Sul coronavirus impreparati, nonostante le esperienze
Tredici anni or sono lo IAI effettuava, insieme ad un gruppo di esperti, una ricerca per conto del Centro militare di studi strategici del ministero della Difesa (CeMiSS) su “La minaccia Nbcr: potenziali rischi e possibili risposte”. Fra le esperienze internazionali esaminate vi erano alcuni attentati terroristici, ma, soprattutto, la Sars (Severe Acute Respiratory Syndrome), l’influenza provocata da un coronavirus che dal novembre 2002 al luglio 2003 provocò 8098 contagi e 774 morti, soprattutto in Cina, sud-est asiatico e Canada.
La ricerca avanzava numerose proposte per preparare meglio il nostro Paese di fronte a questo tipo di emergenze sul piano politico, istituzionale, operativo, ma anche in merito all’informazione per l’opinione pubblica. Gli eventi di questi giorni dimostrano quanto sarebbe stato utile adottare alcune misure che in questa circostanza risulterebbero efficaci.
Scrivevamo nel 2007: “Le lezioni apprese durante le numerose emergenze Nbcr (nucleare, batteriologico, chimico, radiologico) sono molteplici, ma quella più importante è la necessità di pianificazione preventiva a tutti i livelli, secondo il motto del gestore del rischio: ‘Aspetta il peggio, pianifica per il peggio, spera per il meglio’. In particolare, si legge nel volume, occorre organizzare l’individuazione precisa dei responsabili della comunicazione e l’allestimento di appositi piani comunicativi (‘comunicare, comunicare, comunicare’). Il rischio di panico generalizzato potrebbe, infatti, limitare l’efficacia di ogni intervento, aggiungendo ulteriori problemi e coinvolgendo potenzialmente anche gli addetti.
Un’emergenza Nbcr sarebbe caratterizzata sia dalla scarsa conoscenza delle caratteristiche tecniche del rischio da parte della popolazione, sia dalla paura intrinsecamente legata a una minaccia non visibile e dalla quale è obiettivamente più difficile difendersi. Molto dipenderebbe, quindi, da come verrebbe gestita la diffusione delle informazioni. Di particolare importanza sarebbe la ricerca del punto di equilibrio fra un’informazione capillare, necessaria per limitare il contagio e individuare eventuali contagiati sfuggiti alla “cinturazione”, e un’informazione limitata e riduttiva per non generare allarmismo.
Già su questo piano è evidente che l’informazione andrebbe comunque gestita e controllata. In un Paese democratico, questo è uno dei punti più delicati, sia perché potrebbe incidere sulla libertà di informazione che è uno dei cardini del nostro sistema politico e sociale, sia perché in una società “mediatica” come la nostra gli strumenti di informazione sono molteplici e variegati (televisioni, radio, sms, internet, social media).
In quest’ottica, la risposta dovrebbe probabilmente muoversi in più direzioni: i responsabili dovrebbero essere preparati a gestire con grande cautela la politica dell’informazione; a livello di rapporti con i mass-media, una soluzione potrebbe essere cercata nel coinvolgere direttori e giornalisti nella messa a punto di un codice di condotta volontario per la gestione delle informazioni nel caso di un’emergenza Nbcr. La soluzione migliore sarebbe quella di far designare in ogni ente interessato un portavoce e farlo preparare adeguatamente, in modo che abbia un profilo tecnico ottimale e una riconosciuta autorevolezza, con un esplicito divieto di intervento a chiunque altro, compresi i suoi superiori”.
Gli effetti collaterali dell’attuale emergenza sanitaria
Quello che è avvenuto in Italia negli ultimi dieci giorni dimostra, purtroppo, cosa può comportare una cattiva gestione dell’informazione nel quadro di un evento Nbcr, come l’attuale epidemia.
Sul piano interno sono stati adottati provvedimenti restrittivi da parte di autorità locali, in modo difforme rispetto alle indicazioni delle autorità centrali e differenziato a livello geografico, coinvolgendo servizi pubblici, attività scolastiche, iniziative sportive. In questo quadro caotico, molte imprese, anche se localizzate in aree non coinvolte, hanno sospeso riunioni e trasferte. La rete dei medici di base, non adeguatamente preparata e coinvolta, non ha potuto filtrare i pazienti, aumentando il rischio che gli ospedali, invece che presidio contro il diffondersi del virus, ne possano diventare essi stessi un potente motore.
Nel nostro studio, a proposito della Sars, segnalavamo che “di tutti gli infettati, il 21% lavorava nel campo della sanità. Basti pensare al caso della provincia canadese dell’Ontario, dove il 72% delle persone contagiate dalla Sars contrassero il virus in una struttura sanitaria (il 45% era rappresentato da medici e infermieri; il restante da pazienti e visitatori). Inoltre, un’ampia parte del personale sanitario dovette essere sottoposto a misure di quarantena, aggravando perciò le condizioni lavorative dei “superstiti” e peggiorando il servizio prestato alla cittadinanza (tre ospedali di Toronto furono costretti a sospendere temporaneamente il ricovero dei malati)”.
Il ruolo dell’informazione
La mancanza di un’efficace politica dell’informazione si è vista nell’ingiustificabile accaparramento di prodotti alimentari e di presidi sanitari, ma anche, ed è molto più grave, nel mercato borsistico e finanziario, sia da parte degli investitori italiani che stranieri. Altra disastrosa conseguenza si è avuta nel settore turistico, coinvolgendo aree lontane dai focolai come l’Italia centrale o meridionale.
Sul piano internazionale, gli effetti negativi sono appena iniziati. Il respingimento di cittadini italiani da parte di altri Paesi è l’inevitabile conseguenza del nostro allarmismo interno e dell’applicazione di quella chiusura dei confini che alcuni vorrebbero mettere in atto in Italia, solo che in questo caso ne saremo noi le vittime. A parte i turisti italiani, queste misure potrebbero colpire il personale delle reti commerciali e i tecnici che garantiscono supporto ed assistenza ai clienti delle imprese italiane o che sono impegnati nelle numerose commesse acquisite all’estero per la realizzazione di impianti e grandi opere, con un danno economico che è oggi impossibile quantificare.
Solo una parte di tutto ciò era inevitabile, ma la gestione della politica dell’informazione da parte delle autorità ha contribuito ad estenderne la dimensione. Quando ne verremo fuori sarebbe auspicabile che anche su questo aspetto si aprisse un’approfondita riflessione e ci si preparasse meglio ad affrontare queste emergenze.