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Fra Ppe e stato di diritto

Il piano di Orbán per continuare a contare

20 Feb 2020 - Massimo Congiu - Massimo Congiu

In Ungheria la salute dello stato di diritto continua ad essere al centro di inquietudini interne e non. In patria, l’opposizione liberale e di centro sinistra e i settori progressisti della società civile puntano il dito sulla deriva antidemocratica verso la quale il Paese è diretto a causa delle manovre politiche del governo di Viktor Orbán. A livello internazionale, i vertici dell’Unione europea e organizzazioni attive sul fronte dei diritti civili e umani esprimono le loro vive preoccupazioni per la situazione. Le politiche adottate e portate avanti dall’esecutivo di Budapest sono all’origine della sospensione di Fidesz dal Partito popolare europeo (Ppe).

La vicenda è tutt’altro che vicina ad una soluzione, la cui natura dipenderà da diversi fattori e scelte. Si tratta ad esempio di vedere se all’interno del Ppe prevarrà alla fine un orientamento basato su questioni di principio o su un opportunismo che consentirebbe di portare avanti una sorta di compromesso con Fidesz, soggetto politico capace di una certa influenza a livello europeo. È poi noto che Orbán preferirebbe in fondo restare nel Ppe, il primo gruppo politico al Parlamento europeo, e cambiarlo dall’interno spostandone a destra l’asse politico, in senso nazionalista, ma sa che non sarà così facile.

Nell’attesa continuano i contatti con l’Ecr, il gruppo dove, insieme a Fratelli d’Italia, trova collocazione il polacco PiS di Jarosław Kaczyński, alleato del premier ungherese. La tradizionale amicizia e solidarietà tra i due Paesi del Gruppo di Visegrád ha oggi delle motivazioni rinnovate, dovute al fatto che su Varsavia e Budapest pende la minaccia dell’attivazione dell’articolo 7 del Trattato sull’Unione europea per sanzionare politiche in grado di ledere lo stato di diritto. È ad esempio recente la notizia della firma, da parte del presidente polacco Andrzej Duda, della legge che nega autonomia alla magistratura del paese. Gli esecutivi delle due parti difendono le loro realizzazioni affermando il principio secondo il quale ogni Stato è sovrano e perciò dotato del diritto di fare le scelte che crede più opportune per il suo territorio.

Le violazioni di Fidesz
L’opposizione polacca è in subbuglio, analoga la situazione in Ungheria dove il mondo della scuola protesta contro il programma didattico reso noto dal governo e improntato a un chiaro nazionalismo. L’associazione degli insegnanti ha preso posizione contro questo programma, destinato a essere introdotto a settembre nelle scuole statali, chiedendone il ritiro. Esso infatti comprende, fra gli autori da far leggere agli studenti, Albert Wass e Ferenc Herczeg, due scrittori di cui i critici sottolineano le simpatie filo-fasciste. Escluse dalle letture scolastiche, quelle di Imre Kertész, sopravvissuto all’Olocausto e scomparso nel 2016, unico Nobel ungherese per la letteratura. Per il governo, il programma così concepito ha lo scopo di educare le nuove generazioni allo spirito patriottico; per l’opposizione è una vera e propria bomba nella battaglia culturale che il governo ha ingaggiato per plasmare le menti e privilegiare artisti e istituzioni che promuovono il nazionalismo contro la “cultura liberale scadente”.

Il clima esistente nel Paese è quindi tutt’altro che sereno e le valutazioni che di esso vengono fatte da vari organismi internazionali che monitorano la democrazia a livello europeo e mondiale non sono buone. Per Human Rights Watch e Amnesty International il governo di Orbán lede gravemente diritti fondamentali, come quello di informazione e critica, e secondo Transparency International l’Ungheria è risultata essere nel 2019 il secondo paese più corrotto dell’Unione europea.

Nuove preoccupazioni per Orbán
Nel suo discorso annuale sullo stato della nazione, pronunciato domenica 16 febbraio, Orbán ha sottolineato i meriti del suo governo e, come sempre, indicato all’opinione pubblica i pericoli che incombono sul Paese e che, di norma, vengono dall’esterno. A suo avviso quello appena trascorso è stato un grande decennio per il paese; decennio durante il quale, però, l’Ungheria è stata minacciata dal calo demografico e dai cambiamenti climatici. Minacce tuttora esistenti, tanto che un insolito Orbán ha annunciato alcune misure per la tutela dell’ambiente oltre ad aver posto l’accento sulla necessità di intervenire sul fronte demografico.

Il suo discorso ha suscitato la riprovazione degli oppositori politici. Le critiche interne all’attuale governo non provengono, però, solo dai liberali e dal centro-sinistra; anche Jobbik da tempo attacca il Fidesz. Lo accusa da anni di aver ingannato i suoi elettori, di aver creato un sistema corrotto fatto di favoritismi e clientele a beneficio degli amici del premier. Nato nel 2003 come partito di estrema destra, da qualche anno Jobbik ha deciso di intraprendere un nuovo percorso per farsi percepire dall’opinione pubblica come soggetto politico nazionalista e conservatore sì, ma moderato. Così i suoi vertici hanno cominciato, anni fa, a minacciare sanzioni contro membri e funzionari del partito colpevoli di esternazioni offensive nei confronti di ebrei e rom, esternazioni che un tempo erano sistematiche e libere all’interno del partito.

Rilancio di Jobbik
Jobbik ha partecipato alle elezioni politiche del 2018 con l’intento di battere Fidesz e di sostituirlo al governo per un vero rinnovamento politico e spirituale del Paese. Le cose non sono andate così: Fidesz ha ottenuto la maggioranza parlamentare di due terzi e Jobbik ha perso voti rispetto alla tornata di quattro anni prima che l’aveva visto crescere suscitando preoccupazione a livello europeo. In particolare, dopo il voto del 2018, Jobbik ha cominciato a prendere parte alle proteste di piazza organizzate dall’opposizione centrista e liberale: una presenza la sua un po’ defilata anche perché gli altri oppositori del governo Orbán non dimenticano le origini di questo partito e la sua natura nazionalista.

Grazie anche a un patto di desistenza con Jobbik, l’opposizione ha prevalso al voto amministrativo di ottobre, ma che lo schema possa replicarsi con successo a livello nazionale è da dimostrare. Prima alfiere del radicalismo di destra, oggi Jobbik sta cercando spazio nel conservatorismo moderato, ma sembra che prima ancora sia alla ricerca di una nuova identità e di un ordine interno in termine di idee, posizioni e strategie.