Sinn Féin vince in un pareggio a tre
Era stato previsto da quasi tutti i sondaggi della vigilia, e alla fine è successo per davvero: Sinn Féin ha vinto il voto popolare alle elezioni generali irlandesi dello scorso 8 febbraio, ponendo così fine al secolare duopolio del centrodestra di Fianna Fáil e Fine Gael. A conteggio terminato, Sinn Féin, partito nazionalista di sinistra, ha ottenuto il 24,5% per cento di prime preferenze, piazzandosi davanti al Fianna Fáil, con il 22,2% e al Fine Gael, partito del Taoiseach – il premier – uscente Leo Varadkar, con il 20,9%.
Pareggio a tre, ma con vincitori e vinti
Nonostante i risultati definitivi sembrino delineare un pareggio a tre, a uscire vincitore da queste elezioni è senza dubbio Sinn Féin. Come si spiega un tale successo da parte di un partito che solamente un mese fa era dato all’11% nei sondaggi? Mary Lou McDonald, a capo del partito dal 2018, ha saputo saggiamente mettere in secondo piano la questione della riunificazione con l’Irlanda del Nord – la causa che più di tutte contraddistingue Sinn Féin dagli altri partiti irlandesi – per concentrarsi invece sulle politiche interne. Vertendo l’intera campagna sulla gravissima situazione abitativa, la crisi dei servizi pubblici (in primis il servizio sanitario nazionale) e la questione delle pensioni, i nazionalisti hanno saputo catalizzare i voti di un elettorato che chiedeva a gran voce un cambiamento rispetto all’establishment che ha governato l’Irlanda negli ultimi cent’anni, facendo breccia in particolare tra le classi lavoratrici e tra i giovani – non a caso, l’Irlanda ha la popolazione più giovane d’Europa -.
Se Sinn Féin è uscito vincitore da questa campagna elettorale, il grande sconfitto è il Fine Gael di Leo Varadkar. In un’elezione dominata dalle questioni sociali, Varadkar, che cinque anni fa è stato proprio ministro della Sanità, uno dei settori pubblici più in crisi nel Paese, ha deciso di incentrare la campagna elettorale sul suo successo personale nei negoziati post-Brexit, tralasciando il fatto che solo l’1% degli irlandesi ha indicato la Brexit come una questione di primaria importanza. L’immagine progressista di Varadkar, che durante la sua premiership aveva realizzato tre referendum su aborto, unioni gay e divorzio, non è bastata ad arginare il forte desiderio di cambiamento dell’elettorato. A confermare la crisi della sua leadership è anche il fatto che a Dublino Ovest, circoscrizione in cui era candidato Varadkar, il partito che ha ottenuto il maggior numero di prime preferenze è stato Sinn Féin.
Questi risultati vanno analizzati anche in prospettiva più ampia: Fine Gael era al potere da nove anni, e il centrista Fianna Fáil, proprio in virtù delle sue similarità con Fine Gael, non è stato in grado di incarnare quel desiderio di cambiamento invocato a gran voce dall’elettorato, come invece ha saputo fare Sinn Féin.
La strada per formare un governo si fa sempre più tortuosa
Dopo tre giorni di conteggi, oggi sono stati finalmente assegnati tutti i 159 seggi in palio al Dáil Éireann, la camera bassa del Parlamento nazionale. Terminato lo spoglio delle seconde preferenze – peculiarità del sistema elettorale irlandese -, il partito che ha ottenuto più seggi è stato Fianna Fáil con 38, seguito da Sinn Féin (37) e Fine Gael (35).
Sinn Féin, benché si dichiari disponibile ad interloquire con tutte le forze in campo, preferirebbe formare un governo senza la presenza di Fianna Fàil o di Fine Gael. Mary Lou McDonald ha inoltre dichiarato di aver già preso contatti con i Verdi, i social-democratici, People Before Profit e con dei parlamentari indipendenti per provare a raggiungere i numeri per formare il nuovo governo. Sebbene il numero di seggi necessari per formare una maggioranza sia fissato ad 80, in passato si sono visti già diversi governi di minoranza, che però hanno sempre contato sull’astensione di uno tra Fianna Fáil o Fine Gael. Quest’ultimo ha già detto che una coalizione con Sinn Féin non è contemplabile. Anche Fianna Fáil non sembra propenso alla possibilità di formare un governo con la sinistra nazionalista repubblicana, seppur non escludendo categoricamente l’ipotesi di intavolare una discussione. Si prospettano dunque lunghe settimane – o mesi – di discussioni, anche se, ad oggi, il candidato più papabile a diventare il prossimo Taoiseach sembra essere Micheál Martin, leader di Fianna Fáil.
Questo vuoto politico, causato da un sistema sempre più frammentato e fortemente scosso dall’avanzata di Sinn Féin, arriva in un momento delicatissimo: il 2020 sarà infatti l’anno dei negoziati tra Unione europea e Regno Unito, negoziati in cui l’Irlanda deve necessariamente far sentire la sua voce. Se questa voce sarà quella pro-riunificazione di Mary Lou McDonald o quella più conservatrice di Micheál Martin, però, resta ancora da vedere.