Slovacchia: la sfida nazionalista nel più liberale dei V4
A due anni dall’omicidio del giornalista Ján Kuciak, che aveva scatenato le proteste più partecipate dalla caduta del comunismo, la Slovacchia si reca alle urne per il rinnovo del Parlamento, sabato 29 febbraio
Corruzione e identità sono i temi centrali di una campagna difficile per un Paese dove le istituzioni politiche e nell’apparato di sicurezza tendono a essere percepite inaffidabili. Secondo dati dell’Eurobarometro pubblicati a giugno 2019, il 65% dei cittadini non ha fiducia nel governo. Solo un cittadino su tre ha fiducia nel sistema giudiziario e meno della metà si fida delle forze di polizia.
La Slovacchia ha un Parlamento unicamerale, il Consiglio nazionale (Narodna rada Slovenskej republiky), composto da 150 membri con un mandato di 4 anni. Il sistema elettorale è proporzionale, con un’unica circoscrizione nazionale, e i cittadini possono esprimere al massimo quattro preferenze per candidati della stessa lista. Solo i partiti che raccolgono almeno il 5% delle preferenze entrano in Parlamento.
Il Paese è attualmente governato da un governo di coalizione tra Smer-Sd, partito socialdemocratico, il Partito nazionale slovacco (Sns) e Most-Hid, che rappresenta la minoranza ungherese.
Quadro partitico in evoluzione
Le elezioni del 29 febbraio si anticipano tra le più frammentate nella storia democratica slovacca. Secondo i sondaggi, infatti, 9 o 10 partiti dovrebbero superare la soglia di sbarramento: una situazione che rende difficile formulare previsioni sul futuro governo. I favoriti sono i socialdemocratici di Smer-Sd, in profonda crisi dall’inizio del 2018, quando l’omicidio del giornalista Ján Kuciak e della sua fidanzata Martina Kušnírová aveva scatenato proteste in tutto il Paese. Decine di migliaia di cittadini avevano manifestato contro la corruzione dilagante nel Paese e per chiedere verità sulla morte di Kuciak, che stava investigando i legami tra establishment politico slovacco e criminalità organizzata italiana.
Nell’immediato, le proteste, unite alle pressioni delle opposizioni, avevano portato alle dimissioni del governo di Robert Fico – sostituito da Peter Pellegrini alla premiership – e successivamente del capo della polizia, sospettati di aver avuto contatti con il mandante dell’omicidio. Nei mesi successivi, nuove rivelazioni hanno messo in luce un intricato sistema di corruzione che lega istituzioni politiche, sicurezza e potenti attori economici, come Marian Kočner, attualmente sotto processo come mandante nel caso Kuciak.
Il diffuso malcontento è diventato la spinta per un movimento più ampio, che chiede più trasparenza e riforme sistemiche e ha portato alla vittoria a sorpresa di Zuzana Čaputová alle elezioni presidenziali dell’anno scorso, con una campagna incentrata su europeismo e anticorruzione. Il suo partito, Progresívne Slovensko (Slovacchia Progressista, Ps), ha poi trionfato alle elezioni europee del maggio scorso in alleanza con il partito Spolu, conquistando 4 dei 13 seggi in ballo.
L’alleanza Ps-Spolu, con il nuovo leader Michal Truban, punta a ripetere l’exploit del 2019 portando a termine l’esperienza di governo del Smer-Sd e trasformando la Slovacchia nel membro più liberale del gruppo di Visegrád. Dovrà però fare i conti con un altro soggetto politico in ascesa, portatore di valori e priorità diametralmente opposte.
L’ombra nazionalista
Tra i partiti che si presenteranno alle urne, a preoccupare maggiormente è Kotlebovci – Ľudová strana Naše Slovensko (Lsns), forza che in un passato non troppo lontano si professava esplicitamente neonazista. Lsns è entrato per la prima volta in Parlamento nel 2016, conquistando 14 seggi, e il sostegno al partito è cresciuto notevolmente negli ultimi mesi: è attualmente al secondo posto nei sondaggi, intorno al 13%, a circa 6 punti dai socialdemocratici.
L’ascesa di una formazione politica che non solo è dichiaratamente antisistema, ma gode anche di un crescente supporto elettorale, pone due questioni fondamentali.
La prima è la sua ammissibilità come possibile partner di coalizione. Alcune forze di opposizione – Ps-Spolu, Za ľudí (partito dell’ex presidente Andrej Kiska), i cristiano-democratici dell’Skh e il partito liberale SaS – hanno firmato un patto di non-aggressione che esclude esplicitamente un governo con Smer-SD e con le forze nazionaliste, incluso Lsns. Altri, invece, mantengono posizioni volutamente ambigue, come Gente Comune (OĽaNO), il cui leader, Igor Matovic, ha invitato gli altri partiti di opposizione a non manifestare contro Lsns, e non ha esplicitamente escluso un’alleanza con i nazionalisti.
La seconda questione è quella della legittimità: escludere un partito che gode del sostegno popolare per questioni di principio significherebbe mancare di rispetto alla volontà degli elettori? Dopo le elezioni del 2016, Lsns – che allora prese il 10% dei voti – non fu neanche invitato alle consultazioni per formare un nuovo esecutivo. Oggi, la presidente Zuzana Čaputová ha dato indicazioni differenti, suggerendo che, qualora uno dei partiti esprimesse la volontà di formare un governo con Lsns, lei non si opporrebbe, proprio per rispetto della volontà elettorale.
Va detto che Čaputová si è sempre espressa molto chiaramente contro i fascismi, il razzismo e l’intolleranza; tuttavia, le sue dichiarazioni sono indice di un dibattito più profondo a livello istituzionale sull’eventuale normalizzazione di Lsns come forza di sistema. La Corte suprema slovacca si è già espressa in merito: nell’aprile 2019, ha rigettato una proposta di rendere illegale il partito, presentata dal Procuratore generale. I giudici hanno stabilito che non ci sono prove sufficienti per ritenere Lsns una minaccia per la democrazia.
L’attenzione a Lsns non deve far dimenticare che diversi altri partiti si presentano alle urne con programmi e messaggi di ispirazione nazionalista: chiusura totale delle frontiere, attacchi di stampo xenofobo alle minoranze rom e ungheresi, protezione della sovranità nazionale contro lo strapotere di Bruxelles, difesa dei valori cristiani “tradizionali” della nazione. Al di là di Lsns, dunque, emerge anche la possibilità di una coalizione tra le forze nazionaliste di estrema destra.
Il dibattito sulle identità
In queste elezioni, lo scontro politico non si colloca tanto sull’asse destra-sinistra, ma su una divisione tra status quo e cambiamento. Gruppi come Ps-Spolu non chiedono solo riforme istituzionali e giudiziarie sistemiche, ma anche un cambiamento fondamentale nella direzione politica del Paese.
A questo si oppongono soggetti politici come Lsns, ma anche, in forme diverse, gli stessi socialdemocratici attualmente al governo, che si presentano come difensori dell’identità, economia e sovranità nazionali. Le elezioni del 29 febbraio non saranno necessariamente lo scontro decisivo tra questi due fronti, ma senz’altro un passaggio importante per ridefinire l’identità politica e culturale slovacca e il suo posto in Europa.
A cura di Giovanna Coi, caporedattrice Europa de Lo Spiegone.
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