgiordania occupata (la cosiddetta Area C di Oslo). Perfino il Regno Unito post-Brexit, che inizialmente aveva aperto con Boris Johnson alla visione di Trump, si dice ora fortemente preoccupata per le ripercussioni di tale atto.
Certo è che nessun palestinese è stato interpellato. Durante l’annuncio di Trump, e con accanto il solo Netanyahu, non vi erano rappresentati palestinesi, ma neanche altri arabi. I soli Paesi della regione presenti alla cerimonia erano il Bahrain, l’Oman e gli Emirati Arabi Uniti. Anche loro però, hanno in seguito appoggiato la dichiarazione della Lega Araba che respinge al mittente la visione di Trump.
La necessità di politiche più coraggiose
Passando all’Europa, la reazione è stata tutt’altro che incoraggiante. Sebbene alcuni paesi, come l’Irlanda, la Svezia, i Paesi Bassi hanno preso posizioni forti, dall’Unione europea non sono arrivate condanne o contromisure adeguate. Bisogna essere seri. La visione statunitense non rappresenta “un’occasione” per rilanciare i tentativi di avviare un negoziato israelo-palestinese, come dichiarato inizialmente dall’Alto Rappresentante Ue Josep Borrell.
Per creare tale occasione serve una politica europea onesta e coraggiosa, pronta a prendere le distanze da un “processo di pace” a guida statunitense ormai al capolinea. Serve credibilità politica per fare diplomazia, e per fare ciò all’Europa servono prese di posizione – seguite da azioni – forti e decise, se necessario anche a livello di gruppi di Stati membri, nel caso in cui l’unanimità sia irraggiungibile.
La “visione” di Trump non è altro che una dichiarazione di vittoria dell’occupazione israeliana. Sta ora all’Europa, prima degli altri, a dire chiaro e tondo che ciò non è accettabile nel ventunesimo secolo.
La seconda parte dell’articolo sarà pubblicata su AffarInternazionali giovedì 6 febbraio 2020.