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I Sacri Palazzi

Il coronavirus rafforza la cooperazione Cina-Vaticano

17 Feb 2020 - Pietro Mattonai - Pietro Mattonai

L’approccio della Santa Sede alla drammatica epidemia del coronavirus è dimostrazione di una profonda coerenza tra teoria e pratica degli apparati di politica internazionale del Soglio pontificio.

Questo per almeno due motivi: innanzitutto, papa Francesco – e chi per lui – ha ribadito ancora una volta che alcuni temi richiedono una soglia d’attenzione più alta della semplice cooperazione intergovernativa. Serve una strategia onnicomprensiva, che metta in relazione l’intera famiglia dell’umanità: a problemi transnazionali corrispondono soluzioni altrettanto transnazionali, dunque universali e non demandabili a singoli Paesi o, tuttalpiù, a raggruppamenti di Stati. In secondo luogo – e come conseguenza del primo punto – coinvolgere la Cina nel percorso partecipativo a livello globale per addivenire ad una pronta risoluzione della minaccia coronavirus significa riconoscerne il peso politico e la capacità di influire considerevolmente sui rapporti internazionali.

L’esclusione di Pechino, quasi come un appestato dal quale è bene tenersi alla larga, significherebbe emarginare un attore mondiale dal quale è impossibile trascendere per la costruzione di un sistema nuovo e maggiormente inclusivo delle relazioni tra gli Stati.

Da Benedetto a Francesco: la Chiesa verso Oriente. Due elementi, quelli appena citati, che appartengono al progetto geopolitico di papa Francesco sin dalla sua elezione nel 2013. Anche se, come ha spiegato lo stesso Jorge Mario Bergoglio, la “svolta” che ha aperto le porte alla Cina non può essere considerata autenticamente tale e, per questo, innovativa: prima di lui, infatti, già Benedetto XVI aveva parlato al popolo cinese con una famosa lettera del 2007. Nel testo, Joseph Ratzinger riconosceva l’assoluta necessità di spezzare il legame organico tra politica, istituzioni e Chiesa cattolica che, nei secoli, ha costruito attorno al pontefice la figura di cappellano dell’Occidente. L’avversione di papa Francesco al romano-centrismo e la forma mentis gesuita che ne accompagna le mosse in campo internazionale non sono certo passate inosservate dalle parti di Pechino, dove il pontefice latinoamericano riscuote consensi su larga scala.

Fino al punto che, proprio in questi giorni, si è tenuto il primo, storico incontro tra i due ministri degli Esteri di Cina e Santa Sede, a latere della Munich Security Conference che si svolge nel capoluogo bavarese. La stretta di mano tra monsignor Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati della Santa Sede, e Wang Yi, ministro degli Affari esteri della Repubblica popolare, costituisce un altro tassello nella graduale normalizzazione dei rapporti tra Cina e Vaticano. Che, di fronte alla minaccia globale rappresentata dal coronavirus, non si irrigidisce, bensì si rafforza. Tanto da spingere alcuni quotidiani cinesi a sostenere come la Santa Sede possa svolgere un ruolo di facilitatore all’interno della comunità internazionale per l’adozione, in sinergia con la Cina stessa, di misure efficaci contro l’epidemia scatenatasi nelle ultime settimane.

La pietra miliare dell’Accordo provvisorio per la nomina dei vescovi, firmato nel 2018 e che ha messo fuorigioco l’Associazione patriottica cattolica cinese – agenzia dell’ufficio Affari religiosi della Repubblica popolare con lo scopo di controllare le attività dei cattolici cinesi – è stata la base sulla quale Xi Jinping e papa Francesco stanno costruendo un rapporto inedito che, con la spedizione di centinaia di migliaia di mascherine per limitare la diffusione del virus da parte della Santa Sede, ha conosciuto un’ulteriore evoluzione.

I prossimi passi. Il sentiero tracciato da Matteo Ricci, gesuita che più di tutti batté la strada dell’evangelizzazione in Cina tra il XVI e il XVII secolo, rimarrà centrale nel progetto geopolitico di papa Francesco anche nei prossimi anni. Il viaggio del pontefice al di là della Grande Muraglia è, ormai da qualche anno, un vero e proprio ritornello che impegna i vaticanisti. Probabilmente è ancora troppo presto.

Quel che è certo è che la direzione, nonostante qualche freno posto dagli ambienti più conservatori – leggasi, in particolare, il clero nordamericano – non sarà cambiata. Papa Francesco ha messo fine agli schemi precostituiti di identificazione della Santa Sede, che è libera di dialogare e costruire relazioni con tutte le cancellerie del pianeta. Solo così, attraverso una diplomazia fluida e in continuo movimento, la Chiesa cattolica può perseguire la propria missione universale